Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La strategia nucleare di Israele le dichiarazioni di Olmert, la cronaca di Davide Frattini e un'intervista allo storico Benny Morris
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: la redazione - Davide Frattini Titolo: «Olmert ribadisce che la strategia sul nucleare d’Israele non cambia - Gaffe sul nucleare, Olmert finisce sotto accusa - «La Bomba, il grande segreto di Shimon Peres»»
Dal FOGLIO del 13 dicembre 2006:
Gerusalemme. Israele non ha cambiato linea sul suo presunto programma nucleare. La versione ufficiale ribadisce la cosiddetta “politica dell’ambiguità”, per cui il delicato argomento non viene mai trattato in modo esplicito. Ieri in Germania, dopo aver incontrato il cancelliere Angela Merkel, il premier Ehud Olmert ha detto che “Israele non sarà il primo paese a introdurre in medio oriente armi nucleari”. E Merkel gli ha promesso di essere pronta a sostenere sanzioni contro l’Iran, che ancora ieri ha proseguito nella sua retorica contro Israele, con il presidente Ahmadinejad solerte nel dire che lo stato ebraico “scomparirà presto”, come è avvenuto con l’Urss. Le precisazioni di Olmert – che oggi è in Italia – sono arrivate dopo una serie di speculazioni sul possibile cambio di strategia di Israele sul nucleare, in un momento in cui la sicurezza del paese è sotto costante attacco: a Gaza i palestinesi si sparano tra di loro, ma i razzi Qassam volano sul Negev, nonostante la tregua; in Libano Hezbollah tenta di rovesciare il governo di Siniora e l’Iran consolida la sua regia anti Israele nella regione. Lunedì sera, in un’intervista a un’emittente tedesca, Olmert aveva detto: “Noi non abbiamo mai minacciato di annientare nessuna nazione. L’Iran apertamente ed esplicitamente e pubblicamente minaccia di cancellare Israele dalle mappe. Si può dire che, quando aspira al nucleare, l’Iran è sullo stesso livello di America, Francia, Israele, Russia?”. La presenza dello stato ebraico nella lista dei paesi nuclearizzati ha creato una crisi a Gerusalemme. Una svista o un’intimidazione precisa? Miri Eisin, portavoce di Olmert, ha ribadidato, parlando con il Foglio, che “la posizione israeliana rimane esattamente la stessa. Il premier ha detto con chiarezza che Israele non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in medio oriente”. Dagli anni 50, da quando cioè avrebbe avuto inizio il presunto programma nucleare israeliano, la politica adottata è stata quella “dell’ambiguità”. Gli esperti del settore sostengono che Israele sarebbe in possesso del sesto arsenale nucleare per grandezza al mondo. Il paese non ha mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione.
Gli esperti si dividono La questione del nucleare israeliano è stata sollevata pochi giorni fa da Robert Gates, il primo in anni a violare il tabù “non chiedo, non dico”. Durante le audizioni al Senato americano per la conferma a segretario alla Difesa, Gates ha detto che gli iraniani “sono circondati da potenze con armi nucleari: il Pakistan a est, i russi a nord, gli israeliani a ovest e noi, nel Golfo persico”. Qualcuno ha letto le sue parole come l’inaugurazione di una nuova fase di giochi diplomatici con Teheran. In Israele, è prevalsa la preoccupazione: in molti hanno pensato a una repentina trasformazione dell’atteggiamento dell’alleato americano. Olmert ha parlato poco dopo dello stesso tema. Ma non è il primo leader israeliano ad averlo fatto. Nel 1998, Shimon Peres disse a una conferenza in Giordania che Israele “non ha creato un’opzione nucleare per avere un’altra Hiroshima, bensì un’altra Oslo”. Non fosse stato per l’opzione nucleare – concluse – gli accordi di Oslo non ci sarebbero stati. In Israele, c’è chi crede che sia questione di giorni, poi la discussione sarà dimenticata. Ephraim Kam, vicedirettore del Jaffe Center presso l’Università di Tel Aviv ed esperto in minacce strategiche contro la sicurezza israeliana, è certo che le parole del primo ministro non significhino un cambiamento di strategia. “In pochi giorni – ha detto al Foglio – i mass media esauriranno l’argomento, perché non c’è argomento”. E’ d’accordo Uzi Arad, direttore dell’Istituto di politica e strategia al Centro interdisciplinare di Herzliya. Non crede però che il commento del neosegretario alla Difesa e l’uscita di Olmert siano collegati. “Gates ha parlato nelle audizioni per la sua conferma al Senato. Il suo obiettivo principale era ottenere l’approvazione dai due partiti, non fare un resoconto preciso sulla situazione internazionale”. Arad, che ha servito nel Mossad e ha lavorato come consigliere di Benjamin Netanyahu quando era primo ministro, ha scritto nel 2003 un libro intitolato “The coming earthquake: Iran’s nuclear program”. Definisce “fastidiose” le parole di Gates: “Indeboliscono il potere contrattuale dell’occidente nei confronti dell’Iran”. E’ come se avesse detto agli iraniani: “Ehi gente, andate pure avanti, noi intanto siamo spaventati a morte”. Le parole di Olmert, però, sono dispiaciute a molti. Silvan Shalom, ex ministro degli Esteri ed esponente del Likud, ritiene che possano avere influenza negativa sul tentativo della comunità internazionale di fermare il programma nucleare iraniano. Ma circola ancora l’altra ipotesi: Olmert ha detto ciò che intendeva dire.
Dal CORRIERE della SERA, la cronaca di Davide Frattini:
GERUSALEMME — Ehud Olmert ha speso gran parte della sua giornata a Berlino per cercare di rinascondere «la bomba in cantina». Ovvero per ristabilire quella dottrina dell'ambiguità sull'arsenale nucleare, che i governi israeliani hanno sempre rispettato. «Non saremo noi i primi a introdurre armi atomiche in Medio Oriente», ha ripetuto il primo ministro scegliendo la formula adottata da tutti i suoi predecessori. «Lo abbiamo dichiarato molte volte e l'ho sostenuto durante l'intervista televisiva». L'intervista sotto accusa è quella al canale tedesco N24. Rispondendo a una domanda sulla minaccia iraniana, Olmert ha commentato: «Teheran apertamente, esplicitamente e pubblicamente minaccia di cancellare Israele dalla mappa. Potete dire che questo è lo stesso livello, quando stanno aspirando ad avere armi nucleari, di Stati Uniti, Francia, Israele e Russia?». I suoi portavoce si sono affrettati a spiegare che le parole erano state presentate fuori contesto: «Il premier stava elencando le nazioni responsabili, non quelle che possiedono un arsenale». La frase è comunque bastata perché i quotidiani Yedioth Ahronoth e Maariv titolassero in prima pagina: «Gaffe nucleare». E perché l'analista militare di Haaretz si divertisse, tra l'ironico e il preoccupato, a canzonare Olmert: «Il primo ministro ha fatto un grande favore ai giornalisti — scrive Amir Oren — che d'ora in poi non dovranno fare riferimento a, finte o reali, "fonti straniere" per evitare le sanzioni della censura, a meno che non sia lui stesso una "fonte straniera". Le sue dichiarazioni non nascondono ragioni misteriose. Olmert stava solo facendo quattro chiacchiere. Può darsi che abbia preferito dimenticarsi, come vorrebbero fare gli israeliani, che lui è il capo del governo». Il premier è stato attaccato da destra e da sinistra. Silvan Shalom, già ministro degli Esteri e uno dei leader nel Likud, ha sostenuto che la frase «ha consegnato munizioni nelle mani dei nemici. Adesso potranno dire alla comunità internazionale: perché vi occupate solo dell'Iran, quando Israele conferma di avere lo stesso tipo di armi?». Yuval Steinitz, che ha guidato la commissione Esteri e Difesa alla Knesset, ha chiesto che Olmert si dimetta: «Le sue parole hanno sbriciolato cinquant'anni di dottrina dell'ambiguità. Un primo ministro che non è in grado di controllare la lingua su questioni di sicurezza dello Stato deve andarsene». Yossi Beilin, del partito pacifista Meretz, è convinto che Olmert non «abbia le qualità per guidare il Paese». Le nazioni arabe hanno chiesto un intervento dell'Onu: «Ci vogliono le sanzioni», ha dichiarato Abderrahman al-Attiya, segretario del consiglio di cooperazione del Golfo. Alcuni analisti si sono chiesti se la «gaffe» non sia stata voluta, per alzare il livello della minaccia contro l'Iran. "In ogni caso — commenta Shlomo Brom dell'università di Tel Aviv — è tanto rumore per nulla. Nessuno ormai crede più alle ambigue smentite israeliane"
Sempre dal CORRIERE, un'intervista di Frattini allo storico Benny Morris:
GERUSALEMME — Cin- quant'anni fa il primo ministro David Ben-Gurion affidò al giovane Shimon Peres il programma nucleare israeliano. Che decollò quando i francesi accettarono di contribuire alla costruzione della centrale di Dimona. Così raccontano i dossier declassificati dell'intelligence internazionale e qualche libro di storia. Così non ha mai potuto raccontare Peres. In mezzo secolo ha sempre rispettato la formula che utilizzò per rispondere a una domanda di John Fitzgerald Kennedy: «Israele non sarà la prima a introdurre armi atomiche in Medio Oriente». Le stesse parole che il premier Ehud Olmert si è affrettato a ripetere, dopo le polemiche per la sua frase in un'intervista con la televisione tedesca N24. Peres si è limitato a un accenno nel libro di memorie Una battaglia per la pace: «Il contributo durante quel periodo drammatico — scrive degli anni attorno alla Guerra dei Sei giorni — è qualcosa di cui ancora non posso parlare apertamente per ragioni di sicurezza di Stato. Dopo che Dayan divenne ministro della Difesa, gli proposi un progetto che... avrebbe intimorito gli arabi ed evitato il conflitto». «Ed è ironico che Peres — commenta lo storico Benny Morris — non abbia potuto sfruttare i risultati dei suoi sforzi a fini politici. Quando gli avversari lo accusavano di essere debole, una colomba pacifista, non poteva certo saltar fuori e dire "hei, un momento, io sono il padre della bomba. Sono Mr. Sicurezza"». Anche Benny Morris è attento a ripetere «come raccontano i giornali stranieri, com'è stato riportato», mentre ripercorre i passaggi diplomatici che hanno permesso la costruzione del reattore a Dimona. «Negli anni Cinquanta, Francia e Israele collaboravano su due livelli: il primo era l'intelligence, il secondo lo sviluppo del programma atomico. Parigi voleva cooperare con lo Stato ebraico per ragioni ideologiche (il senso di colpa per l'Olocausto) e strategiche (aiutare un alleato contro i Paesi arabi). Il contributo andò avanti fino a quando il generale De Gaulle decise di lasciare l'Algeria e Israele fu il sacrificio necessario per conservare gli interessi francesi in Medio Oriente». In quegli anni, Ben-Gurion e Peres ripetono agli americani che la centrale nucleare ha «scopi pacifici». «Le parole possono essere interpretate come la promessa che le armi, sempre che ci siano, non saranno mai utilizzate per attaccare — continua Morris — ma solo come difesa, se Israele considerasse minacciata la sua esistenza. Infatti nel 1973, pur aggredito su più fronti, il Paese non ne fece uso». I governi israeliani sono rimasti fedeli alla dottrina dell'ambiguità, una strategia che viene chiamata «la bomba in cantina»: il presunto arsenale, mai pubblicizzato o confermato, fa da deterrente verso i nemici, senza violare tecnicamente le richieste di non proliferazione di Washington. Eppure è stato Robert Gates, neo-ministro della Difesa americano, ad aprire le rivelazioni in un'audizione al congresso, una settimana fa. «Non penso che la sua sia stata una gaffe. Elencare Israele tra le potenze nucleari che circondano l'Iran significa dire "possono cavarsela da soli, senza un nostro intervento militare". È un segno della nuova strategia isolazionista che gli americani, non credo il presidente Bush, vogliono attuare. Allo stesso tempo, Olmert e i leader israeliani potrebbero avere la tentazione di far arrivare un segnale a Teheran: "Guardate che abbiamo la bomba davvero"». Chi ha contribuito a far arrivare il segnale a tutto il mondo è stato Mordechai Vanunu, il tecnico che nel 1986 svelò al giornale britannico Sunday Times i dettagli dei progetti alla centrale di Dimona. «È evidente che non ha più nulla da raccontare, ma ritengo che le restrizioni imposte a Vanunu siano valide. È comunque un traditore e l'obiettivo è usarlo come esempio per scoraggiare altre rivelazioni. Non è una vendetta, qualunque altro Paese occidentale avrebbe fatto la stessa scelta».
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