In merito alla vicenda del libro di Ariel Toaff "Pasque di sangue" , che da credito alla leggenda degli omicidi rituali ebraici, e sulla recensione di Sergio Luzzato Informazione Corretta fa proprie le considerazioni di questa lettera inviata alla redazione del Bollettino della Comunità ebraica di Milano e mandata in copia in redazione:
Per una volta tanto non è colpa del Corriere. Sono Ariel Toaff e Sergio Luzzatto, che ci ha inzuppato il suo veleno, ad avere ridato voce a uno dei più ripugnanti aspetti dell'antisemitismo. Se non si ha il coraggio di dirlo, allora smettiamola di criticare David Irving & C.
Si può essere antisemiti per scelta, per male fede o per stupidità. Grave quando le tre voci si ritrovano insieme. Oppure Toaff e Luzzatto sono solo degli "ebrei che sbagliano" ?
Dalla REPUBBLICA dell'8 febbraio 2007, un articolo di Anna Foa che mette in luce l'assenza di una documentazione nuova e le scorrettezze nell'uso delle fonti nel libro di Toaff:
In molte parti dell´Europa occidentale, fra il XII e il XVI secolo, e successivamente fino al XX secolo in Europa Orientale, gli ebrei sono stati accusati di uccidere bambini cristiani, per lo più in occasione della Pasqua ebraica, allo scopo di ripetere ritualmente l´uccisione di Cristo o a quello di utilizzarne il sangue a scopi rituali, medicinali o magici. Un´accusa - originariamente di natura religiosa, ma successivamente ripresa in Europa dall´antisemitismo razziale e poi dal nazismo, e diffusasi ulteriormente, fino ad oggi, in area islamica - che ha evidentemente avuto nella storia gravi conseguenze: dai pogrom scatenati dal basso, senza processo, contro le comunità ebraiche nel Medioevo, alla costruzione tra Otto e Novecento di quello stereotipo antisemita che ha fatto da supporto allo sterminio nazista degli ebrei. Concordemente, la storiografia del Novecento ha considerato simili accuse come costruzioni in chiave antigiudaica degli apparati di potere e giudiziari del Medioevo, e le confessioni degli ebrei come false, estorte con la tortura e la violenza.
Ed ecco che Ariel Toaff pubblica un libro, Pasque di sangue (il Mulino, pagg. 366, euro 25), dove si propone di restituire realtà storica a queste accuse. Un libro che Sergio Luzzatto riprende in un articolo del 6 febbraio del Corriere della Sera (e non posso che augurarmi che Ariel Toaff intervenga direttamente, al di là del libro, sul delicato terreno dei media, a spiegare se e quanto si identifica con la lettura "sensazionalistica" di Luzzatto). Mi limiterò, in questo mio intervento "a caldo", a toccare il problema delle fonti, in attesa che gli storici affrontino e discutano queste tesi senza scomuniche ma anche senza apologie. Infatti, la domanda che ognuno, storico o non storico che sia, si è posta immediatamente alla lettura dell´articolo di Luzzatto, è su quali fonti Toaff abbia basato questo suo rivolgimento della tesi, ovunque condivisa dagli storici, che le accuse del sangue fossero invenzioni prive di qualunque realtà. Perché, per sostenere che gli ebrei, nel lungo spazio di oltre quattro secoli, hanno avuto l´usanza di uccidere ritualmente a Pasqua bambini cristiani, con tutte le implicazioni che questa affermazione comporta sul terreno dell´attualità, certo egli dovrebbe essersi imbattuto in una messe di fonti inoppugnabili, sfuggite finora all´attenzione tanto degli storici quanto dei giudici del passato, che si erano limitati a basare le loro condanne sulle testimonianze processuali.
In realtà, non sembra proprio che Ariel Toaff abbia trovato fonti che rovescino l´interpretazione tradizionale. Districarsi nella gran mole delle sue eruditissime note è arduo, ma quando ci si riesce si ha la sensazione di ritrovarsi con nulla di concreto in mano. Il suo libro è infatti una reinterpretazione, basata sulla sua personale rilettura delle stesse fonti su cui gli storici si sono basati invece per respingere l´accusa: le fonti processuali. Queste fonti, Toaff le rovescia, passando frequentemente e con disinvoltura dal condizionale delle ipotesi all´indicativo delle affermazioni, le combina con grande maestria con altre fonti, una gran parte delle quali dichiarazioni di accusati o di neofiti oppure testi apologetici antigiudaici, a supporto della tesi del suo libro: che l´omicidio rituale sia stata una pratica abituale non di tutto il mondo ebraico, ma dell´area ashkenazita (cioè tedesca, a cui apparteneva anche la comunità di Trento), un´area caratterizzata da una forte chiusura nei confronti del mondo cristiano, in un periodo storico assai vasto, che va dai massacri di ebrei durante la prima crociata al primo Cinquecento.
Prendiamo il processo di Trento, al centro del libro di Toaff, un caso molto studiato, la cui documentazione è stata in gran parte pubblicata qualche anno fa da Diego Quaglioni e Anna Esposito. L´assunto da cui Toaff parte è che le deposizioni degli ebrei sotto processo a Trento siano generalmente veritiere, e questo per la sola ragione che sarebbero troppo concordanti e troppo particolareggiate per essere una pura invenzione dei giudici. Le stesse notazioni potrebbero provare l´opposto, come dimostrano molti processi, non ultimi quelli di stregoneria, in cui le donne sotto processo, richieste (sotto tortura, non importa quanto regolamentata) di denunciare i complici, si diffondono minuziosamente su eventi e narrazioni che sembrano appartenere al loro mondo, non a quello degli inquisitori. Ne dobbiamo dedurre che andare al sabba era una pratica femminile comune tra Trecento e Settecento?
Un´ultima parola su una questione che non tocca la storia ma la memoria. La memoria dell´uso che di queste accuse è stato fatto nel corso della Shoah è ancora troppo viva perché non si debba usare un certo riguardo nel ricostruire, e per di più senza reali supporti, immagini angosciose di ebrei che commerciano sangue umano. Se questo può spiegare il sensazionalismo, spiega anche l´emozione che lo ha accolto, che esige rispetto e toni smorzati.
Da AVVENIRE, la posizione dello storico della Chiesa Iginio Rogger sul caso di Simone da Trento:
«Per noi, e per la scienza storica, il caso Simonino era chiarito. Chi vuole rimetterlo in discussione, deve poter documentare un'indagine storica dello stesso livello, altrettanto rigorosa, prima di impugnare ciò che generazioni di studiosi hanno appurato».
È rimasto sorpreso dalle anticipazioni del libro di Ariel Toaff Pasque di sangue (in uscita dal Mulino), ma con il distacco dello studioso onesto, monsignor Iginio Rogger, decano degli storici trentini, accetta di ribattervi a caldo («vorrei però leggere integralmente il libro») per documentare la posizione della Chiesa trentina che nel 1965 aveva abolito il culto di san Sinonimo (vittima nel 1475 di «un omicidio rituale ebreo» inesistente), proprio sulla base della ricerca storica.
Della decisiva "Notificazione" del 28 ottobre 1965, con cui l'arcivescovo Alessandro Maria Gottardi, sentita la Sede Apostolica, disponeva una "prudente rimozione" del culto autorizzato ancora nel 1588 da Sisto V, monsignor Rogger era stato principale ispiratore, proprio in nome della corretta applicazione «della regola scientifica che non può accontentarsi dell'autenticità formale e filologica di un documento, ma deve porsi il quesito della rispondenza alla realtà dei fatti». Un metodo che Rogger vorrebbe ritrovare nelle argomentazioni degli storici di oggi e che egli, aveva visto applicato già nel 1903 dallo studioso Giuseppe Menestrina proprio nell'esame del caso Simonino in una tesi all'Università di Innsbruck.
Le conclusioni di quella ricerca investigativa - «gli ebrei non sono responsabili dell'uccisione del piccolo Simone da Trento, ritrovato morto in una roggia» - venne ribadita in profondità nel 1964 dagli studi del grande storico domenicano padre Paul Willehad Eckert e poi confermata dalla ricostruzione dell'intero meccanismo processuale da parte dell'équipe della Facoltà di Giurisprudenza diretta dal professor Diego Guaglioni.
«Quella conclusione per me è ancora imbattibile, condivisa anche da studiosi ebrei e protestanti», ripete oggi Rogger, 87 anni, che peraltro ricorda bene quanto la popolazione trentina fosse affezionata a quella devozione. Con gli anni, però, abolite le processioni (perfino l'intitolazione al santo di una via nel centro storico di Trento, oggi "via del Simonino"), si è compresa l'importanza di quell'intervento pastorale: «Proprio l'argomentazione razionale - commentava Rogger in un intervento pubblico lo scorso anno - ha contribuito a vincere il sospetto, da più parti insinuato, che l'abolizione fosse determinata da simpatie filo ebraiche divenute di moda all'indomani dello sterminio nazista».
Ebbe anche l'effetto di togliere di mezzo un'insanabile frattura che sussisteva anche fra i cittadini di Trento e le comunità ebraiche, oltreché a facilitare anche ad alti livelli, in Germania ma non solo, il dialogo fra ebrei e cristiani. È significativo che Trento ospitò già nel 1979 una sessione della Commissione Vaticana per i rapporti con l'ebraismo e nel giugno 1992 autorevoli rappresentati ebraici scoprirono una targa sul palazzo dove sorgeva la sinagoga cittadina, a ricordo della riconciliazione dopo l'abrogazione del culto al Simonino.
Ma perché allora il libro di Ariel Toaff va a ripescare il caso di Trento? «Non c'è dubbio che nella panoramica dei vari omicidi in Europa attribuiti agli ebrei quello del Sinonimo si presenta come il più attestato, provvisto di una massa ingente di documenti contemporanei ai fatti, mentre gli altri casi si perdono generalmente nella leggenda», osserva Rogger. «Ma proprio perché episodio ben preciso, esso presenta nomi, dati e circostanze ben chiare, sulle quali è stato fatto - non da me, tengo a precisarlo - un lavoro di ricerca storica molto accurato. Vedo, insomma, una sproporzione fra le tesi generiche annunciate finora nel libro di Toaff e la ricchezza di studi molto seri prodotta in tanti anni, anche dietro stimoli provenienti dagli ebrei. Resto peraltro disponibile - conclude pacatamente Rogger - a prestare attenzione alle conclusioni che uno studioso, ebreo o non ebreo, presenterà sulla base di un'indagine storica corretta, che tenga conto della bibliografia già esistente».
Dal CORRIERE della SERA , un'intervista di Aldo Cazzullo ad Ariel Toaff:
ROMA — «Mio padre è un uomo di novantadue anni. Sarebbe stato giusto risparmiarlo. Tenerlo fuori da questa storia. Io mi sono comportato così. Avevo deciso di dedicargli il libro, ma ho rinunciato, proprio per non coinvolgerlo, per non nascondermi dietro il prestigio del suo nome. Per lo stesso motivo ho evitato di parlargli del libro, di farglielo leggere prima della pubblicazione. Ora invece è accaduto il contrario: mio padre viene usato contro di me. Il suo nome viene strumentalizzato per lanciare un interdetto contro il mio libro. Anche un tempo i rabbini erano soliti bruciare i libri proibiti.
Prima però li leggevano».
Ariel Toaff è un uomo turbato. Vive in Israele, insegna storia del Medioevo e del Rinascimento presso la Bar-Ilan University fin dal 1971. Ora è in Italia, a Roma, chiuso in albergo. «Sto cercando di mettermi in contatto con mio padre, ma invano.
Non mi ci fanno parlare.
Né posso andare a casa sua: il quartiere ebraico in questo momento non sarebbe sicuro per me.
Preferisco non parlare delle minacce che ho ricevuto. Ho chiesto aiuto ai miei fratelli, Gadi, che vive a Salonicco, Daniel, che fa il giornalista alla Rai, e Miriam, che vive in Israele con suo marito, il professor Della Pergola. Spero di aver modo presto di parlare con mio padre, di potermi spiegare con lui. È vero, ho infranto un tabù. Ma non ho detto falsità contro la famiglia cui appartengo, contro gli ebrei».
Il padre di Ariel, Daniel, Gadi e Miriam è Elio Toaff. La massima autorità morale dell'ebraismo italiano, una delle coscienze della nazione: amico d'infanzia di Carlo Azeglio Ciampi, storico rabbino capo di Roma. Anche Elio Toaff si è associato alla dura condanna del libro di suo figlio («Non sono affatto d'accordo con lui, anzi sono assolutamente contrario»), pronunciata in un comunicato dal presidente dell'Assemblea dei rabbini d'Italia, Giuseppe Laras, dal presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e da tutti i rabbini capi (compreso il successore di Toaff a Roma, Riccardo Di Segni).
Il libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue,
pubblicato in questi giorni dal Mulino, è stato recensito martedì scorso sul
Corriere da Sergio Luzzatto, che l'ha definito «un gesto di inaudito coraggio intellettuale»: il mito dell'infanticidio e dei sacrifici umani non sarebbe solo una menzogna antisemita; in particolare viene riaperto il caso dell'atroce morte di Simonino, un bambino di Trento venerato fino al 1965 dalla Chiesa cattolica come beato. La famiglia protegge la riservatezza di Elio Toaff: l'anziano rabbino aspetta di leggere il libro del figlio, di conoscere le carte; certo novità così rivoluzionarie, che neppure — è il ragionamento affidato alle conversazioni private — negli anni più bui delle persecuzioni novecentesche sono state avvalorate dagli storici antisemiti, gli appaiono improbabili.
Ma Toaff padre bada a sfuggire alla contrapposizione familiare, per lui particolarmente dolorosa; né intende condannare un libro prima di averlo letto con attenzione. Semplicemente, di fronte alla domanda di un giornalista, non ha potuto trattenersi dal ricordare che né la Torah, né la millenaria tradizione ebraica considerano lecito cibarsi del sangue degli animali, a maggior ragione di altre creature viventi.
Anche Ariel Toaff vuole uscire dallo schema della contrapposizione in famiglia. Vuole anzi incontrare il padre per chiarirsi con lui in privato.
«Non provo alcuna acrimonia nei suoi confronti; non potrei mai. È troppo grande il rispetto e l'amore che mi lega a lui. Ci separa una distanza fisica ma non di sentimenti, ogni volta che passo da Roma vado a trovarlo, abbiamo anche scritto un libro insieme. Questa volta non l'ho coinvolto nelle mie ricerche proprio per non creargli problemi: sarebbe stato considerato corresponsabile. E se anche gliene avessi parlato, oggi lo negherei, per lo stesso motivo. Per questo mi indigna che mio padre sia tirato in ballo e schierato strumentalmente contro di me e il mio lavoro. Non è la prima volta che su di lui vengono esercitate pressioni. Ad esempio quando ha espresso le sue perplessità, che condivido, circa la legge sul carcere per i negazionisti, è stato poi indotto a ritrattare».
«Ora i rabbini hanno lanciato un interdetto non contro il mio libro, che non possono aver letto, ma contro la recensione di Luzzatto. Che peraltro era fedele. Contro di me usano argomenti falsi. So anch'io che non bastano le confessioni estorte sotto tortura per confermare un fatto. Proprio per questo sono andato alla ricerca di fonti documentali, le quali talora avvalorano quelle confessioni; che in casi come la morte di Simonino non rappresentano soltanto la proiezione dei desideri dell'inquisitore. Del resto, applicando lo stesso ragionamento alla storia dell'Inquisizione, neppure gli eretici e i marrani sarebbero mai esistiti. Non è così. So bene anche che la Torah e l'etica ebraica non consentono di sacrificare esseri umani o di cibarsi di sangue; ma questo non significa che questi crimini non siano mai stati commessi. Il mio saggio non avvalora affatto lo stereotipo diffuso nei secoli dalla propaganda cattolica; semplicemente non ha paura dei fatti. Purtroppo il comunicato dei rabbini dimostra che infrangere i tabù è pericoloso. E gli studi sugli infanticidi e l'uso rituale del sangue sono ancora un tabù, per gli ebrei. La bibliografia sull'argomento è sterminata; ma tutti i testi, sia quelli accusatori sia quelli apologetici, sono scritti da cristiani, antisemiti o filosemiti che siano. Mai un ebreo aveva finora affrontato l'argomento».
« Pasque di sangue non è un libro scritto in un mese e mezzo. Sono 400 pagine, costituite per un terzo da documenti in nota, costate sette anni di lavoro. I rabbini l'hanno stroncato con un giro di telefonate. Ero e sono consapevole della delicatezza dell'argomento: per questo ho tenuto fermo il libro due anni. Ho chiesto l'aiuto di studiosi, che hanno potuto consultare il mio archivio in Italia. Mi sono rivolto a colleghi e allievi in Israele. Ho mandato capitoli interi da rileggere a esperti stranieri e italiani. Ho preferito non riferire nel libro alcuni casi, in cui non era perfettamente certo che le confessioni trovassero conferma nei documenti. Ma le reazioni prescindono dalle carte, dalla ricerca, dalla verità. Da anni dirigo una rivista di cultura ebraica; i finanziatori mi hanno appena telefonato per dirmi che o mi dimetto o la rivista chiude. Sto pagando un prezzo molto alto per aver violato un tabù. Sarebbe troppo se, per colpa di altri, a questo prezzo si aggiungessero la stima e l'affetto di mio padre».
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