Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il piano di pace saudita: la sua storia e i suoi rischi due analisi
Testata:Libero - Il Foglio Autore: Angelo Pezzana - la redazione Titolo: «Il piano di pace di Riad Un trucco per riempire le casse dei terroristi -Il dialogo a distanza tra Olmert e sauditi è iniziato in Libano»
Da LIBERO del 3 aprile 2007, l'analisi di Angelo Pezzana sul piano saudita:
Ci piacerebbe sapere perchè nel 2007 il cosidetto piano di pace saudita piace così tanto a tutti, quando nel 2002 era stato rispedito al mittente, in primis dal governo israeliano. Il contenuto non è cambiato. In cambio del riconoscimento di Israele, e stabilire normali relazioni, le condizioni sono sempre le stesse: ritiro ai confini del 1967,creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, ed una soluzione “giusta” per i profughi a cominciare da quelli del 1948. E’ vero che non ne viene più richiesto il “ritorno”, ma la soluzione giusta è una formula troppo vaga, e la capitale a Geruslemme est è una condizione che il governo israeliano non può, espressa in questi termini,accettare. Che il futuro Stato palestinese debba avere una sua capitale è più che ovvio, ma che esiga la localizzazione ancora prima di iniziare le trattative, ci sembra eccessivo. Eppure il piano saudita piace, al punto da aver messo in ombra il progetto di pace del quartetto, che pure alcune condizioni preliminari le aveva pur poste, tutte naturamente disattese da parte palestinese. L’unico punto fermo, dopo le elezioni vinte da Hamas, era stato il congelamento dei finanziamenti internazionali all’Autorità palestinese, in base al semplice ragionamento che non si può riempire di soldi un movimento terrorista come Hamas, anche se al governo. E’ lecito quindi sospettare che tutta questa manfrina, guidata dalla Lega araba di Amr Mussa, che in quanto a odio verso Israele è secondo a pochi, non abbia altra finalità se non la riapertura dei rubinetti finanziari ? Mentre il balletto delle dichiarazioni ricolme di complimenti ha preso avvio, Hamas continua a lanciare da Gaza missili su Israele, minacciando l’arrivo di una terza Intifada, se non viene posto termine all’isolamento del governo palestinese (da leggersi se non tornano i dollari). Certo, alcuni elementi positivi si sono, l’Arabia saudita, che teme fortemente la politica iraniana e una possibile destabilizzazione dell’area se l’Iraq cadesse sotto l’influenza del pazzo di Teheran, è passata da una politica passiva ad una attiva, ma ci chiediamo se la buona intenzione di riunire gli stati musulmani moderati, con l’obiettivo di arrivare ad un qualche trattato di pace con Israele, sia stato ben riposto in una offerta che già cinque anni fa era stata respinta. E’ anche vero che in cinque anni ne sono avvenuti di cambiamenti. L’Iran è una minaccia reale, e non solo per Israele, il Libano, dove la presenza ingombrante di Hezbollah ne mette in forse l’indipendenza, e la Siria, sempre agli ordini del più forte di turno. E Israele ? Curiosamente, tra i quasi plaudenti all’offerte saudita, c’e anche Ehud Olmert, che non ha lesinato in quanto a buone parole. Apprezza gli sforzi sauditi per arrivare ad un accordo, si dichiara pronto a partecipare anche subito ad un incontro insieme ad Abu Mazen con gli stati arabi moderati, e riafferma che Israele non ha nessuna intenzione di attaccare i suoi vicini, al contrario. Ma questo solo i ciechi e i sordi non lo sapevano. Arriviamo persino a riporre una qualche speranza che ci sia della buona fede nei documenti che verranno esaminati e discussi, per cui non saremo certo noi a criticare la politica aperturista di Israele nei confronti del summit della Lega araba. L’importante è non dimenticare, per non doversene dolere dopo, la lezione ricevuta la scorsa estate con la guerra scatenata da Nasrallah e i suoi Hezbollah. I quali, insieme ai cugini Hamas a Gaza, stanno rimettendo in piedi i loro arsenali, in vista di quale obiettivo è facile immaginare. Già da Siria e Iran giungono voci di un possibile attacco israeliano in tandem con gli Stati Uniti. Questi ultimi mirerebbero all’Iran, mentre Israele punterebbe sulla Siria. Solo voci, naturalmente, ma sappiamo bene quanto l’opinione pubblica europea sia permeabile alle sirene fondamentaliste. Avere un buon motivo per parlar male di Israele è sempre una buona occasione.
Non dimeticare la lezione della scorsa estate, dicevamo. Poi si ascoltino pure tutte le proposte.
Dal FOGLIO una ricostruzione della convergenza di interessi tra Israele e Arabia Saudita a partire dalla recente guerra del Libano:
Gerusalemme. Il primo ministro israeliano ha ritrovato una piattaforma. Ehud Olmert nelle ultime ore ha dato una spinta alla strategia americana incentrata sul fronte sunnita guidato da Riad. In occasione delle vacanze per la Pasqua ebraica, iniziata ieri, ha concesso molte interviste e ha invitato, in una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Angela Merkel, in visita nella regione, i leader arabi a una summit regionale. A Time Magazine, Olmert ha detto che re Abdullah, sovrano saudita, sarebbe stupito nell’udire le sue posizioni sull’iniziativa riproposta al vertice di Riad pochi giorni fa. Sul Jerusalem Post ha definito il monarca “remarkable”. Già prima del summit il premier aveva inviato segnali positivi, senza però aprire al piano. Israele, infatti, non accetta il documento approvato dalla Lega araba, ma l’iniziativa rimane per Gerusalemme una dichiarazione di principi su cui è possibile attivare colloqui, non negoziati. “Dopo mesi di stagnazione ed esitazioni, in cui Olmert ha perso quasi tutto il sostegno pubblico, il primo ministro ha rivelato una nuova agenda politica”, scriveva Aluf Benn, editorialista di Haaretz, dopo le prime aperture pubbliche del premier al piano. Kadima, il suo partito, nato sull’idea di nuovi ritiri territoriali, in seguito all’operazione estiva a Gaza e alla guerra contro Hezbollah, non ha potuto più parlare di disimpegni. Olmert, senza un programma, criticato per la gestione del conflitto in Libano e per le innumerevoli saghe giudiziarie in cui sono implicati membri del suo esecutivo e del suo staff, ha perso enormemente consensi. Il tono delle ultime interviste è però ottimista. “Accetto il fatto di essere impopolare”, ha detto. “Fiducioso e rilassato”, lo ha descritto un quotidiano, nonostante siano vicini i risultati della commissione che indaga sulla conduzione della guerra estiva. Ci sono 26 mila soldati nel sud del Libano e 12 mila sono della missione delle Nazioni Unite, Unifil, ha ricordato. Per Olmert il conflitto dell’anno scorso resta una vittoria, non soltanto sul piano militare. Pochi giorni fa, all’inizio del summit di Riad, re Abdullah ha aperto il vertice accusando i leader arabi di essere responsabili per i problemi della regione. Israele, fonte di tutti i mali nella retorica dei regimi arabi, non è stato questa volta menzionato, hanno notato i commentatori. Per il premier israeliano si tratta di un passo avanti. Poche ore dopo l’attacco di Hezbollah contro i soldati israeliani e il rapimento di due militari, a luglio, azione che scatenò la risposta israeliana, il regno saudita definì il gesto di Hezbollah “irresponsabile”. Un influente imam, Abdullah bin Jabreen, lanciò un editto religioso contro chiunque intendesse aiutare le milizie sciite, condannando le ambizioni imperiali dell’Iran, sostenitore ideologico e finanziario del partito di Dio. Il timore per l’ascesa di una Teheran atomica sciita ha messo in azione la macchina diplomatica del regno saudita, baluardo dell’islam sunnita. Anche per Israele la minaccia arriva dall’Iran. “Sto dicendo che se il re saudita organizzasse un incontro di stati arabi moderati e invitasse me e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese e ci presentasse le sue proposte, verremmo ad ascoltarle e saremmo contenti di articolare le nostre idee”, ha detto Olmert al Jerusalem Post. Abu Mazen, rais palestinese, a Riad ha votato a favore dell’iniziativa saudita. Per Washington pure lui, che appoggia il fronte di Riad in azione anti iraniana, fa parte della coalizione. Ma allo stesso summit, Ismail Haniye, primo ministro del governo d’unità nazionale e membro di Hamas, si è astenuto. Mohammed al Madhoun, capo dello staff del suo gabinetto, ha detto ieri che le aperture di Olmert sono “un tentativo di svuotare l’iniziativa saudita di contenuto, a causa del rifiuto di riconoscere il diritto al ritorno dei rifugiati”. Anche dalla Siria di Assad, che ospita il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, arrivano critiche. Secondo il quotidiano saudita al Watan, fonti siriane avrebbero detto che Israele “cerca di usare il pretesto di ritardare i negoziati di qualche anno, ma in realtà vuole evitarli del tutto”.
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