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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
01.12.2006 Passaggio di consegne agli iracheni, ma senza fughe
Bush rigetta le conclusioni della commissione Baker

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - la redazione
Titolo: «Bush: l'Iraq agli iracheni prima possibile - Il flop di Baker»

Dalla STAMPA del 1 dicembre 2006, un articolo di Maurizio Molinari sull'incontro tra Bush e il prmeier iracheno Al Maliki:

Accelerazione del trasferimento dei comandi militari ma nessuna data certa per il ritiro delle truppe Usa, opposizione alla frammentazione etnica dell'Iraq e monito all'Iran affinché ponga fine alle interferenze: sono questi gli accordi raggiunti dal presidente Usa, George W. Bush, ed il premier di Baghdad, Nuri al Maliki, in un summit che ha coinciso con le prime indiscrezioni sul rapporto Baker, favorevole a un ritiro delle 15 brigate americane senza calendari prefissati ma contemporaneo all'assunzione di responsabilità da parte irachena.
Il vertice di Amman aveva avuto una vigilia accidentata a causa delle rivelazioni su un memo della Casa Bianca che sollevava dubbi sulla credibilità di al Maliki ma il colloquio con Bush ha archiviato le tensioni e consentito di compiere un passo che accelera il passaggio dei poteri, andando nella stessa direzione che indicherà il rapporto della commissione guidata da James Baker quando sarà pubblicato il 6 dicembre.
Prima in un breakfast con le rispettive delegazioni e poi in un faccia a faccia a porte chiuse, Bush e al Maliki hanno esaminato per tre ore il rapporto redatto dal generale George Casey, comandante Usa in Iraq, sulle condizioni di sicurezza. In tale contesto il premier di Baghdad ha lamentato un'«eccessiva lentezza da parte americana» nel «fornirci gli strumenti per difendere gli iracheni» chiedendo di accelerare il passaggio delle consegne dei comandi come anche l'addestramento delle truppe.

Logistica e intelligence
E' stata musica per le orecchie di Bush: «Gli ho assicurato che faremo in modo di accelerare le sue capacità di fare ciò che serve per porre fine alle violenze» ovvero «non solo dare divise ai soldati ma metterli in grado di operare» in settori come logistica e intelligence ancora nelle mani della coalizione. L'obiettivo è di consentire ad al Maliki di contare sul almeno dieci divisioni efficienti, pari a circa 140 mila uomini. Il tutto coincide con le rivelazioni sul rapporto Baker, favorevole a ritirare le truppe dalle zone di combattimento per impegnarle nell'addestramento degli iracheni, ponendo così le premesse per la fine della missione. Saranno le prossime settimane a dire se è questa la «svolta» promessa da Bush dopo le elezioni di Midterm, di certo il summit ha confermato le convergenza fra Washington e Baghdad. A cominciare dall'assenza di calendari sul ritiro. «Andremo via il prima possibile ma solo quando la missione sarà terminata, non cerco facili vie d'uscita» ha detto Bush, trovando il consenso del premier. Sull'Iran si è parlato all'unisono. «Vogliamo buoni rapporti con i vicini ma devono basarsi sulla non interferenza» ha detto al Maliki. «L'Iran sta tentando di fermare la democrazia in Iraq sostenendo gli estremisti, proprio come fa nei Territori palestinesi» ha aggiunto Bush. Se Teheran pensava di essere riuscita a incunearsi fra gli alleati grazie al vertice fra i presidenti Jalal Talabani e Mauhmud Ahmadinejad deve ricredersi: la strada del dialogo con Baghdad è condizionata alla fine del sostegno alle milizie, a cominciare dagli sciiti in camicia nera di Moqtada al Sadr. Durante il colloquio a porte chiuse Bush - secondo alcune indiscrezioni - ha chiesto lo scioglimento dell'Esercito del Mahdi ma al Maliki si sarebbe limitato a rispondere che «la situazione è gestibile». Poco dopo comunque ha inviato ad al Sadr un messaggio aspro: «Il governo è sostenuto da una maggioranza che vi include,ciò comporta responsabilità».

«Lui è l’uomo giusto»
In più occasioni la conferenza stampa finale si è trasformata in un monologo del presidente Usa, che ha indicato alla platea - a parole e gesti - un taciturno e consenziente Nuri al Maliki come «l'uomo giusto per guidare l'Iraq». Il prolungato silenzio del premier è apparso un sintomo delle difficoltà dovute alle contrastanti pressioni cui è soggetto, tanto da parte Usa che di al Sadr.
Accordo fra i due leader vi è stato anche sul rifiuto della divisione dell'Iraq in tre zone semiautonome (sciita, sunnita e curda). «L'Iraq è degli iracheni è le frontiere devono essere salde» ha detto al Maliki, esprimendo un rifiuto della frammentazione etnica che serve a Bush per respingere le pressioni di quei leader democratici che ne sostengono la fattibilità. Convergenza anche sulla lettura delle violenze in atto: entrambi le hanno attribuite al disegno terroristico di Al Qaeda di abbattere la democrazia, senza mai fare riferimento all'ipotesi che si tratti di una guerra civile.
Al Maliki ha taciuto nellaconferenza stampa, ma si è sbilanciato successivamente in un’intrervista alla rete americana Abc con una scadenza entro la quale gli iracheni dovrebbero essere in grado di gestire la situazione. Sostenendo: «Posso dire che le forze irachene saranno pronte, del tutto pronte a ricevere la consegna entro il prossimo giugno».

Dal FOGLIO, un'analisi sul rifiuto delle conclusioni della commissione Baker :

Milano. “Unrealistic”. A George W. Bush è bastata una parolina, pronunciata ieri nel corso della conferenza stampa di Amman col premier iracheno Nouri al Maliki, per togliere credibilità e autorevolezza alla commissione indipendente sull’Iraq presieduta da James Baker, quella che secondo la stampa liberal americana avrebbe dovuto fornire al presidente il suggerimento “realista” decisivo per l’uscita dal caos iracheno. “Questo affare di risolvere la questione andandosene via non ha semplicemente nulla di realistico”, ha detto Bush rispondendo a una domanda dei cronisti e avendo bene in mente le anticipazioni del rapporto Baker. I dieci saggi di destra e di sinistra della Commissione Baker – pochissimi dei quali esperti di cose mediorientali – mercoledì sera hanno raggiunto un accordo sul documento che nella sua versione finale sarà presentato alla Casa Bianca, al Congresso e all’opinione pubblica la settimana prossima. Il New York Times ne ha anticipato il contenuto, svelandone i punti fondamentali. Nessuna sorpresa e nessuna “idea nuova”, al contrario di quanto sperava, o faceva finta di sperare, Bush. Secondo il Times, il documento Baker suggerisce di ritirare dall’Iraq 15 brigate (ovvero tra i 45 e i 75 mila uomini sul totale dei 140 mila soldati del contingente). Non è prevista alcuna data precisa per il ritiro, circostanza che ha già cominciato a far mugugnare i democratici, i quali già sospettano che Baker non abbia voluto mettere in imbarazzo Bush. Il secondo suggerimento è quello di avviare colloqui con Iran e Siria, magari partendo da una conferenza regionale sulla situazione israelo-palestinese, fino ad arrivare a incontri diretti di alto livello con Teheran e Damasco. L’idea alla base del ritiro è quella di responsabilizzare gli iracheni, facendogli capire che l’impegno americano non continuerà all’infinito. Bush non è d’accordo, come ha confermato ieri al premier iracheno, il quale chiede un maggiore impegno americano nell’addestramento delle truppe irachene. L’esercito americano ha già inviato in Iraq due o tre battaglioni di soldati e, a primavera, Bush invierà altre 20 o 30 mila truppe, come da suggerimento del Pentagono post rumsfeldiano. Quanto agli incontri con Iran e Siria, Bush continua a non averli in agenda e si limita a confermare l’impegno diplomatico multilaterale, ma a patto che Teheran sospenda l’arricchimento dell’uranio.

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