Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Strategia della disfatta Benjamin Barber, Michael Lerner e Zbigniew Brzezinski spiegano come Israele, l'America e tutto l'Occidente dovrebbero perdere la guerra con l'islam jihadista
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Messaggero Autore: Ennio Caretto - Paolo Mastrolilli - la redazione Titolo: ««Per fermare la crisi aiutiamo Abu Mazen È l' ultima carta» - “Colpa di Israele deve ritirarsi” - Brzezinski, cambiare strategia contro il terrorismo»
L'America dovrebbe guardarsi dal mandare più truppe in Iraq e e dovrebbe trattare con Iran e Siria. Le trattative per un governo di coalizione tra Hamas e Al Fatah dovrebbero essere rilanciate. E' la strategia che dovrebbe essere adottata dall'America e da Israele secondo il politologo americano Benjamin Barber. Una "strategia della disfatta", elaborata da un analista così poco addentro alla realtà mediorentale da non riuscire nemmeno a credere che "Hamas abbia fatto assssinare dei bambini e Fatah abbia tentato di uccidere il premier" Barber non si è accorto dei bambini israeliani fatti uccidere da Hamas? O della frequenza degli omicidi nelle faide interne tra i palestinesi? Non sa che Hamas e Al Fatah sono organizzazioni terroristiche?
Ecco il testo:
WASHINGTON — Benjamin Barber, l'autore di «Guerra santa contro McMondo» e fondatore di «Democracy Collaborative», ritiene logico l'applauso quasi unanime dell'Occidente ad Abu Mazen. «La situazione a Israele e in Palestina è così grave — dichiara — che qualsiasi iniziativa per sbloccarla sarebbe benvenuta. La Palestina in particolare è sull'orlo della guerra civile e rischia di disintegrarsi. Il suo presidente non poteva non intervenire». Lo storico e politologo americano, della cui consulenza si varranno i leader democratici al Congresso, rileva che dalla ripresa delle trattative di pace tra israeliani e palestinesi, «forse ancora più che dalla stabilizzazione dell'Iraq», dipende il futuro del Medio Oriente. «Abu Mazen è una delle ultime carte su cui possiamo puntare — aggiunge Barber —. La cecità nei confronti di questo problema mostrata dall'amministrazione Bush negli ultimi sei anni ci ha messo tutti in difficoltà». Lei pensa che si andrà davvero alle elezioni? «Non ne sono certo. Non so se Abu Mazen abbia i mezzi concreti e il potere costituzionale per farlo e, comunque, Hamas si rifiuta di cooperare. Ma alla fine il braccio di ferro potrebbe portare a un governo di coalizione, e forse anche al rilancio del dialogo con Israele. Una svolta è urgente e necessaria. Noi abbiamo il dovere di aiutare il leader palestinese». Lei presume quindi che la convergenza tra Fatah e Hamas sia possibile. «Non posso credere che Hamas abbia fatto assassinare dei bambini e Fatah abbia tentato di uccidere il premier. Credo invece che la piazza abbia preso il sopravvento sui politici, che gruppi e masse siano sfuggiti al loro controllo. Sta accadendo dappertutto in Medio Oriente, in Iraq, in Libano, nello stesso Israele. Questi conflitti fra fazioni sono una piaga spaventosa, bisogna porre fine in fretta alla loro violenza». Considera possibile una tregua duratura? «Sì, a patto che i leader delle principali forze politiche si impegnino a riprendere la situazione in mano. Adesso gli eventi sono determinati dal basso verso l'alto, non dall'alto verso il basso. Bisognerebbe che anche Israele riflettesse su questo fenomeno e facesse qualche gesto distensivo per agevolare Abu Mazen. Non possiamo avere tre guerre civili parallele: in Palestina, Iraq e Libano». Quali sarebbero gli effetti di un successo di Abu Mazen? «In primo luogo, si verificherebbe una pausa nella crisi e la violenza scemerebbe, pur senza scomparire del tutto. Inoltre, e mi pare molto importante, il radicalismo islamico registrerebbe una battuta d'arresto. Certo, occorrerebbe che contemporaneamente si facessero progressi in Iraq e in Libano, dove il radicalismo è ormai penetrato in profondità». Che cosa dovrebbe fare a suo parere l'amministrazione Bush? «Ciò che ha suggerito il Gruppo di studio Baker sull'Iraq: dialogare con la Siria e con l'Iran, che hanno un'enorme influenza nella regione e finanziano e armano Hezbollah, Hamas e altri. Non sarebbe facile ma contribuirebbe a una pausa». In retrospettiva, come giudica le pressioni dell'amministrazione sui palestinesi per le elezioni dello scorso gennaio? «Le giudico un errore. Perché le elezioni esprimano una democrazia bisogna che ne esistano i presupposti civili, culturali, politici e istituzionali. La Palestina non li aveva, perciò quelle di gennaio dettero il risultato opposto a quello da noi sperato. Non escludo che se si tenessero nuove elezioni, l'esito sarebbe diverso, per via della sanguinosa lezione degli scorsi mesi. Ma non ne sono certo». Che ruolo può svolgere l'Europa? «Un ruolo cruciale. Presso i Paesi arabi i vostri governi hanno molta più credibilità del nostro, che a quanto vedo minaccia di sbagliare di nuovo in Iraq mandando più truppe».
Di seguito, un'intervista di Paolo Mastrolilli al rabbino americano Michael Lerner:
La guerra civile quasi in corso fra i palestinesi è colpa dell'occupazione israeliana: finché non finirà non risolveremo la questione mediorientale, non stabilizzeremo l'Iraq, e non sconfiggeremo i terroristi». Il rabbino Michael Lerner, direttore della rivista Tikkun, era uno dei consiglieri preferiti da Bill Clinton e sua moglie Hillary. Questo spiega la posizione sulla crisi mediorientale, opposte a quella dell'amministrazione Bush. I palestinesi si sparano fra di loro e lei incolpa Israele? «Hamas e Fatah si stanno scontrando per una divergenza tattica su come porre fine all'occupazione: il primo gruppo è intransigente e punta sulla violenza, mentre il secondo favorisce il negoziato politico. Alla radice, quindi, c'è il comportamento dello Stato ebraico, che non può sperare nella pace e nella sicurezza finché non avrà risolto in maniera generosa il problema della convivenza con i palestinesi».
Queste incredibili dichiarazioni di Lerner si basano innanzitutto su una clamorosa deformazione della realtà. L'obiettivo di Hamas non è infatti quello di "porre fine all'occupazione", ma distruggere Israele. Dalla menzogna iniziale segue la falsa conclusione: che alla radice della violenza in Medio Oriente vi sia l'"occupazione israeliana". In realtà, senza il terrorismo e la volontà di distruggere israele l'occupazione sarebbe già finita da tempo e uno Stato palestinese sarebbe già nato.
Chi appoggia Hamas e chi sostiene Fatah? «Iran e Siria sono con Hamas, mentre l'Egitto sta con Fatah». L'Arabia Saudita non sostiene nessuno? «Al contrario: probabilmente appoggia entrambi, per evitare di mettersi contro qualcuno che poi potrebbe andare al potere. L'Arabia è governata da una piccola élite senza legittimità: la monarchia si regge solo grazie al sostegno militare degli Stati Uniti. Il suo unico interesse è che nei Paesi musulmani non vadano al potere forze nemiche, inclini ad appoggiare gli oppositori interni come al Qaeda, che vogliono rovesciare l'esecutivo». In questo quadro, qual è l'interesse strategico degli Stati Uniti e dell'Occidente? «Trovare una soluzione politica alla questione israelo-palestinese, se necessario imporla, per evitare che l'Iran, l'Iraq, l'Arabia e anche i terroristi di Osama bin Laden, possano usare l'occupazione israeliana come una scusa per non affrontare i loro problemi interni o continuare a scatenare il risentimento popolare». Alcuni intellettuali neocon, tipo Daniel Pipes, sostengono che fare concessioni ai palestinesi li incoraggia a distruggere Israele, quindi è meglio lasciare che si indeboliscano da soli attraverso la guerra civile. «Hanno torto, come è già accaduto in Iraq: questa strategia non ha funzionato e non funzionerà mai. La posizione dei neocon, pur ammantandosi formalmente con gli ideali democratici, è basata su un disprezzo di fondo per arabi e musulmani. In teoria dicono di volerli liberare dall'oppressione, in realtà li trattano come esseri umani spendibili. Questo si è visto chiaramente in Iraq, dove il Pentagono non conta nemmeno le vittime civili: dovremmo portare la democrazia ma intanto stiamo portando solo morte. Fino a quando non cambieremo atteggiamento nei confronti degli arabi e dei musulmani, mostrando più rispetto, non potremo aspettarci la pace. È ora di fare qualcosa sul piano politico, invece di restare a guardare la gente che muore e sperare che ciò risolva tutti i problemi».
Si noti come Lerner stia cambiando argomento. L'intervistatore gli ha chiesto se le concessioni non rischiano di incoraggiare il terrorismo, lui risponde che la guerra in Iraq è stata un fallimento. E aggiunge che, poiché il terrorismo che si oppone a un Iraq democratico fa strage di iracheni, chi ha voluto la liberazione dell'Iraq dalla dittatura di Saddam Hussein ( che come noto non uccideva nessuno...) è un razzista per il quale le vite degli arabi non contano nulla
Cosa suggerisce? «Un accordo con i palestinesi sulla base delle intese di Ginevra. Creare uno stato in quasi tutta la Cisgiordania e Gaza, con l'eccezione del 5% di territorio dove si trovano gli insediamenti di confine, che passeranno definitivamente ad Israele. In cambio, lo Stato ebraico cederà un 5% di terra altrettanto utile altrove. Questo scambio dovrà portare al riconoscimento definitivo e concreto di Israele: una pace calda, non quella fredda esistente con l'Egitto. Quindi gli Usa e gli alleati occidentali dovranno finanziare un fondo per compensare i palestinesi che dal 1947 a oggi hanno perso la loro terra. Infine, bisognerà formare una commissione per la riconciliazione, sull'esempio di quanto avvenuto in Sudafrica. Finché non risolveremo così la questione mediorientale non stabilizzeremo l'Iraq, perché i Paesi arabi e musulmani non ci aiuteranno, e non batteremo il terrorismo».
Bel progetto, ma si è chiesto Lerner se Hamas, per caso, è d'accordo? In realtà, quanto proposto da Lerner non è molto dissimile da quanto Israele aveva offerto ai palestinesi a Taba, nè da quanto previsto dal piano di disimpegno di Sharon. Se ancora non è stato realizzato non lo si deve a Israele, ma ai terroristi palestinesi che più di ogni altra cosa temono un compromesso.
Zbigniew Brzezinski, intervistato dal MESSAGGERO teorizza che la minaccia terroristica sia stata utilizzata a fini di propaganda interna dall'amministrazione Bush e che i neocon non siano mai stati interessati né alla sicurezza americana né alla democratizzazione dell'Iraq, ma solo agli interessi di Israele. Un'ennesima versione della paranoia nei confronti della "lobby ebraica", cieca al dato di fatto che l'islam fondamantalista che odia Israele odia anche gli Stati Uniti. Perché entrambe sono potenze democratiche, ostacoli sulla via della sottomissione del mondo a un'ideologia totalitaria.
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