Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iraq: c'è la prova che la guerra è stata fatta per il petrolio? no, è solo disinformazione
Testata:La Stampa - Il Messaggero Autore: Paolo Mastrolilli - Anna Guaita Titolo: «Ai petrolieri il bottino di guerra - L'Iraq apre ai giganti Usa i giacimenti di greggio»
"Bottino di guerra", "cessione" dei pozzi alle compagnie straniere (in realtà: cessione della gestione e di parte dei profitti per 30 anni): così viene presentata, e deformata, sulla STAMPA dell'8 gennaio 2006, la proposta di legge presentata al parlamento di Bagdad, per rilanciare le esportazioni di greggio. Ecco l'articolo di Paolo Mastrollilli:
Il giornale britannico «Independent» lo ha chiamato senza mezzi termini «spoils of war», cioè bottino di guerra. Si riferiva al progetto di legge con cui il governo iracheno si appresta a cedere la gestione delle sue risorse petrolifere alle grandi compagnie straniere, tornando a infiammare il dibattito sulle ragioni del conflitto, proprio mentre il presidente Bush sta per presentare il suo nuovo piano per stabilizzare Baghdad. L'Independent ha scritto di aver visto una bozza della legge, che il Parlamento iracheno spera di approvare entro marzo. In base al testo, il governo intende offrire contratti trentennali ad aziende tipo Bp, Exxon e Shell, affidando loro estrazione e sfruttamento del greggio. Nella fase iniziale le compagnie straniere incasseranno il 75 per cento dei profitti, fino a quando avranno recuperato gli investimenti compiuti. Dopo prenderanno il 20 per cento, che comunque rappresenta il doppio della media generalmente adottata per questo genere di contratti. Sul piano normativo di tratta di una vera rivoluzione, perché dal 1972 l'industria petrolifera irachena era nazionalizzata. Anche in Paesi come l'Arabia Saudita o l'Iran, un alleato e un rivale degli Stati Uniti, il business dell'oro nero è controllato dallo Stato. A Baghdad, invece, i rapporti fra il governo e le compagnie straniere verranno regolati da «Production-sharing agreements», inusuali in Medio Oriente. Considerando che le riserve irachene sono le terze al mondo, e costituiscono il 95% dell'economia nazionale, si tratta di un affare gigantesco. Chi appoggia la legge sostiene che era un passo inevitabile, per due ragioni: primo, l'industria petrolifera di Baghdad è stata compromessa da anni di guerra e sanzioni, e quindi ha bisogno di forti interventi per mettere a frutto tutte le sue potenzialità; secondo, se si vogliono attirare gli investimenti stranieri bisogna offrire incentivi, vista la difficile situazione della sicurezza. Gli iracheni potrebbero obiettare che la sicurezza non esiste proprio a causa dell'intervento militare straniero, ma questo per ora è un discorso che non interessa al governo di al Maliki. Il problema politico, per Washington e Londra, sta nel rischio di rilanciare il sospetto che la guerra sia stata scatenata per mettere le mani sul petrolio. I due governi hanno sempre smentito questa interpretazione e gli analisti sono convinti che la decisione avesse vari motivi, ma almeno indirettamente l'oro nero ha pesato, perché garantire la stabilità del Medio Oriente significa anche assicurare l'acceso a questa risorsa vitale. L'Independent ha ricordato che nel 1999 proprio il vicepresidente Cheney, allora capo della Halliburton, disse che entro il 2010 il mondo avrebbe avuto bisogno di 50 milioni di barili in più al giorno, e l'area del Golfo Persico restava la più economica per recuperarli. Il premier britannico Blair, per cancellare l'impressione di aver appoggiato l'intervento solo per il petrolio, aveva suggerito di versare tutti i proventi su un conto gestito dall'Onu per gli iracheni. Niente di simile, però, è avvenuto. Questa settimana Bush presenterà il suo nuovo piano, e i democratici minacciano di negare i fondi per l’invio di altri 20.000 soldati: «Il Presidente - ha detto ieri la speaker della Camera, Nancy Pelosi - non ha un assegno in bianco». La notizia della nuova legge non l'aiuta, a meno che i soldi non vadano nelle tasche degli iracheni, per convincerli a collaborare nella stabilizzazione.
Anna Guaita sul MESSAGGERO (L'Iraq apre ai giganti Usa i giacimenti di greggio), dalla semplice distorsione della notizia passa alla propaganda: in apertura del suo articolo, prima ancora di avere dato la notizia ne fornisce l'interpretazione: allora è vero, suggerisce, che la guerra in Iraq è stata fatta per il petrolio. Fuorviante anche il titolo: "i giganti Usa" non sono, ovviamente, nella proposta di legge, ed'è difficile che si assumano i rischi di un investimento in Iraq. Più facile che siano piccole compagnie a farlo.
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