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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.02.2007 Un nuovo pretesto fondamentalista per attaccare Israele: gli scavi intorno al Monte del Tempio
la stampa italiana "laica" e "progressista" rilancia

Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto
Autore: Alberto Stabile - la redazione - Michele Giorgio
Titolo: «Via le ruspe dalle Moschee l´ira degli arabi contro Israele - Lavori israeliani suscitano l’ira del mondo arabo - Palestina il leader in cerca di pace alla Mecca»

"Via le ruspe dalle Moschee l´ira degli arabi contro Israele"  è il titolo dell'articolo di Alberto Stabile pubblicato dalla REPUBBLICA del 7 febbraio 2007.
Lo stesso articolo di Stabile suggerisce, senza aderirvi, che la mobilitazione dei fondamentalisti islamici contro i
lavori di scavo intorno al Monte del Tempio sia pretestuosa e che i moderati si siano allineati per non diventare anch'essi bersaglio della propaganda estremista, additati come traditori dell'islam.
Nel titolo però ogni cautela scompare e le ruspe sembra addirittura che stiano lavorando nelle moschee, cosa assolutamente falsa.

Ecco il testo:

GERUSALEMME - Minacce, avvertimenti, appelli alla mobilitazione e persino al martirio. Il mondo islamico sembra di nuovo sul punto d´infuriarsi a causa dei lavori iniziati dalle autorità israeliane a ridosso della spianata delle Moschee, un luogo-simbolo tanto per i musulmani quanto per gli ebrei, dal quale più d´una volta, in passato, è partita la scintilla di scontri sanguinosi.
Il motivo, o il pretesto, che ha improvvisamente fatto evocare lo spettro di una nuova Intifada, è racchiuso nei timori delle autorità islamiche che le opere progettate per lo sgombero della massicciata che dal Muro del Pianto conduce alla porta del Magreb, l´accesso alla Spianata delle Moschee riservato ai turisti, possa compromettere la stabilità del «Nobile Santuario» (Al Haram al Sharif), considerato il terzo luogo santo dell´Islam.
A questo, s´aggiunge la paura perennemente serpeggiante tra i palestinesi che gli scavi, richiesti parallelamente dalla Sovrintendenza alle antichità per verificare la presenza di reperti archeologici, possano nascondere fini inconfessabili. E da qui a concludere che i lavori non sarebbero altro che un nuovo passo verso la "ebraicizzazione" della Gerusalemme araba, il passo è stato breve.
Diciamo subito che, se non fosse per il dispositivo di sicurezza messo in campo dalle autorità israeliane per prevenire incidenti, sarebbe difficile scorgere segni di tensione nella quiete pomeridiana che domina il cuore conteso delle due religioni. Ai piedi del Muro del Pianto si stagliano contro la pietra chiara le figure degli ebrei ultraortodossi, assorti nella lettura delle scritture. Poco fuori dai cancelli, una cinquantina di fedeli musulmani, riuniti nella preghiera della sera, si prostrano in direzione della Mecca. La cupola d´oro della Moschea di Omar lancia bagliori smorzati dalla pioggia. Avvolta da teli di plastica e da un cordone di agenti antisommossa e di Guardie di Frontiera, come un pezzo di ottovolante finito lì per caso, sorge la struttura di una passerella di legno che dovrà essere demolita e sostituita da un più solido ponticello in ferro. Una ruspa gialla fa la spola tra la passerella, considerata non più sicura dopo la pesante nevicata del 2004, e un grosso camion che ha già completato il suo primo carico di terra e pietre.
Eppure, al di là della calma apparente, s´avverte il tam-tam di una rabbia pronta a scattare in ogni momento. Basta ascoltare le parole dette da un portavoce di Hamas, secondo cui «qualsiasi assalto alla moschea» comporterebbe la fine della tregua dichiarata a novembre con Israele. Minacce che non sembrano impressionare i dirigenti israeliani. I lavori per demolire la collinetta e sostituire la passerella, vengono, infatti, considerati necessari e legittimi. «Non ci avviciniamo in alcun modo al monte del Tempio - sostiene il capo archeologo Yuval Baruch - . Si tratta d´informazioni sbagliate, che non hanno alcun legame con il nostro progetto». E quanto alle autorità islamiche del Waqf, «che vengano a vedere, non abbiamo niente da nascondere».
Ma è difficile che queste assicurazioni, da sole, possano bastare a tranquillizzare gli animi. Anche a livelli politici più responsabili, e non soltanto fra le organizzazioni militanti islamiche, sembra dominare l´intenzione di mettere le mani avanti, per non dovere domani essere costretti ad inseguire le reazioni della gente.
Colpisce il tono di Re Abdallah di Giordania, che mantiene la custodia dei luoghi santi islamici di Gerusalemme concessa a suo tempo al casato hashemita dalle autorità britanniche mandatarie. Colpisce quando afferma senza ombra di dubbio che «ciò che Israele sta facendo con le sue pratiche e i suoi attacchi contro i nostri sacri siti è una palese violazione inaccettabile sotto alcun pretesto». Spiega, però, il monarca hashemita, qual è la posta in gioco: i lavori «non aiuteranno gli sforzi in atto per rilanciare il processo di pace». E non esita a definire le opere iniziate ieri, «una pericolosa escalation». Se così parla un moderato come Re Abdallah, che dire dell´appello a «restare uniti e sollevarsi insieme per proteggere al Aqsa», lanciato dal premier palestinesi Ismail Haniyeh, o dell´invito al martirio «per fermare le ruspe» inviato dal pulpito dell´Università a Zahar, del Cairo, dall´autorevole rettore Mohammed Said Tantawi, massima autorità religiosa sunnita?
Rapidamente, la memoria storica corre alla "passeggiata" compiuta da Ariel Sharon nel 2000 sulla spianata delle Moschee (per gli ebrei il Monte del Tempio). Una provocazione studiata per riaffermare una sovranità discussa e lanciare la sua candidatura alle elezioni, da cui scaturì la seconda Intifada. Ieri, però, si sono avuti soltanto incidenti minori.

Totalmente appiattita sulla propaganda fondamentalista è la cronaca pubblicata dall'UNITA', con il titolo "SPIANATA MOSCHEE Lavori israeliani suscitano l’ira
del mondo arabo":


IL CAIRO I lavori edili intrapresi dalle autorità israeliane accanto a un ingresso della Spianata delle Moschee, nella Città vecchia di Gerusalemme, il terzo luogo più sacro per i musulmani, hanno scatenato l'ira del mondo islamico, con appelli a una mobilitazione contro «l'atto criminale delle forze di occupazione». Esprimendo «inquietudine e collera estrema per i continui attentati ai luoghi sacri dell'Islam», la Lega araba dal Cairo ha denunciato «l'atto criminale commesso dalle autorità di occupazione israeliane» e ha lanciato un appello a tutte le organizzazioni internazionali, in particolare l'Unesco e il segretario generale dell'Onu, perchè si assumano le loro responsabilità «per por fine a questa aggressione israeliana». Dai microfoni della televisione del Qatar al Jazira, lo sheikh di al Azhar, Mohammed Said Tantawi, la massima autorità religiosa sunnita, ha esortato i palestinesi al martirio «bloccando le ruspe» che attentano alla Spianata delle Moschee, che con la moschea al Aqsa e la Cupola della roccia, è il terzo luogo più sacro per l'islam, dopo la Mecca e Medina. I Fratelli musulmani in Egitto hanno esortato tutti i musulmani a «esprimere la loro collera e respingere questo atto criminale sionista». Obiettivo delle tre ruspe al lavoro da ieri è di rimuovere una collinetta di terriccio che, accanto alla porta sud occidentale dei Mugrabi, collega la Spianata del Muro del Pianto con la Spianata delle Moschee e di costruire in sua vece un ponte. Le autorità islamiche si oppongono ai lavori perchè vi vedono un ulteriore tentativo di «ebraicizzare» Gerusalemme

Insieme ada attacchi ad Abu mazen, che alla Mecca minaccerebbe Hamas, la cronaca di Michele Giorgio contiene anche l'inevitabile presa di posizione a favore della proteste islamiste, suffragate dall'inevitabile autodenuncia di un esponente dell'estrema sinistra israeliana, per il quale la colpa di qualsiasi cosa di negativo succeda in Medio Oriente è del suo paese.
Ecco il testo:  

Dopo un incontro con re Abdallah, il presidente palestinese Abu Mazen, il premier Ismail Haniyeh e il leader di Hamas in esilio Khaled Mashaal si sono riuniti ieri sera alla Mecca per colloqui considerati decisivi per la soluzione della crisi interna palestinese sfociata nei giorni scorsi a Gaza in scontri tra Fatah e il movimento islamico che hanno lasciato sul terreno oltre trenta morti. Le prospettive ieri non erano incoraggianti anche se re Abdallah ha «garantito» che i leader palestinesi non avrebbero lasciato la città santa senza aver raggiunto un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale. «Ottimista» si è detto anche Haniyeh. «Nessuno vuole che la battaglia tra palestinesi continui. L'unico beneficiario è Israele», ha spiegato il premier prima di attraversare il valico di Rafah per raggiungere la Mecca. Mentre rispondeva alle domande dei giornalisti, gruppi di attivisti di Hamas e Fatah sono tornati a darsi battaglia per una decina di minuti a poca distanza dal terminal di confine.
Abu Mazen da parte sua ha smentito ogni segnale di ottimismo e ha rivolto un avvertimento, quasi una minaccia, ai suoi avversari politici: se i negoziati in Arabia saudita falliranno, la guerra civile sarà «inevitabile». «E' necessario trovare un accordo totale perché se i colloqui non andranno a buon fine si apriranno le porte della guerra civile», ha detto al quotidiano libanese Al-Akhbar. Il presidente palestinese continua a spingere sull'accelleratore della crisi insistendo affinché il futuro governo con Hamas e Fatah insieme rispetti le condizioni poste dal Quartetto per la revoca dell'embargo politico ed economico che sta strangolando il popolo palestinese, «reo» di aver eletto democraticamente un anno fa la lista (Hamas) che riteneva più idonea a governare i Territori occupati dopo il fallimento degli accordi di Oslo, sei anni di Intifada e 12 anni di malgoverno dell'Anp da parte di Fatah. Abu Mazen nei giorni scorsi è tornato a minacciare le elezioni anticipate, viste da Hamas come un tentativo di colpo di stato. Il rais palestinese ora punta le sue carte sul summit con il Segretario di stato Condolezza Rice e il premier israeliano Ehud Olmert, previsto il 19 febbraio o nei giorni immediatamente successivi, nonostante Israele e Stati Uniti lo abbiamo gia' avvertito di essere contrari alla nascita di un governo con Hamas e posto altri pesanti condizionamenti alla politica interna palestinese.
In Fatah l'unico a mostrarsi ottimista è il deputato ed ex ministro Qadura Fares, secondo cui l'accordo con Hamas è vicino. E' questa l'impressione che ha ricavato dall'incontro, avuto qualche giorno fa in un carcere israeliano, con il «comandante dell'Intifada» Marwan Barghuti che sta mediando tra Hamas e Fatah. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, la composizione del nuovo governo sarebbe già stata decisa dai leader palestinesi: la poltrona di premier rimarrà ad Haniyeh, quella del ministero delle finanze dovrebbe essere assegnata a Salam Fayyad (un ex funzionario del Fmi molto gradito a Washington e Tel Aviv). Il ministero degli esteri invece dovrebbe andare al deputato Ziad Abu Amr, che da mesi media nella crisi tra Hamas e Fatah.
Ma sul vertice alla Mecca hanno pesato non solo le imposizioni americane ma anche le notizie provenienti da Gerusalemme Est, sotto occupazione dal 1967, dove le autorità israeliane hanno deciso di demolire la collinetta di Mugrabi, sulla quale è costruito il ponte che collega il Muro del Pianto con la Spianata delle Moschee, per sostituirlo con uno nuovo. Dopo la ben nota «passeggiata» dell'ex premier Ariel Sharon che nel settembre 2000 provocò l'esplosione dell'Intifada di Al-Aqsa, questa «iniziativa» rischia di scatenare scontri gravissimi e a dirlo non sono solo i palestinesi ma anche alcuni esponenti della sinistra israeliana. «Chiunque ricordi le conseguenze della visita di Sharon sulla Spianata delle Moschee sta prendendo su di sé la responsabilità per delle vite umane e fa il gioco degli estremisti», ha commentato Yossi Beilin del Meretz (sinistra sionista). Lo sceicco Adnan Husseini, direttore del Waqf che amministra i luoghi di culto islamici, ha accusato Israele di «approfittare degli scontri tra palestinesi per imporre i suoi piani».

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