Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
La morte, ammoniva Egar Lee Masters nell’Antologia di Spoon River, non rispetta le persone. Dell’ansia di durare, che soltanto gli uomini conoscono, si cura poco. Fin quando la buona salute lo sostiene, il protagonista dell’ultimo, struggente romanzo di Roth (ben tradotto da Vincenzo Mantovani), non si preoccupa del futuro: creative director di successo, tre mogli per diversi motivi preziose, figli intelligenti, amici fedeli, Everyman (cioè “ognuno”, cioè noi tutti), pensa che il sangue continuerà a pulsargli nelle vene a ritmo costante, vivo come la New York in cui abita. Ma è proprio a questo punto che la malattia e la vecchiaia, che della fine sono gli eterni e fidati servitori, si incaricano di ricacciarlo fra i mortali. Una carotide ostruita, un’operazione a cuore aperto, e la giovinezza è un bene che non gli appartiene più.
Che ne sarà di noi dopo il grande salto?
Per lui, ebreo agnostico, questa domanda è poco meno di un doloroso enigma.
A contare sono solo il male che gli cresce dentro e quel corpo che, di giorno in giorno, lo abbandona.
No, la vecchiaia non può essere il tempo della pace, la stagione dei ricordi sereni.
Per lui il passato è tormento, e la vecchiaia è la Gorgonie che impietra, è l’urlo di Munch.