giovedi` 15 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
21.12.2006 Al Qaeda incita i palestinesi alla jihad
la cronaca di Aldo Baquis, un'intervista di Amy Rosenthal al giornalista americanoLawrence Wright

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Aldo Baquis - Amy Rosenthal
Titolo: «Al Qaeda tenta la Palestina E' guerra santa - Rispunta Zawahiri. Uno scrittore che conosce al Qaida ci spiega perché»
Dalla STAMPA del 20 dicembre 2006:

In un messaggio affidato ad al Jazeera il n. 2 di al Qaeda Ayman al-Zawahiri ha avvertito ieri che Stati Uniti che la loro tattica di uscita da Iraq e Afghanistan è errata «in quanto non negoziano con le vere potenze nel mondo musulmano» e ha biasimato Hamas per essersi inserito nel sistema politico dell'Anp, «accettando così la legittimità di Abu Mazen, l'uomo degli Stati Uniti in Palestina».
Al-Zawahiri ha dunque confermato il crescente interesse di al Qaeda verso il conflitto israelo-palestinese. Un’ingerenza che preoccupa Israele e i palestinesi moderati, e che non piace peraltro nemmeno agli integralisti di Hamas che ha difeso la propria decisione di partecipare attivamente alla vita politica nei Territori: «La Jihad si esprime in forme diverse - ha notato Sallah Bardawil, un dirigente di Hamas a Gaza -. Noi peraltro non abbiamo abbandonato la resistenza», ossia la lotta armata.
Il messaggio di Zawahiri è arrivato con grande tempismo: subito dopo l'annuncio di Abu Mazen di andare a elezioni anticipate, se non sarà possibile dar vita a un governo unitario palestinese capace di rimuovere l'isolamento internazionale dell'Anp.
Agli Usa il dirigente di al Qaeda ha detto che l'Occidente continuerà a essere colpito finché i musulmani saranno colpiti nei loro Paesi. «La formula per la vostra salvezza è: voi non potrete neppure sognarvi la sicurezza fin quanto noi non avremo la stessa sicurezza in Palestina e tutti i Paesi islamici».
Parlando con tono pacato e didattico, e avendo provveduto a tradurre il proprio pensiero con sottotitoli in inglese, al-Zawahiri ha ironizzato sulle doti politiche del presidente Bush e sui suoi tentativi di puntellare il ritiro da Iraq e Afghanistan basandosi su forze locali inadeguate. Ha lasciato così intendere che presto o tardi gli Usa dovranno venire a patti con chi organizza la insurrezione armata contro di loro.
Ma ieri ad al-Zawahiri premeva far sentire che al Qaeda allarga i propri orizzonti, fino a toccare i confini di Israele. Una tendenza che ancora questa settimana è stata segnalata alla Knesset dal capo del Mossad, Meir Dagan. Nei confronti di Hamas al-Zawahiri ha voluto essere quasi paternalista. «Quanti cercano di liberare la terra dell'Islam mediante elezioni basate su costituzioni laiche o sulla decisione di rinunciare a lembi della Palestina a favore degli ebrei, costoro non libereranno mai nemmeno un grano di sabbia di Palestina. Ogni altra strada che non sia la Jihad porta solo a sconfitte».
La reazione di Hamas è stata piccata. Ha spiegato Bardawil: «La resistenza si esprime in molte forme. Con la partecipazione alla vita politica abbiamo inteso anche proteggerla», ossia impedire che il braccio armato di Hamas, Brigate al-Qassa, fosse neutralizzato: una richiesta avanzata da Israele nel contesto del tracciato di pace. Con Hamas al potere, ha aggiunto Bardawil, l'Anp è adesso in grado di «bloccare le estorsioni dall'estero» ai danni di palestinesi.
Ma Hamas si rende conto che potrebbe esserci un nesso fra l'intervento tv di al-Zawahiri e sviluppi inquietanti che già avvengono nella striscia. «Esercito dell'Islam» e «Spada dell'Islam» sono due nuove sigle, apparse negli ultimi mesi a Gaza, prima con volantini e messaggi divulgati da siti Internet, e poi anche con azioni dimostrative. Fra queste, la devastazione di caffé-Internet e di negozi dove si vendono dischi occidentali e minacce di attacchi con acido solforico a donne sorprese in strada senza il velo islamico. Hamas ha condannato questi episodi sostenendo che l'Islam «si diffonde con la persuasione, non con gli esplosivi».
In generale, i palestinesi hanno preferito ignorare del tutto il messaggio del dirigente di al Qaeda. Nei siti Internet le sue parole non hanno avuto echi né commenti. Un silenzio più che eloquente.

DAL FOGLIO, un articolo di Amy Rosenthal:

Lawrence Wright conosce bene il mondo arabo. Ha insegnato due anni all’Università americana del Cairo e come inviato del New Yorker è stato in Arabia Saudita, Pakistan, Afghanistan, Yemen. Il suo ultimo libro – “The looming tower: al Qaida & the road to 9/11” – è stato in cima alla classifica del New York Times per settimane ed è stato uno dei testi più citati – per lo più dai democratici – durante la campagna elettorale americana di midterm. Tanto che, nell’ultimo numero di Time, Wright compare nella lista degli scrittori “intrepidi”. Parlando con il Foglio, ha spiegato quali sono stati i fallimenti nella comunicazione tra Cia e Fbi prima dell’11 settembre, uno dei temi forti del suo libro. “Il più importante è legato a due membri di al Qaida che erano negli Stati Uniti nel 2000: la Cia lo sapeva e non l’ha notificato all’Fbi”. Gli esempi si sprecano, e il tema ovviamente ha avuto una certa risonanza nel periodo elettorale. Wright è anche convinto che l’accorpamento delle diverse agenzie d’intelligence con sopra un super capo non sia stato poi così utile: “Sono soltanto aumentate le linee burocratiche, le stesse che hanno portato già ai fallimenti in passato”. Anche sulla dottrina della democratizzazione del mondo islamico Wright ha qualche perplessità. Dice che è “un obiettivo importante”, sulla linea adottata da ultimo da molte parti, per esempio dal liberalissimo Guardian, ma è convinto che non sia possibile farlo dall’esterno: “Sarà l’islam stesso a riformarsi”. Certo “noi dobbiamo aiutarlo, insegnando i nostri metodi per creare una società civile e istituire centri di formazione per costituire le istituzioni”. Questo è ancora più utile perché l’islam sta vivendo un momento di grandi turbolenze, di traumi interni, di spaccature, ed è proprio adesso che bisogna puntare sull’islam moderato, formandolo, valorizzandolo e dandogli voce. Ma come? Ogni pretesto è buono per i fondamentalisti per aizzare le folle, far bruciare le effigi occidentali nelle piazze. Wright è d’accordo, ma dice che l’unica soluzione sta nel dialogo, nell capacità dell’occidente di modellare il dibattito. Intanto come si è evoluta al Qaida? Ieri il numero due di Osama bin Laden, Ayman al Zawahiri, ha rilanciato il jihad globale, “l’unico che libererà i palestinesi”, i quali non devono accettare la convocazione di “voti illegittimi”. Sull’Iraq, il medico egiziano ha detto agli Stati Uniti che l’unico interlocutore possibile è proprio al Qaida. Secondo Wrights, dopo l’attacco dell’11 settembre, la rete di bin Laden si è occupata principalmente di sviluppare le sue cellule in Europa, ed è sbagliato pensare che stia perdendo potere e influenza nel mondo islamico: “I santuari di al Qaida sono stati distrutti in Afghanistan, ma ora tutti i jihadisti hanno l’Iraq dove formarsi e operare, e se sopravvivono poi vanno nei paesi d’origine per fare propaganda e trovare nuove leve pronte al martirio”. Ed è a questo punto che si capisce perché i democratici hanno trovato molto materiale per le loro argomentazioni nel libro di Wright. Infatti lui dice che alla fine del 2001 al Qaida “era quasi distrutta, la sua leadership mezza decapitata, incapace di comunicare con le diverse cellule”, ma poi è arrivata la guerra in Iraq e così la rete “è tornata a infiammarsi”. Naturalmente Wright era contrario alla campagna irachena e ora guarda con preoccupazione a quel che succede a Baghdad, ma – come molti democratici hanno pian piano scoperto – non considera il ritiro un’alternativa valida. “A coloro che sostengono che le cose non possono che migliorare se le truppe americane lasciano l’Iraq dico: la storia del medio oriente insegna il contrario e le cose spesso non fanno che peggiorare. Temo che il disimpegno e una rinuncia a rafforzare il governo di Baghdad non possa che portare a maggior caos. Un caos che travolgerebbe non soltanto l’Iraq, ma tutta la regione”.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio

lettere@lastampa.it
lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT