Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Nell'ebraismo l'uso rituale del sangue è impensabile un libro dello storico Ariel Toaff e la risposta dei rabbini italiani
Testata:Corriere della Sera - La Stampa Autore: Antonio Carioti - Sergio Luzzatto - Elena Loewenthal Titolo: «I rabbini contro Ariel Toaff: le Pasque di sangue sono leggenda - Quelle Pasque di sangue - Sacrifici umani, gli ebrei divisi»
Uno storico inaccurato che presta fede a confessioni estorte con la tortura. E uno storico-giornalista in cerca dello scandalo, specialista nel confondere le acque circa la storia ebraica ( e nel criticare Israele) E sulle pagine del CORRIERE della SERA, torna l'accusa degli omicidi rituali
Dal CORRIERE della SERA del 7 febbraio 2007
La questione è straordinariamente delicata, tocca un nodo cruciale e quanto mai doloroso nei rapporti tra ebraismo e cristianesimo. Tanto che i rabbini d'Italia si sono sentiti in dovere d'intervenire con un documento ufficiale. Ieri il «Corriere della Sera» ha recensito, con un articolo di Sergio Luzzatto, un libro di Ariel Toaff dal contenuto sconvolgente. Secondo l'autore di Pasque di sangue (edito dal Mulino), la gravissima accusa di omicidio rituale rivolta per lunghi secoli agli ebrei, che avrebbero ucciso bambini cristiani per usare il loro sangue nelle celebrazioni pasquali, non sarebbe del tutto priva di fondamento. Toaff, docente di Storia del Medioevo e del Rinascimento presso la Bar-Ilan University in Israele, sostiene che tra il XII e il XV secolo alcuni ambienti integralisti del giudaismo ashkenazita avrebbero effettivamente praticato riti del genere. Il che getterebbe nuova luce su molti terribili episodi, che videro ebrei incarcerati, torturati e uccisi sulla base di accuse che fino ad ora si ritenevano soltanto frutto di allucinazioni antisemite. Contro la tesi di Toaff è giunta ieri una presa di posizione molto netta degli esponenti religiosi israeliti: «Non è mai esistita nella tradizione ebraica — si legge nel comunicato — alcuna prescrizione né alcuna consuetudine che consenta di utilizzare sangue umano ritualmente. Questo uso è anzi considerato con orrore». Parole sottoscritte da firme della massima autorevolezza: il presidente dell'Assemblea dei rabbini d'Italia, Giuseppe Laras, il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e tutti i rabbini capi, come Riccardo Di Segni (Roma), Alfonso Arbib (Milano), Alberto Somekh (Torino), Alberto Sermoneta (Bologna) Giuseppe Momigliano (Genova), Joseph Levi (Firenze), Elia Richetti (Venezia). Aspro il giudizio sulla ricerca di Toaff, al quale si è associato anche il padre dello studioso, Elio Toaff, che è il rabbino emerito di Roma: «È assolutamente improprio — afferma il comunicato — usare delle dichiarazioni estorte sotto tortura secoli fa per costruire tesi storiche tanto originali quanto aberranti. L'unico sangue versato in queste storie è quello di tanti innocenti ebrei massacrati per accuse ingiuste e infamanti». Il riferimento è a processi come quello tenuto a Trento dopo il ritrovamento di un bambino morto, Simonino, nel 1475. Quindici ebrei furono condannati a morte con l'accusa di aver ucciso il piccolo per motivi rituali. E Simonino venne beatificato. Solo in seguito al Concilio Vaticano II, nel 1965, il culto fu soppresso, anche in segno di rispetto verso il mondo ebraico. Il caso sembrava chiuso. Ora il libro di Toaff, che alla vicenda di Trento dedica molto spazio, riapre in qualche modo la ferita, sia pure solo all'interno del mondo ebraico.
Riportiamo di seguito in modo più completo la dichiarazione dei rabbini italiani:
"Non è mai esistita nella tradizione ebraica alcuna prescrizione né alcuna consuetudine che consenta di utilizzare sangue umano ritualmente. Questo uso è anzi considerato con orrore. E' assolutamente improprio usare delle dichiarazioni estorte sotto tortura secoli fa per costruire tesi storiche tanto originali quanto aberranti. L'unico sangue versato in queste storie è quello di tanti innocenti ebrei massacrati per accuse ingiuste e infamanti".
Di seguito, l'articolo di Luzzatto:
Trento, 23 marzo 1475. Vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica. Nell'abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca, il prestatore di denaro Samuele da Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo cristiano: Simonino, due anni, figlio di un modesto conciapelli. La città è sotto choc. Unica consolazione, l'indagine procede spedita. Secondo gli inquirenti, hanno partecipato al rapimento e all'uccisione del «putto» gli uomini più in vista della comunità ebraica locale, coinvolgendo poi anche le donne in un macabro rituale di crocifissione e di oltraggio del cadavere. Perfino Mosé «il Vecchio», l'ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe del corpo appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a tortura, gli ebrei si confessano responsabili dell'orrendo delitto. Allora, rispettando il copione di analoghe punizioni esemplari, i colpevoli vengono condannati a morte e giustiziati sulla pubblica piazza. Durante troppi secoli dell'era cristiana, dal Medioevo fino all'Ottocento, gli ebrei si sono sentiti accusare di infanticidio rituale, perché quelle accuse non abbiano finito con l'apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce. Unicamente la tortura — si è pensato — poteva spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di avere ucciso bambini dei gentili: facendo seguire all'omicidio non soltanto la crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di cannibalismo rituale, cioè il consumo del giovane sangue cristiano a scopi magici o terapeutici. Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l'esodo degli ebrei dalla cattività d'Egitto celebrando la loro libertà e promettendo la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di un goi katan, un «piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia della Shoah, è comprensibile che l'«accusa del sangue» sia divenuta un tabù. O piuttosto, che sia apparsa come la miglior prova non già della perfidia degli imputati, ma del razzismo dei giudici. Così, al giorno d'oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale poteva consentire di riaprire l'intero dossier, sulla base di una domanda altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo — le crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l'uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa — si parla di miti, cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla di riti, cioè di eventi reali e addirittura prescritti dai rabbini? Il gesto di coraggio è stato adesso compiuto. L'inquietante domanda è stata posta alle fonti dell'epoca, da uno storico perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini gastronomiche, oltreché della vicenda intrecciata dell'immaginario ebraico e di quello antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in Israele, Ariel Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e grave sin dal titolo, Pasque di sangue. Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del mercato. Tuttavia, va pur detto che Pasque di sangue propone una tesi originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che dal 1100 al 1500 circa, nell'epoca compresa tra la prima crociata e l'autunno del Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani — o forse molte — avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia contro intere comunità ebraiche, al massacro punitivo di uomini, donne, bambini. Né a Trento nel 1475, né altrove nell'Europa tardomedievale, gli ebrei furono vittime sempre e comunque innocenti. In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa fra il Reno, il Danubio e l'Adige, una minoranza di ashkenaziti fondamentalisti compì veramente, e più volte, sacrifici umani. Muovendosi con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia, dell'antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella celebrazione della Pasqua ebraica: il sangue dell'agnello, che celebrava l'affrancamento dalla schiavitù d'Egitto, ma anche il sangue del prepuzio, proveniente dalla circoncisione dei neonati maschi d'Israele. Era sangue che un passo biblico diceva versato per la prima volta proprio nell'Esodo, dal figlio di Mosè, e che certa tradizione ortodossa considerava tutt'uno con il sangue di Isacco che Abramo era stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di Pesach, il pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere, mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le dieci maledizioni d'Egitto. Quale sangue poteva riuscire più adatto allo scopo che quello di un bambino cristiano ucciso per l'occasione, si chiesero i più fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff? Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei da consumare a scopo augurale, così da precipitare la rovina dei persecutori, maledetti seguaci di una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a vendicare i terribili gesti di disperazione — gli infanticidi, i suicidi collettivi — cui gli ebrei dell'area tedesca erano stati troppe volte costretti dall'odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie d'Israele si vedeva imposti nel nome di Gesù Cristo. Oltreché questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale) aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da indurli a sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di ingerirlo in qualsiasi forma. Secondo i dettami di una Cabbalah pratica tramandata per secoli, il sangue valeva a placare le crisi epilettiche, a stimolare il desiderio sessuale, ma principalmente serviva come potente emostatico. Conteneva le emorragie mestruali. Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto rimarginava istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da qui, nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi, un andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse di pelle dal fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica del prodotto, sangue kasher... Risale a vent'anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, Il sugo della vita (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del sangue nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi in cui i cattolici italiani del Medioevo e dell'età moderna riciclarono sangue a scopi terapeutici o negromantici: come il sangue glorioso delle mistiche, da aggiungere alla polvere di crani degli impiccati, al distillato dai corpi dei suicidi, al grasso di carne umana, entro il calderone di portenti della medicina popolare. Con le loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell'ebraismo ashkenazita offrirono la propria interpretazione — disperata e feroce — di un analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo enormemente più caro.
Infine, il commento di Elena Loewenthal pubblicato dalla STAMPA
Il passato ha misure tutte sue e la distanza nel tempo è una variabile arbitraria, capace di mostrare le cose per il verso giusto ma anche di sfalsarle fino al punto in cui non si riconoscono più. L’ultimo libro, ancora soltanto in uscita, di Ariel Toaff – storico israelo-italiano, docente all’Università Bar Ilan (ateneo «ortodosso» di Tel Aviv), intitolato Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (il Mulino), sta suscitando un pandemonio nei suoi (ancora virtuali) lettori nonché nell’opinione pubblica ebraica. La tesi di questo studioso, figlio del grande Elio Toaff, è sostanzialmente quella che le deposizioni degli ebrei interrogati nel corso del Medioevo dall’Inquisizione vadano prese, almeno in una certa misura, alla lettera. Studiate dunque queste confessioni, estorte sotto tortura agli ebrei incolpati delle uccisioni rituali, dal 1100 al 1500, nella zona di lingua tedesca compresa fra il Reno, il Danubio e l’Adige, Ariel Toaff sostiene che alcune crocifissioni di bambini cristiani siano avvenute davvero, allo scopo di procurasene il sangue per «condire» il pane. Una minoranza di ebrei askenaziti fondamentalisti avrebbe dunque compiuto veramente e più volte sacrifici umani. Quel sangue serviva per le azzime, il pane non lievitato che accompagna la festa di Pesach e per il vino della cena rituale che commemora l’Esodo dall’Egitto. E a tutto questo non sarebbero stati estranei alcuni rabbini di quella zona che avrebbero sfidato il dettame biblico di non ingerire il sangue in qualsiasi forma. Questa tesi sconcerta o lascia increduli vari esponenti dell’ebraismo italiano, quali il rabbino Riccardo Di Segni, che ha preso il posto di Elio Toaff alla guida dell’ebraismo italiano ed è, oltre che medico, uno studioso di grande livello. Insieme a lui insorgono tutti i rabbini italiani. La protesta è accomunata da un dolore indignato, ma soprattutto da una sostanziale incredulità. Questo scavo nel passato è infatti stato condotto essenzialmente su deposizioni estorte con la tortura. E, come dice l’ebraismo, un uomo non va colto nell’ora di quel dolore che sfigura invece di sublimare, che ti fa dire, pensare e fare cose che non hanno nulla a che vedere con la realtà. Ma ieri è arrivata anche la controreplica di Toaff figlio. «Quella dei rabbini è una dichiarazione obbrobriosa: se, prima di giudicare, avessero letto il libro se la sarebbero tranquillamente potuta risparmiare. E mi dispiace che abbiano trascinato anche mio padre. È difficile fare ricerca storica di fronte a preconcetti: nel mio libro, più di 400 pagine, ho voluto verificare se fosse soltanto uno stereotipo del pregiudizio antiebraico quello dell’uso di sangue cristiano per impastare le azzime di Pesach. Le mie ricerche dicono, nel Medioevo, alcune frange di ebrei fondamentalisti non rispettassero il divieto biblico di assumere sangue e che invece lo utilizzassero a scopo terapeutico. Non solo, queste frange facevano parte di quella vasta fascia di popolazione ebraica che aveva subito persecuzioni durissime a causa delle Crociate. Da questo trauma scaturì un desiderio di vendetta che in alcuni casi ha prodotto, in quelle frange, una serie di controreazioni tra le quali anche l’omicidio rituale di bambini cristiani».
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