giovedi` 15 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
23.02.2007 Ancora sul caso Toaff
l'intervento di Carlo Ginzburg e il confronto tra Angelo Pezzana e Alessandro Gnocchi

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Carlo Ginzburg - Angelo Pezzana - Alessandro Gnocchi
Titolo: «LA DISPUTA «Pasque di sangue e sabba, miti ma non riti Ecco l'errore commesso da Ariel Toaff» - Scrive menzogne Non va difeso - No, lo scandalo è tappargli la bocca»
Dal CORRIERE della SERA del 23 febbraio 2007, un intervento dello storico Carlo Ginzburg sul libro di Ariel Toaff  "Pasque di sangue":

Le accese discussioni suscitate dal libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue, continuano, ma concentrate su un unico punto: la decisione dell'autore di ritirare la propria opera dal commercio. Del libro non si parla più. Ma le due questioni vanno tenute distinte. Lo fa anche, nel suo comunicato, l'Associazione Il Mulino, dichiarando che «al di là del giudizio di merito che solo la comunità scientifica ha il compito di formulare... non può esimersi dal manifestare il più netto rifiuto degli appelli alla censura e delle espressioni di linciaggio morale che sono state indirizzate all'autore».
Personalmente ritengo che chi ha condannato il libro di Toaff prima di averlo letto abbia fatto un gesto stupidamente intollerante. Ma il ritiro del libro voluto dall'autore, che si è ritenuto travisato dai recensori, non può certo essere paragonato ai roghi di libri degli inquisitori e dei nazisti evocati da Franco Cardini sull'Avvenire (16 febbraio). «Un libro ritirato dal commercio, a pochi giorni dalla sua uscita, equivale a un libro distrutto. A un libro bruciato», ha scritto Cardini. Non è vero. La prima tiratura (ne ignoro la consistenza) è andata subito esaurita, acquistata da privati e da biblioteche. Un libro pubblicato è di per sé un oggetto pubblico. La sua sconfessione, a quanto pare solo parziale, da parte dell'autore non può impedire agli studiosi di continuare a discuterlo.
Nel 1914 La Civiltà cattolica
pubblicò un lungo articolo su un processo che si era svolto l'anno prima nella Russia zarista, a Kiev.
Un bambino di dodici anni era stato torturato e ucciso; un ebreo era stato accusato e portato in tribunale; il processo aveva suscitato una vasta eco in tutto il mondo. Da più parti si era parlato di omicidio rituale: la consuetudine infame, di cui gli ebrei erano stati accusati periodicamente fin dal Medioevo, di impastare il pane azzimo preparato alla vigilia di Pasqua con il sangue di bambini cristiani uccisi. Il processo si era concluso con un'assoluzione. La Civiltà cattolica
prendeva atto a malincuore della sentenza, ma ribadiva che essa non scalfiva affatto l'esistenza di omicidi rituali dettati dal «fanatismo religioso» ebraico: «quel fanatismo è la sola spiegazione che si possa dare di un delitto così caratteristico, così esclusivamente loro proprio ( degli ebrei) ». Qualche altro ebreo era certamente colpevole, così come lo erano gli ebrei in generale.
Convinzioni incrollabili come quelle esibite dall'articolista della Civiltà cattolica costarono, nel corso dei secoli, la vita a moltissimi innocenti. Ma si trattava poi sempre di innocenti? Nel suo libro Ariel Toaff, professore all'università israeliana di Bar-Ilan, si è posto questa domanda: e ha risposto sostenendo che in qualche caso le accuse di omicidio rituale erano fondate. Questa tesi stupefacente ha suscitato un gran numero di commenti, generalmente assai critici: ricordo in particolare quelli, stringenti, di Adriano Prosperi sulla
Repubblica e di Anna Esposito e Diego Quaglioni su queste pagine. A questi interventi aggiungo il mio. Esso è dettato da motivi anche (ma non solo, ovviamente) personali. Alla fine della sua prefazione Ariel Toaff dichiara di aver letto i documenti sugli omicidi rituali ispirandosi a un principio di metodo che aveva ispirato molti anni fa una mia ricerca sullo stereotipo del sabba stregonesco ( Storia notturna, 1989). Si tratta di un richiamo abusivo: Ariel Toaff ha seguito una via completamente diversa dalla mia. Ma il confronto tra le due vie è illuminante perché mostra con quali criteri egli abbia letto i documenti.
Nel passo citato da Ariel Toaff io sostenevo che nei processi di stregoneria uomini e donne, sottoposti a tortura e a pressioni psicologiche, finivano molto spesso con l'introiettare stereotipi ostili suggeriti dai giudici. Quando però ci imbattiamo in una divergenza tra le dichiarazioni degli imputati e le aspettative dei giudici possiamo dire di trovarci di fronte a «frammenti relativamente immuni da deformazioni della cultura che la persecuzione si proponeva di cancellare». Più avanti precisavo che questi frammenti potevano riferirsi sia a miti, sia a riti: e optavo, riguardo al sabba stregonesco, per la prima alternativa. Nella prefazione al suo libro Ariel Toaff ha richiamato implicitamente questa distinzione aderendo all'alternativa opposta: «Volendo... concludere che gli omicidi, celebrati nel rito di Pasqua, non fossero soltanto miti, cioè credenze religiose diffuse e strutturate in maniera coerente, ma piuttosto riti effettivi propri di gruppi organizzati e forme di culto realmente praticate, saremo chiamati a una doverosa prudenza metodologica» (pp. 12-13).
Di questa doverosa prudenza Ariel Toaff si è dimenticato subito. In alcuni casi, egli ha scritto, è possibile arrivare a «riscontri obbiettivi», come nei processi celebrati a Endingen in Alsazia nel 1470. Ma poi si scopre che questi riscontri riguardano soltanto i «significativi particolari sulle cerimonie religiose in cui ( gli imputati) intendevano impiegare il sangue che si erano procurati» (p. 78). In altre parole, gli ebrei sottoposti a tortura confessavano quello che i giudici cercavano, ossia il racconto degli omicidi rituali: tra le aspettative dei giudici e le risposte degli imputati non c'era, su questo punto, divergenza alcuna. Ma quei racconti venivano inseriti in descrizioni di cerimonie familiari agli imputati come, prevedibilmente, la Pasqua ebraica. Per Ariel Toaff l'autenticità di queste descrizioni costituisce un «riscontro puntuale» dalle conseguenze imprevedibili: «proprio i riscontri puntuali, posti in luce almeno per una parte di quelle testimonianze, dovrebbero indurci a non squalificare aprioristicamente e senza persuasive giustificazioni, la realtà, magari esagerata o travisata, di eventi sui quali non siamo ancora riusciti a ottenere i riscontri necessari» (p. 79). «Ancora», ma per poco. Basta voltare pagina e i riscontri, anzi i «precisi riscontri», saltano fuori. Parlando degli ebrei mandati al rogo a Landshut attorno al 1440 Ariel Toaff scrive che «sia l'infanticidio di Landshut che il successivo massacro degli ebrei trovano precisi riscontri nei documenti dell'epoca» (p. 90). Ma che cosa c'entra tutto ciò con la presunta partecipazione degli ebrei agli omicidi rituali? Come si fa ad estendere l'autenticità di circostanze marginali (o ovvie, come quella sul massacro degli ebrei) al punto centrale, e controverso, su cui si concentravano le pressioni, fisiche e psicologiche, dei giudici? Giudici che condividano quest'idea di riscontro farebbero paura a chiunque — Ariel Toaff compreso, immagino. È pur vero che questo cumulo di illogicità e di strafalcioni è stato salutato con entusiasmo da Franco Cardini: «una ricerca storica metodologicamente esemplare...
un atto di onestà intellettuale» ( Avvenire, 7 febbraio). «Magnifico libro di storia» aveva esclamato Sergio Luzzatto su queste pagine. Ma per fortuna gli studiosi hanno scritto di questo libro quello che simerita.
Il procedimento per contagio che ho appena descritto dilaga a proposito dei processi celebrati a Trento nel 1475, ai quali è dedicata la maggior parte del libro. Un gruppo di ebrei confessarono sotto tortura di aver ucciso un bambino di due anni, Simonino. Ariel Toaff si chiede «se quelle descrizioni o quei resoconti, estorti con la tortura, fossero autentici e reali o piuttosto costituissero il frutto delle pressioni suggestive degli inquisitori». La risposta si snoda in due tempi: anzitutto, le confessioni vengono spogliate «dell'elemento più problematico, costituito dall'ammissione dell'uso del sangue del bambino cristiano, sciolto nel vino e mescolato all'impasto delle azzime» (p. 163). Poi si esaminano le descrizioni della Pasqua ebraica contenute nelle confessioni degli imputati. Esse, conclude Ariel Toaff, «si rivelano precise e veritiere. A parte i particolari sull'uso del sangue nel vino e nelle azzime, di cui parleremo in seguito e il cui sporadico inserimento nel testo non vale a modificare il quadro generale, i riscontri sono sempre puntuali» (p. 170). Ancora una volta l'autenticità delle descrizioni della Pasqua ebraica rese da ebrei dimostrerebbe la veridicità delle confessioni sull'omicidio rituale. In particolare, la presenza di elementi anticristiani nel rituale descritto, sotto tortura, dagli imputati sarebbe un «riscontro» che dimostrerebbe la colpevolezza degli imputati. L'esistenza di eventi specifici viene provata sulla base di un contesto culturale generico: un'assurdità che salta agli occhi.
Che un tema così grave sia stato affrontato con tanta superficiale irresponsabilità lascia sgomenti. Eppure un libro come questo ha trovato un editore (che si credeva rispettabile) e degli estimatori. Naturalmente nessuno discute il diritto di scrivere, pubblicare o lodare un libro pessimo: ognuno è responsabile delle proprie scelte. Certo, questa mancanza di discernimento critico (per non parlar d'altro) è penosa. A che cosa attribuirla? In qualche caso s'intravede la seduzione del rumore mediatico, che è per molti irresistibile. Ma forse dietro la disponibilità a prendere per buone le confessioni degli ebrei accusati di omicidio rituale agisce un elemento più oscuro: la convinzione strisciante che la tortura (una pratica percepita come diffusa, inevitabile, in fondo normale) sia una via per arrivare alla verità. Qualche volta la sordità morale e quella intellettuale s'intrecciano, rafforzandosi a vicenda.

LIBERO del 23 febbraio pubblica due opinioni contrastanti sul caso Toaff.
Angelo Pezzana sottolinea l'incosistenza di "Pasque di sangue" come opera storica e nega che contro il suo autore vi sia stata una campagna intimidatoria:

Quando ho avuto fra le mani  il libro “Pasque di sangue”, e ne ho verificato il contenuto, mi sono augurato che la tesi dell’autore potesse rimanere fra quelle pagine. Purtroppo, il giorno successivo, il Corriere della Sera usciva con una intervista a piena pagina, esaltando i pregi di quella che veniva definita una "attenta e profonda ricerca storiografica durata anni". Leggere che uno storico,  per giunta ebreo (e con quel cognome !), dimostrava che nel Medio Evo  gli ebrei uccidevano bambini cristiani, usandone  il sangue per impastare le azzime di Pasqua, aveva dato fuoco alle polveri e il “caso” esplodeva immediatamente. In 24 ore il libro era ovunque esaurito.

Quindi  non è vero che il libro è stato ritirato dalle librerie, secondo una dichiarazione dello stesso Toaff e su sua richiesta. Per la semplice ragione che il libro, con una tiratura intorno alle 3ooo copie, e quindi distribuito nelle librerie nella misura di una o due copie al massimo, come succede abitualmente ai libri del Mulino che affrontano argomenti di storia per un pubblico molto ristretto, non poteva essere “ ritirato “ perchè era già esaurito.

E’ vero che ne è seguita quasi subito, e in modo fin troppo tempestivo, una condanna da parte dei rabbini italiani, ma mi chiedo perchè, nel deprecare tale iniziativa, si sia usata la parola “ fatwa “, parola araba che invita ad uccidere qualcuno giudicato colpevole dalla legge coranica. I rabbini hanno semplicemente fatto il loro mestiere, cioè hanno spiegato, non lanciato anatemi, che nella tradizione ebraica l’uso del sangue, a qualunque fine, è totalmente proibito. Nelle regole alimentari, ad esempio,la carne, prima di essere mangiata, deve essere stata dissanguata completamente, per cui la sola idea di cuocere qualcosa che contengua sangue, non è nemmeno ipotizzabile. Certo, hanno anche sottolineato la pericolosità che una tesi del genere, una volta diffusa avrebbe creato in tutto il mondo, offrendo un’arma all’antisemitismo, da aggiungersi a quanti ancora oggi, soprattutto nel mondo arabo, diffondono i “ Protocolli degli anziani di Sion “, spacciandolo per un libro di storia invece di un falso, come è stato dimostrato senza prova di smentita. Ma il libro di Toaff, una volta letto, è stato smontato pezzo per pezzo da storici autorevoli, come dimostrano articoli e interviste uscite sui giornali, non solo italiani. E gli argomenti sono inappugnabili. Ariel Toaff sarà pure uno storico, ma la sua ricerca non ha prodotto nulla di nuovo, i documenti che ha pubblicato erano tutti già conosciuti, e il “caso Simonino” era chiuso.  Vorrei dire che l’autorità che aveva provveduto a mettere la parola fine alle speculazioni era stata la stessa Chiesa cattolica. Fu Papa Sisto IV, a decretare nel l475 che il processo che aveva portato alla condanna a morte di ventitrè ebrei con l’accusa di aver ucciso un bambino cristiano per usarne il sangue durante riti religiosi ebraici, era tutta una montatura dell’Arcivescovo di Trento, come aveva dimostrato l' inviato del Papa, il vescovo domenicano di Ventimiglia Giovan Battista  Dei Giudici. Sottoposti a tortura, ci furono quelli che confessarono, ma sappiamo bene quale valore può avere una confessione estorta con la tortura. Non capire quale terribile tragedia può riaprirsi in ogni parte del mondo se al “lavoro scientifico” di Toaff venisse dato anche solo il credito della buona fede, significa non aver capito nulla della storia del popolo ebraico. Ad esempio, quanto abbia pesato, nella bimillenaria persecuzione, un’altra falsa accusa, quella del deicidio. Gli ebrei hanno dovuto risponderne, senza averne nessuna colpa, fino a pochi decenni fa, sino a quando la sensibilità e la profonda onestà pastorale di Papa Giovanni XXIII, non calcellarono dalla dottrina della Chiesa cattolica quell’orrenda menzogna. Pagata però con la vita da tutto un popolo. In nome della libertà della scienza, dell’indipendenza della ricerca, accetteremmo di prendere sul serio un libro la cui tesi, senza alcuna prova come quello di Toaff, ci venisse a dire che gli ebrei sono stati loro a uccidere il figlio di Dio, e quindi meritevoli di sentirsi accusare, di nuovo, di deicidio la domenica dai pulpiti delle chiese cattoliche ? No di certo, il buon senso, prima di ogni altra considerazione, ci spingerebbe a rinviare al mittente una tesi simile. Allora perchè il libro di Toaff, che riafferma una menzogna senza smentirla, ha trovato dei difensori ? 

Di seguito, l'articolo di Alessandro Gnocchi, in difesa di Toaff:

Il caso Toaff non ha niente a che vedere con la libertà di ricerca. Lo storico quindi non merita di essere difeso. Adesso il professore cerca di farsi passare per martire; in realtà ha sbagliato e deve pagare il conto per le enormità che ha scritto nel suo "Pasque di sangue". In più, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo perché ha chiesto all'editore di ritirare il libro dal mercato. Le cose stanno davvero così? Non ci sembra. Sgombriamo subito il campo da un equivoco antipatico: difendere lo storico Ariel Toaff non significa difendere le sue tesi. E non vuol dire negare le terribili e ingiuste sofferenze subìte dal popolo ebraico. Significa soltanto affermare il diritto di discutere liberamente di qualsiasi tema, anche il più scioccante, senza essere sottoposti a linciaggio. "Pasque di sangue", dopo la prima (positiva) recensione del Corriere del Sera, a cura di Sergio Luzzatto, è stato demolito molto prima che raggiungesse gli scaffali delle librerie. Troppe stroncature sono state preventive: addirittura si aprivano con l'ammissione di non aver sfogliato il libro. Altre ne mettevano in ridicolo il metodo scientifico, facendone però la caricatura e non un resoconto puntuale: infatti non è esatto che lo storico abbia utilizzato in modo acritico le confessioni estorte sotto tortura, come avrebbe fatto un principiante qualsiasi. Il metodo sarà sbagliato lo stesso, ma non corrisponde a quello presentato dalla gran parte dei giornali "autorevoli".Quasi tutti i partecipanti al dibattito hanno poi aggiunto una postilla spiacevole: tirare fuori un argomento come gli omicidi rituali ebraici non giova a nessuno e offre una potente arma all'antisemitismo. Il messaggio implicito - molto simile a un ricatto è questo: chi giudica questo libro col metro abituale che si riserva a un saggio di storia è come minimo un fiancheggiatore dell'antisemitismo. Che dire poi del comunicato firmato dai rabbini capo delle comunità italiane in cui si diceva che il libro non deve neppure essere preso in considerazione? Qualche storico, intervistato da Libero, lo ha definito una «scomunica» a tutti gli effetti. Solo lui deve tacere

Negli ultimi anni abbiamo assistito, in Europa come nel resto del mondo, a una serie di episodi poco rassicuranti per chi ha a cuore la libertà d'espressione. Di recente, lo storico David Irving è finito in carcere in Austria a causa delle sue idee aberranti sull'Olocausto. Anche in questo caso, ferma restando l'unanime condanna delle opinioni di Irving, molti commentatori hanno convenuto che porre limiti (per legge) alla ricerca è sbagliato e controproducente, perché apre la porta alla censura. In Italia, poche settimane fa, un gruppo di storici ha firmato un documento che rigetta la legge Mastella, che vorrebbe introdurre anche nel nostro ordinamento il reato di «negazionismo». Toaff invece è stato scaricato più o meno da tutti. Davvero non c'entra nulla la libertà d'espressione? Facciamo un esercizio di fantasia. In Italia si pubblicano con una certa costanza libri che prendono a schiaffoni il Vaticano. Talvolta gli autori lasciano perdere le argomentazioni razionali e cadono nel puro delirio. Bene. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se i vescovi italiani sottoscrivessero la "scomunica" di uno qualsiasi di questi pamphlet. Cosa farebbero i quotidiani oggi impegnati a bacchettare Toaff di fronte a una simile presa di posizione? Non ci vuole molta immaginazione. Ci sarebbe la reazione, giustamente indignata, di tutti gli editorialisti di tutti i giornali del nostro Paese. E ciò, altrettanto giustamente, a prescindere dal contenuto del volume in questione. Si griderebbe al ritorno della Santa Inquisizione, si ricorderebbe il sacrificio di Giordano Bruno, si organizzerebbero cortei di protesta in piazza San Pietro, si invocherebbe la rescissione del Concordato. Nel caso di Ariel Toaff, quasi tutti hanno scelto una linea diametralmente opposta ancora prima di aver sfogliato "Pasque di sangue": lui deve tacere. Perché?



Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera e Libero


lettere@corriere.it
segreteria@libero-news.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT