Due articoli sulle elezioni in iran. Da REPUBBLICA, un reportage tra gli studenti dissidenti:
TEHERAN - «Le stelle si vedono quando è buio» era scritto in uno dei cartelli che gli studenti del Politecnico Amir Kabir innalzavano in faccia al presidente Ahmadinejad. Eccole qui davanti a me, alcune di quelle «stelle», gli studenti i cui nomi vengono accompagnati da una, due o tre stelle secondo i criteri stabiliti dal nuovo rettore fondamentalista. Una stella è il primo ammonimento, con due deve scrivere una dichiarazione giurata di rinunciare anche alla lettura di un giornale inviso al presidente, con tre sei sospeso. Per uno, due, tre semestri.
Hanno bei visi intelligenti e seri. Amir Kabir è una scuola di élite statate (il che significa poco costosa), dove solo i più bravi e studiosi riescono a entrare. Sono gli stessi ragazzi che alle elezioni presidenziali dell´anno scorso, di fronte a una scelta tra un moderato, Rafsanjani, che era sempre stato uno dei pilastri del regime, e Ahamadinejad, avevano deciso di non votare.
«Volevamo far vedere al mondo che vogliamo una democrazia vera, non scegliere tra un pugno di ferro e un pugno di ferro foderato di velluto» dicono vergognandosi di essere stati così ingenui.
«Non ci arrendiamo né ci asteniamo. Le elezioni sono un nostro diritto inalienabile» era scritto su un altro cartello che sbandieravano sotto gli occhi del presidente. Ma orami tutti sono consapevoli che le manipolazioni del voto possono raggiungere, alle elezioni comunali che si tengono oggi, un livello mai raggiunto prima. Non solo molti candidati riformatori sono stati falciati dal Consiglio dei Guardiani, come era del resto successo anche in passato, ma Ahmadinejad ha messo a dirigere lo spoglio dei voti un suo fedelissimo, Hashemi Samareh, da lui nominato nei mesi Direttore generale dell´Ufficio politico del ministero dell´Interno. E´ facile capire perché.
Ingenui lo sono ancora. Danno nomi e cognomi, che preferisco non citare. Mostrano le lettere che l´università ha spedito ai loro genitori: «Poiché vostro figlio si è comportato in modo contrario alle regole di condotta dell´università, e ha continuato a farlo nonostante gli ammonimenti, oltre alle punizioni già previste vi informiamo che è prevista la sospensione dagli studi. Vi invitiamo pertanto a interessarvi direttamente alla situazione e prendere contatto con l´Università per aiutarci a compiere il nostro dovere». Prima della sanzione vengono convocati da un «comitato di buona condotta». «Non capisci qual è l´accusa, né chi ti abbia denunciato. Ti dicono: tu hai rotto questa finestra. Oppure: hai partecipato a questa riunione. Sei una minaccia per la sicurezza.
Devi scrivere una difesa, senza sapere di che ti accusano. Non vedi mai il comitato che ti giudicherà, anche se nel regolamento universitario è scritto che lo studente deve essere presente quando viene emessa una sentenza nei suoi confronti. Se poi ricorri contro la sentenza un altro comitato formato dal preside, dal vicepreside, e dal rappresentante del Leader supremo emetterà una sentenza uguale alla prima. Chi ti denuncia e chi ti giudica sono le stesse persone».
«Ma perché l´Occidente parla di sanzioni per il programma nucleare e nessuno mai di sanzioni per tutte le enormi violazioni sui diritti umani che sono la vera vergogna di questo paese?» ti chiedono sgomenti. «Anche l´Occidente nel lungo termine ci guadagnerebbe. Invece li invitano, presidi e rettori, ai loro seminari. Già smettere di invitarli sarebbe un passo avanti». Le documentazioni delle angherie le hanno messe sul loro sito www.aut.com (o org, o net nei vari tentativi di sfuggire ai censori che ormai non lasciano passare nulla). «Ormai in Iran viene filtrato perfino Discovery Channel!» Da quando Ahmadinejad è presidente le associazioni studentesche non hanno più il permesso di riunirsi, nemmeno a scopi unicamente accademici. Anzi perché non vi fossero dubbi durante le vacanze estive le ruspe hanno raso al suolo l´ufficio della Angiom Eslami, la loro associazione studentesca.
I riformatori sperano che alle elezioni comunali di oggi la partecipazione al voto aumenterà abbastanza da rendere visibile che i rapporti di forza nel paese non sono quelli che Ahmadinejad pretende. «Ahmadinejad è in una posizione critica, ha speso in un anno 60 miliardi di dollari di oil money e ha attinto a man bassa dal fondo che Khatami aveva destinato a grandi investimenti nel campo petrolifero (l´Iran, che è il quarto produttore di petrolio nel mondo, importa in 40 per cento del fabbisogno di benzina per mancanza di raffinerie), ma l´economia è in rovina, la disoccupazione sfiora il 30 per cento e l´inflazione il 20. Ha bisogno di nemici esterni per tenere le redini del paese. Come i Taliban buttavano giù i Buddha, lui fa la conferenza sull´Olocausto. Non appena nei rapporti internazionali si apre un barlume di speranza, lui arriva con un´altra provocazione».
Dal RIFORMISTA, una rticolo sulla possibilità che l'ayatollah Yazdi, alla cui visione apocalittica fa riferimento Ahmadinejad, diventi la nuova Guida suprema dell'Iran.
Ecco il testo:
A 18 mesi dalla vittoria di Mahmoud Ahmadinejad gli iraniani tornano alle urne per una doppia sfida elettorale. Si vota per il rinnovo dei consigli municipali, dove moderati e riformisti puntano a riconquistare posizioni e visibilità in vista delle parlamentari del 2008. Ma la vera posta in palio è un'altra. Il controllo dell'Assemblea degli esperti, l'organo religioso che ha il potere di nominare, supervisionare e destituire la Guida Suprema della Rivoluzione, il reale detentore del potere nella Repubblica Islamica dell'Iran.
I neofondamentalisti radicali puntano alla poltrona più alta. E l'obiettivo potrebbe essere molto vicino. Secondo le voci insistenti che hanno agitato la campagna elettorale, Ali Khamenei sarebbe gravemente malato. La competizione per il rinnovo dell'Assemblea si è così trasformata in una prematura corsa alla sua successione. Se dovessero prevalere i neofondamentalisti, il favorito d'obbligo sarebbe l'ayatollah Mohammed Taghi Mesbah Yazdi, il mentore di Ahmadinejad, il suo più più fidato consigliere religioso e politico. Allievo di Khomeini al seminario di Qom, dove lui stesso insegna, Mesbah Yazdi scende nell'arena politica negli anni 90 guidando l'opposizione più radicale al riformismo che definisce «un iniezione del virus dell'Aids nel corpo sano della nazione islamica». Durante l'ultima campagna presidenziale, impone con una fatwa l'obbligo di votare Ahmadinejad, contribuendo così alla vittoria del suo allievo prediletto. Da allora la sua influenza è in continua crescita.
Per bloccare l'ascesa del clero neofondamentalista si è rinsaldata l'alleanza tra riformisti moderati e conservatori pragmatici guidata dall'ex-presidente Rafsanjani, sconfitto da Ahmadinejad nel ballottaggio delle presidenziali. Un terzo schieramento conservatore tradizionale - il cosiddetto “clero militante” - fedele a Khomeini, potrebbe fare da ago della bilancia.
Il Consiglio dei Guardiani, incaricato di vagliare le candidature, è intervenuto pesantemente nella campagna elettorale. Eliminati 330 candidati, ne rimangono in gara 163 che si contendono 86 seggi. Tra i bocciati molti riformisti, com’era stato nelle ultime elezioni parlamentari e presidenziali, ma anche diversi esponenti neofondamentalisti, primo fra tutti il figlio di Mesbah Yazdi. Un probabile segnale dell’ostilità di Ali Khamenei nei confronti dell’ambizioso Ayatollah, troppo radicale anche per il successore di Khomeini. La possibile ascesa di Mesbah Yazdi alla massima carica iraniana segnerebbe la completa vittoria degli ultraconservatori arrestando la dialettica politica, opaca ma intensa, che tuttora agita l’Iran. Fuori e dentro il regime, come testimonia la recente clamorosa contestazione contro Ahmadinejad da parte di un gruppo di studenti dell’università Amir Kabir, raccontata al mondo dagli stessi media iraniani. Dimostrazione che spiragli di libertà persistono. Il regime non è monolitico, si ricompatta quando cresce la pressione della comunità internazionale ma lascia trasparire fratture e visioni alternative del destino nazionale quando la pressione scema.
All’indomani della presentazione del rapporto della commissione Baker che raccomanda l’apertura di canali di comunicazione con Teheran per gestire la crisi irachena, Rafsanjani ha chiesto schiettamente «quale prezzo è disposto a pagare l’occidente per ottenere l’aiuto dell’Iran». Quasi un invito a riporre sul tavolo l’ipotesi del Grand Bargain, il progetto di un grande accordo tra Iran e Stati Uniti coltivato da tempo da una parte della foreign policy community americana. Normalizzazione dei rapporti sulla base del riconoscimento del ruolo centrale dell’Iran nel Medio Oriente, funzionale alla stabilizzazione della regione, e del definitivo abbandono da parte di Teheran della vocazione rivoluzionaria in politica estera. Accantonato nell’era della Freedom Agenda e delle velleità di regime change, il Grand Bargain potrebbe tornare d’attualità se a Washington prevalessero i principi della realpolitik.
Una strada ancora lunga che si chiuderebbe a tempo indeterminato se gli ultraconservatori dovessero conquistare il monopolio del potere politico e religioso. L’ayatollah Mesbah Yazdi è un intransigente sostenitore del principio del velayat e-faqih, la supremazia della Guida Suprema che detta la linea in politica interna ed estera al riparo da possibili mutamenti elettorali. Predica la guerra permanente contro il “grande satana” statunitense, accusato di voler cancellare i valori islamici e il “piccolo satana” israeliano, contro il quale le “operazioni martirio” sono cosa buona e giusta. Una linea intransigente che potrebbe portare classe politica e società a un punto di rottura.
La fiducia nel pragmatismo di Rafsanjani, incriminato in Argentina come mandante della strage antisemita del 1994 e noto per essersi detto disposto ad accettare la morte di 15 milioni di musulmani in una guerra nucleare pur di vedere Israele distrutto ci pare eccessiva (eufemismo"), come pure quella riposta nell'irrealistico rapporto Baker
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