Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Afghanistan: la Nato chiede all'Italia di combattere e discute delle regole per affrontare i sequestri mentre sulla liberazione di Mastrogiacomo crescono i dubbi
Testata:La Stampa - Il Giornale Autore: Paolo Mastrolilli - Fausto Biloslavo Titolo: «La Nato: l’Italia ordini ai soldati di combattere - Il nastro che sbugiarda Prodi»
Dalla STAMPA del 28 marzo 2007:
La Nato dice di contare sull’Italia in Afghanistan e apre il dibattito sul tema degli ostaggi, proprio mentre il dipartimento di Stato chiude il «caso Mastrogiacomo». Ieri a Bruxelles si sono riuniti i direttori politici dell’Alleanza Atlantica. Alla fine dell’incontro James Appathurai, portavoce del segretario generale Jaap De Hoop Scheffer, ha lanciato un messaggio: «Nel tempo, i vari governi italiani hanno espresso chiaramente il loro impegno in Afghanistan. Il direttore politico di Roma ha confermato questo impegno. L’Italia ha dato un enorme contributo nella sua zona. Naturalmente gli alleati contano sulla parola di Roma, e si augurano e si aspettano che l’impegno continui, come il governo ha detto pubblicamente». La Nato vorrebbe che alcuni Paesi fornissero più truppe e togliessero i limiti all’impiego di quelle già presenti. L’Italia, ad esempio, ha stabilito dei «caveat», che vietano l’uso dei suoi soldati fuori dalla zona occidentale dell’Afghanistan. Ogni richiesta di intervento in altre regioni va sottoposta al governo, che è tenuto a rispondere nel giro di 72 ore. Roma non intende aumentare le sue truppe o cambiare la natura della loro missione, ma la questione dei «caveat» potrebbe trovare una soluzione di compromesso, ad esempio cambiando le procedure di risposta alle emergenze. A Bruxelles si è parlato anche di ostaggi, sull’onda delle polemiche seguite alla liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo. Secondo Scheffer, «alcuni membri hanno detto che bisogna riconoscere come le decisioni prese da un singolo stato abbiano effetto su tutti gli altri, e possano essere un incentivo per ulteriori azioni del genere». Quindi diversi paesi, tra cui Usa, Canada e Germania, «hanno chiesto una discussione in ambito Nato su come rispondere a simili situazioni». Il sottosegretario di Stato americano Burns non ha nascosto la posizione di Washington: «Nella sala c’era un chiaro sentimento che nessuno di noi dovrebbe accettare di negoziare il rilascio degli ostaggi in cambio di terroristi. Gli Stati Uniti sostengono da tempo questa posizione. E’ stato suggerito che dovremmo avere una politica Nato sull’argomento: si tratta di un’idea molto buona». Nello stesso tempo, però, Burns ha precisato: «Noi non negozieremo mai per gli ostaggi e una grande maggioranza delle voci che ho sentito condividono questo approccio. Ma è un sentimento, non una critica». Le sue parole rispecchiano la volontà del Dipartimento di Stato di chiudere il «caso Mastrogiacomo», emersa con chiarezza già lunedì sera, durante il ricevimento organizzato a «Foggy Bottom» per il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Tranne Condoleezza Rice, alla cerimonia erano presenti tutti i protagonisti diplomatici della vicenda: il vice segretario di Stato Negroponte, il sottosegretario con delega per l’Europa Daniel Fried, il suo vice Kurt Volker, e l’ambasciatore italiano Castellaneta. Al termine Fried ha parlato per tutti, permettendo espressamente di registrare in modo ufficiale la sua posizione: «Per noi il caso è chiuso. Qualunque incomprensione possa esserci stata, la dichiarazione comune della scorsa settimana l’ha chiarita». Si riferiva al comunicato seguito alla telefonata tra il segretario Rice e il ministro degli Esteri D’Alema, avvenuta dopo le critiche di un funzionario anonimo del Dipartimento di Stato che aveva smentito la versione data dal capo della Farnesina sulla sua cena a Washington con la collega americana. Quindi Fried ha concluso: «Gli Stati Uniti apprezzano la stretta relazione con l’Italia: lavoriamo insieme in tutto il mondo, in Europa e fuori dall’Europa. L’Italia è una grande potenza e non siamo mai stati delusi dal suo contributo per la nostra causa comune»
Dal GIORNALE:
Quindici talebani liberati in cambio di Mastrogiacomo, anziché cinque e un canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica sono i misteri delle due settimane di sequestro sui quali bisogna ancora fare luce. Le voci sul rilascio di un numero più alto di talebani, rispetto ai cinque ormai ammessi circolano da giorni a Kabul, ma non hanno mai trovato conferma ufficiale. Però, Il Giornale è in possesso di una registrazione telefonica, realizzata una settimana fa, subito dopo il rilascio di Mastrogiacomo, in cui il comandante talebano Ibrahim Hanifi, coinvolto nel sequestro, spiega che in realtà «la scorsa notte (lunedì 19 marzo, quando è stato liberato il giornalista, ndr) hanno rilasciato 15 (talebani) come avevamo chiesto». L’accordo prevedeva di non rivelare il vero numero di prigionieri liberati, in particolare alla stampa. «Al dipartimento dell’intelligence alcuni amici mi hanno detto cheabbiamo rilasciato15 talebani in nostra custodia, per il giornalista italiano» dichiara a Il Giornale l’ex generale Sayed Muhammad Gulabzoi, ministro degli Interni ai tempi del regime filosovietico ed oggi parlamentare a Kabul. «Non so quanto sia accurata questa informazione, ma i miei amici hanno fatto qualche nome. Nonsi trattava di pesci piccoli, ma di talebani di serie A e B» rivela Gulabzoi, che la sa lunga sugli accordi segreti in Afghanistan. L’unico dato certo è che Dadullah non demorde e vuoleunsesto prigioniero talebano, questa volta in cambio del povero giornalista afghano, Ajmal Naskhbandi, interprete di Mastrogiacomo, rimasto ancora in ostaggio. Il capo bastone talebano insiste su Mohammed Hanifi, il portavoce «traditore», che in televisione ha denunciato l’appoggio pachistano ai talebani. Chi deve sapere parecchie cose del caso Mastrogiacomoè Claudio Franco,un giovane freelance, che rintracciato dal Giornale a Kabul si rifiuta di parlare. Franco è stato ingaggiato, assieme alla sua spalla afghana Samiullah Sharaf, da Repubblica, per ottenere informazioni sul destino di Mastrogiacomo e tentare un canale di mediazione alternativo. Said Agha, l’autista decapitato di Mastrogiacomo, era un uomo di fiducia di Sharaf. Subito dopo il sequestro l’afghano e lo strano freelance italiano si sono spostati a Kandahar. Nei 15 giorni di sequestro, non è comparsa neppure una riga di Franco sulla Repubblica, a parte un breve pezzo sulle ultime ore del giornalista italiano primadi partire verso la trappola. Franco stava lavorando da mesi, a cavallo fra Afghanistan e Pakistan, per realizzare un documentario su talebani e dintorni, ma non è stato possibile farci dire chi era esattamente il committente. «A un certo punto mi telefona Ezio Mauro direttore di Repubblica chiedendomi di unire le forze con questo Claudio Franco – racconta Strada al Giornale–maio gli dico di no, perché secondo me aveva a che fare con i servizi». Dall’ambasciata italiana cadonodalle nuvole e sostengono di non sapere chi sia Claudio Franco. Qualcuno fa notare che probabilmentehaunpassaporto britannico. In realtà vive a Londra, ma è in attesa della cittadinanza. La strana coppia di Kandahar contatta i sequestratori talebani. Forse sono loro a ottenere le prime prove in vita, ovvero delle risposte su alcuni dettagli familiari che solo il giornalista in ostaggio poteva sapere. I mediatori «paralleli» puntano a ottenere uno scambio alla pari con due «giornalisti» talebani, il portavoce Latifullah Hakimi e l’ideologo Ustad Yasar, che alla fine verranno liberati. L’idea è limitare i danni «politici » dello scambio, ma poi si arriva ai cinque rilasciati, fra i quali il fratello di Dadullah. L’epilogo è ancora più incredibile. Sharaf e Franco vengono «estratti», come si dice in gergo, dal sud dell’Afghanistan e atterrano il 20 marzo a bordo di un volo militare all’aeroporto di Kabul, poco prima dell’arrivo del C130 italiano che trasporta Mastrogiacomo, Strada e lo staff di Emergency. Nell’area riservata dell’aeroporto militare, dove a nessun giornalista italiano è stato permesso l’accesso, Franco scattaun sacco di foto dell’inviato di Repubblica mentre si imbarca sul Falcon della presidenza del Consiglio. L’ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi, rimane sbalordito della presenza dello strano freelance. Le foto non sono state pubblicate dalla Repubblica, nonostante l’esclusività, ma sembra che in Italia non siano mai arrivate. .
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