Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'obiettivo fisso della Bomba, lo stesso fanatismo del 1979 analisi realistiche sull'Iran
Testata:Il Foglio - Il Giornale Autore: la redazione - Mario Cervi Titolo: «L'Iran tira dritto - I vecchi vizi degli ultrà»
Dal FOGLIO del 4 aprile 2007, una visione realistica della tattica iraniana nella vicenda dei marinai rapiti. Il vero obiettivo di Teheran resta l'arma nucleare, per questo sulla vicenda dei marinai rapiti si è scelta una linea conciliante. Linea che infatti ha portato ora alla liberazione dei marinai ( http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=168920 ) Ecco il testo dell'articolo del FOGLIO:
Washington. Ali Larijani, a capo del Consiglio di sicurezza nazionale iraniano, ha detto che sono cominciati i negoziati per il rilascio dei quindici marinai inglesi. “Non saranno processati”. Il cambio di toni del governo iraniano è stato repentino. Soltanto due giorni fa, infatti, negli stadi di Teheran i tifosi inveivano contro “l’invasione britannica” e i leader politici definivano “legittima” la cattura dei giovani marinai. Secondo alcuni analisti, l’Iran avrebbe cambiato posizione perché spaventato da un eventuale attacco militare americano. Secondo altri, Larijani sarebbe pronto a trovare un compromesso perché Teheran avrebbe già raggiunto il proprio scopo. Ieri, infatti uno dei sei ufficiali iraniani, presi in custodia dagli Stati Uniti in Iraq, sarebbe stato già rilasciato. Il secondo segretario dell’ambasciata iraniana a Baghdad, Jalal Sharafi, secondo la televisione iraniana sarebbe tornato a Teheran nel pomeriggio di ieri. Gli altri cinque agenti, invece, dovrebbero essere liberati nei prossimi giorni in cambio dei quindici marinai. “L’Iran ha ottenuto il suo scopo. Non ha alcun motivo di trattenere ulteriormente gli ostaggi britannici – dice al Foglio Faraj Sarkouhi, giornalista iraniano in esilio in Germania, che negli anni Ottanta fu imprigionato a Teheran dall’ex presidente, Akhbar Rafsanjani – La loro eventuale liberazione non deve essere interpretata come un mutamento nella politica di Teheran”. Per il giornalista iraniano, infatti, il regime dei mullah non ha intenzione di fare compromessi con l’occidente su nessun fronte. Il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, ha annunciato che il prossimo 9 aprile darà al proprio popolo un’importante notizia sull’arricchimento dell’uranio. I membri del governo ribadiscono che nessuno può fermare il “diritto” di sviluppare il nucleare nel paese. E il ministro degli Affari Esteri, Manuchehr Mottaki, afferma che le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu non hanno avuto “alcun effetto” sull’Iran. “L’occidente non deve ascoltare le richieste di dialogo da parte iraniana è soltanto un grande bluff – sostiene Sarkouhi – sono ormai venticinque anni che il regime vuole ottenere il nucleare. Sta cercando soltanto di guadagnare tempo, per ottenere le tecnologie necessarie”. Il giornalista iraniano spiega che sia le fazioni politiche sia “l’ottanta per cento della popolazione” appoggia il dossier nucleare. Per Sarkouhi, non ci possono essere credibili interlocutori per l’occidente. Infatti, nonostante le divergenze politiche fra Ahmadinejad e la Guida suprema, Alì Khamenei, tutte le fazioni sembrano convergere nel medesimo obiettivo nucleare, riformatori inclusi. “L’Iran è un regime dispotico – spiega Sarkouhi – Ma a differenza di quello che accade nella rappresentazione tradizionale delle dittature a Teheran non c’è un tiranno soltanto”. Il Consiglio di sicurezza nazionale, composto da circa una ventina di membri ognuno con un voto a disposizione, definisce le linee guida sulla politica di difesa del paese. “Non si può pertanto incolpare soltanto Ahmadinejad o Khamenei per l’andamento dell’Iran – sostiene Sarkouhi – E’ tutta la struttura del regime a dover essere messa sotto accusa”. La popolazione iraniana, nei giorni scorsi ha manifestato in massa contro il governo, si chiede se ci siano le giuste circostanze per ostentare sicurezza contro l’occidente. “Il governo iraniano, però, è convinto che sia questo il momento migliore per spingere avanti i piani – dice Sarkouhi – Crede, infatti, che nonostante le minacce statunitensi, Washington non sia in grado di attaccare il paese”. In ogni caso, nonostante la retorica aggressiva di Ahmadinejad, il governo sembra essere preoccupato dalle tre portaerei nel Golfo Persico. Gli analisti americani e mediorientali, infatti, prevedono un attacco statunitense o a primavera o la prossima estate. L’Iran, pertanto, sembra intenzionato a temporeggiare, cercando di negoziare con l’Arabia Saudita su una soluzione possibile. Sarkouhi, però, sostiene che più il tempo passa e più l’Iran è in grado di diventare un potenza nucleare. “Teheran vuole a tutti i costi ottenere la bomba nucleare nel più breve tempo possibile – dice il giornalista in esilio a Francoforte – In questo modo, è sicura che il paese diventerà inattaccabile”. Sarkouhi, però, sostiene che parte della leadership iraniana è già convinta di essere una superpotenza. “Il regime, se realmente minacciato, può creare il caos nella regione del Golfo, dove in alcuni stati la maggioranza è sciita”. In Yemen, il governo già accusa Teheran di avere finanziato gruppi di insorti. Il il New York Sun, in un recente articolo di Youssef Ibrahim, riferisce che la seconda lingua a Dubai è diventata il farsi. Per Sarkouhi, inoltre, la popolazione iraniana se sarà bombardata, cercherà di difendersi contro gli Stati Uniti. “L’occidente dovrebbe iniziare il boicottaggio del greggio iraniano – sostiene Sarkouhi – Soltanto in questo modo Teheran sarebbe messa in ginocchio economicamente e la popolazione si rivolterebbe in massa contro la dittatura”.
Dal GIORNALE, un articolo di Mario Cervisulla storia dei sequstri politici nel regime khomeinista:
Gli studenti islamici che 28 anni or sono irruppero nell’ambasciata degli Usa a Teheran e ne imprigionarono il personale avranno ormai fatto i capelli bianchi e l’ayatollah Khomeini, in nome del quale i giovanotti esaltati agivano, è morto da un pezzo. Tuttavia il fanatismo, impersonato nella nuova versione dal presidente Ahmadinejad con la sua aria da commesso di bazar, continua a ruggire da quelle parti. Pasdaràn delle ultime leve si sono dedicati al sequestro d’occidentali - i quindici militari britannici - con lo stesso zelo dei loro predecessori. Sono cambiate le motivazioni. La presa d’ostaggi nell’ambasciata, il 4 novembre 1979, fu motivata dal rifiuto americano di consegnare all’Iran il deposto Scià - in cura a New York in quanto malato di tumore - per sottoporlo a un processo: del quale non era difficile prevedere l’esito. Adesso viene rivolta agli inglesi catturati l’accusa d’avere, a fini di spionaggio, violato le acque territoriali iraniane. Contestato da Londra lo sconfinamento, grottesca l’ipotesi che esso mirasse a carpire chissà quali segreti. Ma la ragazzaglia invasata ragiona così, la logica non è il suo forte. Sa tuttavia essere ripetitiva in alcuni rituali vessatori per chi cade nelle sue mani. L’esibizione degli ostaggi, le confessioni estorte, le minacce. Da inviato del Giornale a Teheran ho vissuto alcune fasi del lungo tormento - durò 444 giorni - degli americani dell’ambasciata. Che erano in origine 62, ma poi il barbuto e già malandatissimo Khomeini aveva ordinato il rilascio delle donne e dei dipendenti di colore, dieci persone in tutto. Quando raggiunsi l’ambasciata e fui fatto entrare, i sequestratori erano in piena euforia, in maggioranza poco più che ventenni, alcuni imberbi ma comunque muniti di pistola o di mitragliatore. Erano ubriachi di gioia per lo schiaffo inflitto allo «sporco Carter». «Il muro di cinta e il portale - scrissi nella mia corrispondenza - erano cosparsi di cartelli con slogan: “l’Iran vince, vogliamo impiccare lo Scià”. Innumerevoli i ritratti del santone lontano e onnipotente. Un’altra immagine di Khomeini, forse tre metri di base per quattro di altezza, copriva un muro del basso fabbricato della cancelleria diplomatica. Nello spiazzo che separa i cancelli dagli uffici si aggiravano gli armigeri della rivoluzione. Oratori improvvisati scaricavano a turno dagli altoparlanti raffiche gutturali alle quali i dimostranti rispondevano in coro: “Allah-o-akbar”, Dio è grande. A un certo punto è stato portato nel cortile uno dei sequestrati, un giovanotto dai capelli rossi con gli occhi bendati. La gente rumoreggiava con urla di disprezzo... Alcuni di noi giornalisti sono stati quindi accompagnati in un locale dell’ambasciata per constatare de visu come la sede diplomatica fosse diventata una centrale di spionaggio. Iniziativa, questa del “comitato per indagare sui documenti” che gli studenti invasori hanno costituito quasi subito. I fotogrammi e le fotocopie mostrati, nel mezzo di una grande confusione, non hanno rivelato nulla di più di un normale scambio d’informazioni tra il governo di Washington e i suoi funzionari». Ho largheggiato nella citazione perché mi pare renda il caos insieme odioso e festoso d’un atto di criminalità internazionale che gli studenti islamici avevano compiuto, e che il regime teocratico dell’Iran di Khomeini non solo tollerava ma approvava. La comunità internazionale, che s’è fissata regole precise di comportamento nei rapporti diplomatici, rimane spiazzata - e debole - di fronte a un oltraggio così patente delle regole stesse. La superpotenza americana dovette subire il ricatto di una ragazzaglia arrogante e violenta. Era ancora tempo di guerra fredda, e il Consiglio di sicurezza dell’Onu non riuscì a varare sanzioni economiche contro l’Iran perché l’Urss pose il veto (la Cina non partecipò alla riunione). Nell’aprile del 1980 un blitz per la liberazione dei sequestrati, approvato dal presidente Carter, si risolse in un disastro: vi furono incidenti tecnici, due elicotteri entrarono in collisione durante il rientro del reparto impiegato, si contarono otto morti nel commando. Solo il 20 gennaio del 1981 gli ostaggi furono liberati. Nel frattempo erano avvenuti grandi cambiamenti sulla scena mondiale. Ronald Reagan succedeva a Carter, cominciava il conflitto tra Iran e Irak. Gli Usa erano favorevoli all’Irak di Saddam Hussein, che rischiò peraltro d’essere sconfitto dagli iraniani. L’inutile strage finì sette anni dopo senza vinti né vincitori.
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