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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.12.2006 Scontri tra fazioni palestinesi a Gaza, razzi di Hamas contro l'ufficio di Abu Mazen
la cronaca di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 dicembre 2006
Pagina: 2
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Giorno di sangue nelle strade di Gaza Poi un «cessate il fuoco» tra le fazioni»
Dal CORRIERE della SERA del 18 dicembre 2006:

GAZA — Le bandiere verdi di Hamas presidiano la piazza del villaggio di Beit Lahiya. Da un vicolo, irrompono i vessilli gialli del Fatah. «Verdi, gialle, rosse, nere. Hanno scelto di esibire tutti i colori, tranne la bandiera della Palestina», commenta un passante.
La Striscia diGaza è divisa. Anche i ragazzini si prendono a sassate, all'uscita da scuola. Le pietre schizzano sopra i cancelli. Hamas da una parte, Fatah dall'altra. Come negli scontri attorno alla residenza del presidente Abu Mazen, dove invece volano i proiettili dei kalashnikov e i colpi di mortaio. Solo nella notte le fazioni annunciano di aver raggiunto un accordo per il cessate il fuoco. Dovrebbero ripartire perfino le trattative per il governo di unità nazionale.
La guerra è cominciata all'alba, quando uomini con le divise nere della forza di pronto intervento, voluta dal governo fondamentalista, assaltano un campo d'addestramento dei militari fedeli al raìs, bruciano le tende, un ufficiale viene ucciso. Gli agenti della Forza 17 e i miliziani delle Brigate Al Aqsa rispondono occupando due ministeri, quello dell'Agricoltura e quello dei Trasporti. «È un golpe. I soldati di Abu Mazen devono lasciare gli edifici o verranno arrestati», minaccia Mahmoud Zahar, ministro degli Esteri e uno degli oltranzisti di Hamas. Anche il suo convoglio finisce sotto il fuoco dei fucili mitragliatori. «Un altro tentativo di eliminare i nostri leader — accusa il movimento fondamentalista — dopo l'imboscata di giovedì notte al premier Ismail Haniyeh».
La battaglia si sposta nelle vie e sui tetti vicino al palazzo del raìs. Le strade sono vuote, si muovono solo le camionette. Abu Mazen è lontano, a Ramallah, Hamas vuol colpire il simbolo del suo potere nella Striscia. Armati di lanciagranate e mortai (i colpi esplodono nella pista di decollo per gli elicotteri), i miliziani sparano contro le guardie, una studentessa di 19 anni resta uccisa da un proiettile vagante e il giornalista francese Didier François, del quotidiano Libération,
viene ferito a una gamba.
I due gruppi si fronteggiano per il controllo dei quartieri. Hamas ha promesso di far scendere in strada migliaia di sostenitori e non può accettare manifestazioni del Fatah. I militanti pattugliano le strade, le bandiere arrotolate diventano bastoni pronti a colpire. Quando a Jabalya compaiono i colori gialli e le foto di Abu Mazen, i fondamentalisti attaccano la folla. Un colonnello dei servizi di sicurezza viene rapito dal campo rifugiati e ammazzato.
L'organizzazione integralista non vuole cedere alle pressioni del raìs. Il presidente è pronto ad andare al voto anticipato, ha già incontrato la Commissione elettorale per capire i tempi e fissare una data. Il governo non ci sta e Haniyeh ha convocato una riunione d'emergenza a Gaza. «Respingiamo l'ipotesi di elezioni anticipate — ha proclamato —. È anticostituzionale e rischia di aumentare il caos». In ogni caso l'organizzazione, che ha la maggioranza in parlamento con 76 seggi su 132, ha deciso di boicottare il voto. «Non parteciperemo».
Nelle strade di Gaza — spiegano gli analisti — si è spostata la prima linea del confronto tra gli Stati Uniti e l'Iran. Washington vuole rafforzare militarmente il presidente e sta facendo pressioni su Israele perché permetta ai mille uomini della Brigata Badr, addestrati in Giordania, di essere schierati nella Striscia. «Le milizie fondamentaliste sono più motivate ideologicamente — commenta Mouin Rabbani, dell'International Crisis Group, alla
Reuters —. Se gli scontri riprendono e vanno avanti, sono quelle pronte a resistere».
Domenica, parlando alla nazione dalla Mukata, Abu Mazen aveva minacciato di mandare a casa il governo, da 11 mesi al potere, e di sciogliere il Parlamento. Il Fatah si sta riorganizzando anche per la sfida politica. Mohammed Dahlan, uomo forte del partito a Gaza, ha cominciato da Jenin un tour in Cisgiordania, lanciando un appello all'unità tra i ribelli della fazione.
Gli israeliani per ora preferiscono stare a guardare. Dopo i segnali di sostegno alla mossa del presidente, il premier Ehud Olmert ha invitato i ministri a non immischiarsi. «Non dobbiamo reagire ai discorsi del presidente. È una situazione molto difficile e non dobbiamo fare nulla per renderla più complicata», commenta uno dei consiglieri.

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