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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - Il Giornale - Avvenire - L'Unità - Il Manifesto - Il Mattino Rassegna Stampa
16.03.2007 Il governo palestinese è appena nato, e già Israele rifiuta il dialogo
ma il perché non viene spiegato: rassegna di quotidiani

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Il Giornale - Avvenire - L'Unità - Il Manifesto - Il Mattino
Autore: Mara Gergolet - Alberto Stabile - la redazione - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio
Titolo: «Nato il governo palestinese. Israele: nessun dialogo - Anp, Hamas perde il monopolio via al governo d´unità nazionale - Pronto il nuovo governo palestinese. Ma Israele avverte: non trattiamo - Anp, il governo parte in salita. Israele incalza: nessun rappo»

"Nato il governo palestinese. Israele: nessun dialogo", è il titolo della cronaca di Mara Gergolet pubblicata dal CORRIERE della SERA del 16 marzo 2007.
L'articolo ricalca la linea del titolo. Il nuovo governo palestinese non viene caratterizzato per quello che è, ovvero un'espressione della maggioranza parlamentare di Hamas e della vittoria militare del gruppo fondamentalista negli scontri a Gaza, ma come una speranza per i palestinesi di superare l'isolamento internazionale. Vi è però il rischio che la novità non porti  a una reale svolta. ma tale rischio è incarnato da Israele, che ha già detto "cambia tutto senza che nulla cambi". Invece di spiegare subito i motivi di questa posizione israeliana la Gergolet annuncia le sorprese nella composizione del governo, dove Hamas avrebbe "ceduto il passo agli «indipendenti»". Ma omette informazioni essenziali: la maggioranza dei ministri fa riferimento ad Hamas, il ministro degli Interni Hani Kawasami è comunque legato agli islamisti, Mohammed Dahlan, a loro inviso, è stato escluso dal governo.
Segue un breve cenno alla rivendicazione della "resistenza armata" , ma poi la Gergolet torna a concentrarsi sugli ostacoli posti al governo palestinese da Israele, che già avrebbe  "stritolato" il primo governo islamico (che in realtà ha continuato a ricevere finanziamenti dall'Iran e a contrabbandare denaro dall'estero)

Ecco il testo:


GERUSALEMME — La lista dei ministri consegnata al presidente, il governo formato. Quando Ismail Haniyeh lascia l'ufficio dove ha incontrato Abu Mazen, a Gaza, può finalmente annunciare alle telecamere: «Sabato siamo pronti a giurare. Speriamo che questo governo segni l'inizio d'una nuova era, che ci permetta di voltare pagina». Ma è proprio questa la domanda. Il governo d'unità nazionale palestinese, messo insieme dopo otto mesi di incontri, rotture, rinvii, sarà l'inizio della fine dell'isolamento internazionale, a cui gli islamici di Hamas hanno portato i palestinesi? O semplicemente cambia tutto senza che nulla cambi, come ha già detto Israele?
La lista dei nomi ha alcune sorprese. Balza agli occhi come nei posti più prestigiosi e esposti ai contatti internazionali, Hamas abbia ceduto il passo agli «indipendenti»: un politologo di Bir Zeit, Ziad Abu Amr, studioso fin dagli anni '80 di movimenti islamici, agli Esteri. Salam Fayyad, l'uomo del Fondo monetario (Fmi), volenteroso riformista che s'è fatto un nome in Occidente cercando d'arginare la corruzione ai tempi d'Arafat, alle Finanze. Soprattutto, il semi- sconosciuto Hani Kawasmi agli Interni: una scelta al ribasso, quest'alto funzionario pubblico, nata dai veti incrociati di Fatah e Hamas. Ma avrà il posto più delicato: controllare sicurezza e milizie, fermare la violenza tra fazioni che ha portato Gaza sull'orlo della guerra civile. Nove ministeri per Haniyeh, sei per Abu Mazen, c'è spazio pure per il comunista Bassam Salni alla Cultura. Un programma che mette al primo posto la «resistenza»: «La resistenza è un diritto legittimo del popolo palestinese». La risposta da Israele arriva in neanche mezz'ora. «La nostra posizione non è cambiata — dice una portavoce di Olmert —. Non riconosceremo né avremo a che fare con questo governo, ci aspettiamo che anche la comunità internazionale resti ferma alla richiesta che siano rispettati i tre principi di fondo». Riconoscere Israele, rinuncia alla violenza, accettazione dei trattati di pace. Il nuovo governo palestinese, si sa, dice no a queste condizioni. Ma la partita, ormai, è tutta a livello internazionale. Riuscirà Israele a mantenere il blocco economico e politico, messo in atto da tutta la comunità internazionale, che ha stritolato il primo governo islamico? L'America prende tempo, «cercheremo di capire», ma è sostanzialmente con Olmert: avanti per ora a trattare con il solo Abu Mazen. L'Europa invece pare più aperta a dare una chance al governo. Qualcuno scalpita come la Francia (Douste- Blazy già si dice «pronto ad incontrare il nuovo ministro degli Esteri»); in Italia Massimo D'Alema si congratula con Abu Mazen: «Un'opportunità importante». Qualcuno frena come la commissaria alle relazioni esterne Ue Ferrero- Waldner. Anche se, avverte Solana, nulla è ancora deciso: «Valuteremo il programma e il governo».

La sostanziale vittoria di Hamas è negata fini dal titolo dell'articolo di Alberto Stabile per REPUBBLICA : "Anp, Hamas perde il monopolio via al governo d´unità nazionale".
Anche qui al centro della cronaca c'è il tentativo dei dirigenti palestinesi di inaugurare "una nuova era", ostacolato da Israele e Stati Uniti.
Stabile cita Mustafa Barghouti come ministro "laico", presentandolo come il moderato che non è, sorvolando sui suoi rapporti politici con Hamas.
Non fa alcun cenno alla rivendicazione della "lotta armata", che ha fatto sì che Israele giudicasse  il nuovo governo "un passo indietro".  Questa espressione è però citata, e rimane senza spiegazione.
Ecco il testo:

GERUSALEMME - Nelle intenzioni dei dirigenti palestinesi, il nuovo governo di unità nazionale, che riceverà domani la fiducia di un Parlamento rimpicciolito dagli arresti, dovrà segnare una nuova era: la fine dell´isolamento, la ripresa degli aiuti, il ritorno della pace per le strade di Gaza. Israele, tuttavia, ha fatto sapere che non collaborerà con il nuovo esecutivo, che considera un «passo indietro», e farà tutto il possibile per convincere la comunità internazionale a mantenere l´embargo economico contro l´Autorità palestinese.
Ancorché alla guida del nuovo governo sarà lo stesso premier uscente, Ismail Haniyeh, considerato un dirigente moderato del Movimento islamico, Hamas, non si può dire che il nuovo ministero sia frutto di una semplice operazione di maquillage e che, dunque, non sia successo niente. È successo, invece, che tredici mesi dopo la vittoria alle elezioni politiche del gennaio 2006, Hamas non ha più il monopolio del potere.
Il movimento islamico, scegliendo di aderire alla proposta di mediazione saudita, ha mostrato di saper leggere la realtà. Avesse deciso di continuare sulla via della contrapposizione con il presidente Abu Mazen, e in definitiva con la comunità internazionale, avrebbe dimostrato agli occhi dei palestinesi di non avere alcuna capacità di governo. Alla fine, nel tentativo di riavvicinarsi all´opinione pubblica interna, ha deciso di rinunciare a una fetta di potere.
Nel nuovo governo Hamas dispone di 11 ministri, compreso il premier, su 25; il suo principale avversario, il partito laico Al Fatah, potrà contare su sette ministri con il vicepremier, Azzam Al Ahmad, l´ex capo del gruppo parlamentare, strenuo oppositore degli islamismi, più due rappresentanti della Terza via e uno del Fronte Democratico che sicuramente, in caso di bisogno, non voterebbero con quelli di Hamas. Undici contro dieci, dunque. Il che vuol dire che a fare la differenza saranno i quattro ministri indipendenti eletti, chi nelle liste degli islamisti, chi in quelle, per così dire, laiche.
Volendo, sia Israele (che manterrà un canale diplomatico aperto con Abu Mazen e l´impegno a trovare un coordinamento sugli aiuti umanitari) sia il Quartetto degli sponsor internazionali che i singoli paesi donatori potrebbero trovare nel nuovo governo più d´un partner con cui dialogare. Al di là di Abu Mazen, che il programma concordato indica come il titolare del negoziato, c´è il ministro delle Finanze, Salam Fayad, non una faccia nuova, ma una faccia sempre rispettabile. C´è Mustafà Barguti, all´Informazione, il medico che ha saputo evocare i bisogni di una società civile letteralmente travolta dal militarismo, dal radicalismo e dal mito della violenza coltivati dalle fazioni. Mentre, ministro degli Esteri, sarà Ziad Abu Amr, uno dei pochi veri riformisti di Al Fatah e forse proprio per questo costretto ad emigrare, come indipendente, nelle liste di Hamas.
Il nodo del ministero dell´Interno, vero e proprio pomo della discordia, è stato sciolto affidando l´incarico ad Hani Taleb al Qawasmi, un burocrate dello stesso ministero con esperienza di docente all´Università islamica, gradito ad Hamas. Consegnando ad Abu Mazen la lista dei ministri, per la scontata approvazione, Haniyeh ha sottolineato i diversi atteggiamenti verso il nuovo governo assunti da Israele e Stati Uniti, da un lato, e dall´Europa, dall´altro. Israele e Stati Uniti, considerano che il governo non rispetti le condizioni poste dalla comunità internazionale perché ne venga affermata la legittimità (vale a dire: riconoscimento del diritto ad esistere dello stato ebraico, cessazione della violenza e del terrorismo, rispetto degli accordi precedenti). L´Europa, con la Francia in testa, ha invece dimostrato attenzione e interesse, anche se sembra prematuro parlare di ripresa degli aiuti economici.
Per Israele, oltre al mancato rispetto delle tre condizioni, resta irrisolto il drammatico sequestro del soldato Shalit che Hamas ha assicurato non sarà mai liberato, se non nell´ambito di uno scambio di prigionieri.

La citazione della rivendicazione della "resistenza" non c'è neppure nell'articolo pubblicato da Giornale dove leggiamo che

stando alle anticipazioni del programma politico, apparse ieri su siti internet di Hamas, il governo israeliano, il più interessato a trattare con l’Anp, ritiene che le prospettive di dialogo e negoziato siano peggiorate.

Segue questa spiegazione delle motivazioni del giudizio israeliano:

Irritazione ha suscitato nello Stato ebraico l’insistenza sul ritorno in Israele e alle loro case (che in gran parte non esistono più) di circa 3,5 milioni di profughi palestinesi. Hamas continua inoltre a non volere riconoscere l' esistenza di Israele e rivendica l'intero territorio di quella che fu la Palestina sotto mandato britannico.

I 3, 5 milioni  di "profughi" palestinesi includono i discendenti di coloro che nel 48 abitavano in Palestina. Il "ritorno" di questa massa umana servirebbe ad alterare gli equlibri demografici di Israele, facendone un paese arabo e musulmano. L'"irritazione" di Israele non deriva allora dal desiderio dei profughi di "tornare alle loro case", ma dal fatto che si continua a volerlo distruggere.

Anche AVVENIRE fa parte del coro di quotidiani per i quali "il governo parte in salita", "incalzato" da Israele.
Anche qui leggiamo di "reazioni incollerite" da parte di Israele di fronte alla "ferma insistenza sula realizzazione del diritto al ritorno in Israele e alle loro case (che in gran parte non esistono più) di 3,5 milioni di profughi.
Da una parte la "ferma insistenza" per realizzare un "diritto", dall'altra la "collera" : un linguaggio che non serve a  informare, ma a sottointendere un giudizio.

Anche sull'UNITA' (l'articolo è di Umberto De Giovannangeli) si legge che

 
ciò che nello Stato ebraico suscita le reazioni più dure è la ferma insistenza sulla realizzazione del diritto al ritorno in Israele e alle loro case (che in gran parte non esistono più) di circa 3,5 milioni di profughi.

(in entrambi i giornali, AVVENIRE e UNITA' si legge almeno che il diritto al ritorno è per Israele "una formula per la sua dissoluzione come Stato ebraico")


L'accento è posto sul fatto che

Nel programma sembra esserci un implicito riferimento a una delle condizioni poste dal Quartetto, quella dell’accettazione degli accordi già sottoscritti con Israele, quando si dichiara che il governo, in nome della tutela dei superiori interessi del popolo palestinese, «rispetterà gli accordi internazionali e gli accordi firmati dall’Olp».

mentre si adotta un linguaggio dubitativo quando si è costretti a rilevare che

In nessun punto, stando a quanto è finora emerso, vi è un riconoscimento di Israele e una rinuncia alla lotta armata, che sono le altre due condizioni poste dal Quartetto, sulle quali Israele insiste.

La lettura fornita dal titolo è la solita: "Nasce il nuovo governo Fatah-Hamas
Israele lo boccia". Viene sottolineato l'atteggiamento negativo di Israele, senza alcun cenno ai suoi motivi.

Il MANIFESTO segnala che

Le prospettive sono poco incoraggianti. Israele ha ieri comunicato che non tratterà con il nuovo governo palestinese e si aspetta che la comunità internazionale faccia lo stesso.

e che
il mai incominciato

assedio continuerà.

Per completare il pezzo Michele Giorgio rivolge poi alcune deferenti domande a Mustafa Barghouti, che può dichiarare

Israele continua la sua politica distruttiva, respinge il nuovo esecutivo senza averne analizzato il programma in dettaglio. Un anno fa ha negato il diritto dei palestinesi di scegliere democraticamente i propri leader, ora nega qualsiasi possibilità di dialogo con un governo che pure nasce con l'intento di lavorare per la pace. Perciò chiedo a Europa e Usa una politica responsabile. Solo loro possono spingere Israele a mettere fine alla sua intransigenza.

E' appena il caso di osservare che il "governo che pure nasce con l'intento di lavorare per la pace" ha immediatamente rivendicato il diritto alla "lotta armata", cioè al terrorismo.

A
pagina 9 Il MATTINO titola l'articolo di Michele Giorgio addirittura "Palestina: nuovo governo, veto di Israele" .
L'occhiello annuncia una svolta inesistente: "Il movimento islamico rinuncia ai ministeri-chiave. L’appello di Barghouti: «Ora annullare l’embargo»". Il sottotitolo, che sposta la capitale di Israele da Gerusalemme a Tel Aviv, ribadisce l'"inspiegabile" intransigenza israeliana: "Nasce l’esecutivo di unità nazionale con Hamas e Al Fatah. Ma Tel Aviv annuncia: non tratteremo"

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