Dal RIFORMISTA del 15 dicembre 2006 una cronaca secondo la quale "Tel Aviv" avrebbe bloccato il rientro di Haniyeh a Gaza.
A parte lo spostamento della capitale di Israele, l'articolo si degnala per le polemiche circa il perdurante controllo del valico di Rafah da parte israeliana, nonostante il valico sia stato ufficialmente consegnato a palestinesi ed egiziani con la supervisione europea.
In realtà, l'accordo su Rafah ha sempre previsto la possibilità per Israele di esercitare una sorveglianza per bloccare minacce alla sua sicurezza.
La decisione di Gerusalemme non rivela dunque nessuna situazione di fatto differente da quanto previsto negli accordi.
Ecco il testo:
Gerusalemme. Il re è nudo: gli israeliani, da Gaza e dal valico di Rafah, non se ne sono andati. Anche se la missione degli osservatori europei al passaggio di frontiera a Gaza è stata rinnovata meno di un mese fa, e la guardia presidenziale di Mahmoud Abbas è sempre presente nella zona palestinese del valico. Per i palestinesi, nei commenti a quello che è successo ieri sera al confine tra la Striscia e l’Egitto, la realtà ha una sola faccia: nonostante l’accordo di oltre un anno fa, in cui Israele lasciava agli osservatori internazionali il compito di monitorare il valico, il governo di Tel Aviv gestisce ancora il passaggio. A confermarlo, l’intera sequenza ieri del blocco del rientro del premier palestinese Ismail Hanyeh dentro Gaza, deciso in fretta dal ministro della difesa israeliano Amir Peretz ieri pomeriggio, e della trattativa tra egiziani e israeliani che ne è seguita. Una sequenza da cui gli osservatori europei sono stati del tutto esclusi, per rientrarvi semmai soltanto successivamente, come notai del reingresso di Hanyeh a Gaza.
Per tutto il lungo lasso di tempo in cui il dossier Hanyeh è stato aperto, i protagonisti sono stati tutt’altri. Prima, le autorità israeliane, che hanno deciso di bloccare il reingresso del premier, con la giustificazione che dentro le sue valigie stava trasportando 35 milioni di dollari raccolti durante il suo tour nelle principali capitali della regione. Poi, gli uomini in armi dentro la Striscia: Forza 17, la guardia presidenziale che è presente nell’area della frontiera, e i militanti di Hamas, che alla notizia del blocco di Hanyeh dall’altro lato, nella cittadina di frontiera di Al Arish, sono arrivati a centinaia, ingaggiando l’ennesimo confronto teso con i rappresentanti di Fatah. E infine gli egiziani, protagonisti - di nuovo con il capo dei servizi di sicurezza Omar Suleiman - di un’altra trattativa per non far precipitare la situazione. E gli osservatori europei? Hanno chiuso formalmente il valico, subito dopo la decisione israeliana di impedire l’ingresso a Hanyeh con le valigie piene di dollari. E hanno reso noto che la frontiera - aperta a singhiozzo da molti mesi - sarebbe rimasta chiusa almeno sino a oggi. La politica, il negoziato è stato lasciato dagli europei ad altri, segnatamente agli egiziani.
La decisione di Hanyeh, di depositare i 35 milioni di dollari in un conto corrente palestinese presso la Lega Araba al Cairo, dà il senso di un preciso calcolo politico. Se la scelta è tra restare fuori con i soldi, per fare una battaglia di principio, e rientrare a Gaza nel pieno della tensione tra Hamas e Fatah, vada per la seconda ipotesi. La situazione dentro la Striscia ha ormai raggiunto livelli di frizione troppo alti perché Hanyeh potesse continuare a privilegiare il tour diplomatico rispetto alla gestione del territorio e al confronto con Mahmoud Abbas.
La situazione è peggiorata da prima dell’uccisione dei tre bambini, figli di un ufficiale della sicurezza legato ad Abu Mazen, su cui - peraltro - sia Fatah sia Hamas si rimpallano le responsabilità, tra dietrologie e strategie della tensione.
Il peggioramento parte dalla riunione del comitato esecutivo dell’Olp che ha ventilato lo scioglimento del parlamento e la decisione di Abbas di indire elezioni anticipate. Poi, gli spari contro la macchina del ministro dell’interno Said Siyyam, forse un attentato forse un avvertimento: di certo un brutto segnale, seguito il giorno dopo dalla vera e propria esecuzione dei tre bambini, e il giorno dopo ancora dall’uccisione di un giudice legato a Hamas. Ce n’è abbastanza per dire che più di qualche attore vuole che la situazione sfugga di mano. E a molti non è sfuggito che a Gaza ci sia di nuovo Mohammed Dahlan, in questo caso non tanto nel ruolo di uno dei più stretti consiglieri di Abu Mazen, ma soprattutto come uomo forte di Fatah dentro la Striscia. Negli scorsi anni e negli scorsi mesi ha perso la battaglia del controllo di Gaza con Hamas, ma continua a rimanere uno dei personaggi forti quando si tratta dei confronti armati. La sua presenza, a molti osservatori, fa pensare che si avvicini uno dei momenti importanti per il futuro a breve termine della politica palestinese.
Secondo EUROPA "nel pomeriggio di ieri la situazione è precipitata a seguito della decisione del ministro della difesa israeliano Amir Peretz di chiudere il valico di Rafah, al confine tra l’Egitto e Gaza".
al quotidiano della Margherita non si sono accorti evidentemente degli omicidi e delle stragi che hanno insanguinato Gaza nelle ultime settimane, dovuti tutti a violenza interpalesstinese, né tantomeno del continuo lancio di razzi kassam verso Israele
Cresce la spirale di tensione e di violenza in Medio Oriente. Nel pomeriggio di ieri la situazione è precipitata a seguito della decisione del ministro della difesa israeliano Amir Peretz di chiudere il valico di Rafah, al confine tra l’Egitto e Gaza. La chiusura della frontiera ha bloccato in Egitto il premier palestinese e leader di Hamas Ismail Haniyeh, di ritorno dal suo tour diplomatico in numerosi paesi arabi per partecipare alla manifestazione di oggi per il diciannovesimo anniversario della fondazione di Hamas.
Haniyeh portava con sé una valigetta contenente circa trentacinque milioni di dollari, frutto di donazioni iraniane, che ha determinato la decisione d’Israele.
Fonti di sicurezza israeliane hanno riferito che la chiusura del valico è stata decisa proprio per impedire che Haniyeh rientrasse con i soldi degli aiuti.
«Non vogliamo impedirgli di entrare a Gaza, ma vogliamo fermare il denaro, che serve a finanziare attività terroristiche», è stata la dichiarazione di un responsabile israeliano rimasto anonimo.
Secondo la ricostruzione del funzionario palestinese Hani Jabour, Haniyeh, dopo l’arrivo nel vicino aeroporto di al Arish, è stato fermato nella parte egiziana. Contemporaneamente, sul lato palestinese, è iniziato l’assalto al terminal di circa un’ottantina di militanti di Hamas, giunti sul posto per accogliere il loro leader.
Al grido di «Dio è grande! Liberate questo posto!», i miliziani hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con i poliziotti dell’Anp, responsabili della sicurezza del valico, monitorato dalla Missione europea. Dopo una feroce sparatoria, che ha causato il ferimento di due uomini del commando, i militanti di Hamas sono riusciti a fare irruzione nel terminal di Rafah, occupando diverse stanze del compound e assumendo il controllo del complesso. Subito dopo, a circa cinquecento metri di distanza sono stati fatti deflagrare due ordigni volti ad aprire un passaggio nella recinzione di frontiera e facilitare l’ingresso di Haniyeh.
Secondo la testimonianza di Maria Telleria, portavoce della Missione europea, i viaggiatori presenti, tra cui molti donne e bambini, sono stati messi al riparo dalle Guardie presidenziali palestinesi, mentre gli osservatori Ue presenti sul posto venivano evacuati durante la sparatoria. Nel frattempo, la radio di Hamas invitava i palestinesi residenti nel sud della Striscia a raggiungere il confine per «rompere l’assedio » al premier palestinese. In poco tempo, circa quindicimila sostenitori armati si sono radunati fuori dal terminal sparando in aria in segno di protesta.
Intanto, sul fronte diplomatico si profilava l’ipotesi della chiusura del valico fino ad oggi, ma in serata è stato raggiunto un accordo tra il capo dell’intelligence egiziana Omar Suleiman e i funzionari israeliani per il rientro di Haniyeh, che ha potuto fi- nalmente raggiungere la Striscia. Secondo i termini del compromesso, il terminal è stato riaperto per permettere al leader di Hamas di rientrare a Gaza a patto che lasciasse in Egitto la considerevole somma di denaro. Infatti, in base all’accordo mediato dall’Egitto, i 35 milioni di dollari saranno versati in un conto della Lega Araba al Cairo con la garanzia che non arriveranno nelle casse del governo palestinese formato da Hamas, oggetto di sanzioni economiche internazionali. In cambio di questo impegno Israele ha perciò autorizzato la riapertura della stazione di confine.
Haniyeh aveva trascorso le ultime due settimane in diversi paesi della regione mediorientale – tra cui Qatar, Iran, Siria e Sudan – per raccogliere fondi da destinare al governo palestinese, sottoposto, da quando Hamas ha vinto le legislative, all’embargo economico di Ue e Usa per il suo rifiuto di riconoscere il diritto di esistenza dello stato ebraico. Nel corso della missione Haniyeh ha ricevuto impegni d’aiuto per l’anno prossimo per un totale di trecentocinquanta milioni di dollari. Dopo queste dure sanzioni economiche, infatti, la situazione finanziaria del governo palestinese è pessima: l’embargo ha bloccato il pagamento dei salari di circa centosessantacinquemila lavoratori palestinesi, sempre più stretti nella morsa della povertà, della guerra civile e del conflitto con Israele. Tra giugno e ottobre, infatti, circa diecimila sono emigrati all’estero, fonti palestinesi affermano che altri quarantacinquemila potrebbero seguirli nei prossimi mesi se la situazione non si normalizzerà.
Il MANIFESTO accusa Israele di aver fermato Haniyeh per motivi politici, ovvero per le sue dichiarazioni "antisraeliane" in Iran.
Perché Israele, argomenta il quotidiano comunista, ha già lasciato passare esponenti del governo palestinesi con valige piene di denaro.
L'"assedio" di Gaza era dunque meno rigido di quanto non volessero farci credere?
Ecco il testo:
Con un atto che ha confermato, una volta di più, che il valico di Rafah non è mai effettivamente passato sotto il controllo palestinese, ieri Israele ha tentato di bloccare il rientro a Gaza di Ismail Haniyeh con il pretesto che il premier di Hamas aveva nel suo bagaglio 35 milioni di dollari (26,5 milioni di euro), frutto delle donazioni che ha racimolato in Iran, Qatar e Sudan a favore delle disastrate finanze palestinesi.Un’azione di cui si è fatto promotore il ministro della difesa e leader laburista israeliano Amir Peretz e che ha scatenato incidenti gravi al valico tra le guardie di frontiera emigliaia di militanti di Hamasche attendevano il loro leader ed avrebbe potuto provocare un bagno di sangue. In serata è stato raggiunto un compromesso, grazie alla mediazione del capo dell’intelligence egiziana, Omar Suleiman. Haniyeh potrà rientrare a Gaza lasciando però la somma di denaro in suo possesso che rimarrà depositata in una banca egiziana che procederà a versare i soldi sul conto dell’Autorità nazionale palestinese tramite la Lega araba. Una soluzione che equivale a perdere quei soldi - con i quali si sarebbe potuto pagare uno stipendio arretrato a decine di migliaia di insegnanti, medici, infermieri e di altri dipendenti pubblici rimasti senza reddito per l’embargo internazionale - visto che sino adoggi a causa delle pressioniamericane la Lega Araba non ha trasferito al governo palestinese un centesimo degli aiuti promessi. Il valicodiRafah èmonitorato dagli osservatori europeima opera secondo la legge palestinese che in effetti non prevede un limite massimo all’ingresso di denaro liquido a Gaza e i passeggeri sono tenuti soltanto a dichiarare il contenuto del loro bagaglio, ci ha spiegato qualche settimana fa il generale Pietro Pistolese, comandante dei «monitors» dell’Unione europea. L’accordo raggiunto lo scorso anno prevede che Israele venga tempestivamente informato, anche con l’utilizzo di telecamere, di movimenti sospetti di persone e cose al valico, ma non ha il diritto di bloccare il transito, una facoltà che hanno solo ai palestinesi. L’improvviso irrigidimento nei confronti di Haniyeh si spiega solo con una decisione politica - in risposta alle recenti pesanti dichiarazioni anti-israeliane fatte dal premier durante la sua permanenza a Teheran - visto che per il valico di Rafah nell’ultimo anno sono passati vari ministri palestinesi con parecchimilioni di dollari nelle loro tasche, sempre destinati ad aiutare la popolazione. Quello degli esteri,Mahmud Zahar, dichiarò addirittura 20 milioni di dollari al suo arrivo aRafah e rientrò regolarmente aGaza. In quei casi Israele si limitò solo a qualche protesta. La tensione a Rafah è stata alta tutto il giorno ed è esplosa dopo l’annuncio della decisione israeliana di imporre la chiusura del valico.Aun certo punto al grido di «Liberate questo posto», un’ottantina dimilitanti armati diHamassi sonoimpadroniti del terminal, mentre i viaggiatori presenti, tra cui molte donne e bambini, si sonomessi al riparo assieme agli osservatori europei (che poco dopo sono stati evacuati). Lo scambio di raffiche è stato immediato ed ha fatto alcuni feriti tra gli attivisti di Hamas. La radio del movimento islamico nello stesso momento invitava i palestinesi residenti nel sud di Gaza a raggiungere il confine per «rompere l’assedio» suHaniyeh. Almeno15mila i sostenitori che si sonoradunati a poche centinaia dimetri dalla frontiera e per molti minuti il crepitio dei colpi d’arma da fuoco è stato continuo. Dopo l’annuncio del compromesso è tornata la calma e buonaparte deimanifestanti ha fatto ritorno a casa, ma in serata la tensione era ancora molto alta, a causa anche della crisi nei rapporti tra Hamas e Al-Fatah, il partito del presidenteAbuMazen. Ieriunufficiale dei servizi d’intelligence, legato a Fatah, è stato rapitocomerappresaglia all’arresto, avvenuto poche ore prima, di un militante dei Comitati di resistenza popolare (Crp), Hisham Abu Mukhaimar, nell’ambito dell’inchiesta sull’assassinio dei tre bambini massacrati lunedì. Un portavoce dei Crp ha detto che l’ufficiale dei servizi sarà liberato solo incambio della scarcerazione di Abu Mukhaimar. In Cisgiordania, aNablus, un capo locale delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, Mohammed Ramaha, e un suo compagno sono stati uccisi ieri dai soldati israeliani nel campo profughi di Al-Ayn.
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