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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Corriere della Sera - L'Unità Rassegna Stampa
24.11.2006 Omicidio Gemayel Siria ed Hezbollah cercano di dare la colpa a Israele
Robert Fisk a Samir Geagea: i quotidiani italiani pubblicano, senza critiche o damande scomode

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera - L'Unità
Autore: la redazione - Giuliano Gallo - Robert Fisk
Titolo: «Noi siriani contro il terrorismo accogliete la nostra mano tesa - Hezbollah: l'Italia non tema - I draghi del Libano»

Dopo l'ennesima uccisione di un politico libanese antisiriano la REPUBBLICA epnsa bene di offrire a un ministro siriano, la signora Boutheina Sha´ban, senza  altre specificazioni definita "riformista", la possibilità di intorbidare le acque in un'intervista nella quale non ha dovuto temere nessuna domanda men che rispettosa.
Titolo tragicomico: "Noi siriani contro il terrorismo accogliete la nostra mano tesa"
Ecco il testo:



 «Chi ha ucciso Pierre Gemayel ha voluto massacrare non solo un uomo politico, un giovane libanese, ma anche precipitare l´intera regione in un abisso di caos e d´instabilità. E a farne le spese in primis sarà proprio la Siria». Il ministro Boutheina Sha´ban, riformista in prima linea a Damasco, consigliere fra i più stretti del presidente Bashar al Assad, è un torrente in piena. La raffica di mitra che ha crivellato la berlina del ministro dell´Industria libanese a Beirut, stronca l´attesa delle aperture diplomatiche che andavano rasserenando l´orizzonte di Damasco, dopo il lungo isolamento.
Signora ministro, la Casa Bianca e Israele indirizzano l´indice accusatorio alla Siria. Pierre Gemayel era un vostro aspro antagonista. Ci risiamo?
«Niente affatto. Noi condanniamo con forza questo orrendo atto di terrorismo: un crimine che assesta un colpo formidabile alla sicurezza, alla stabilità, alla pace. Chi l´ha compiuto vuole la dissoluzione dell´intero Medio Oriente, accelerare il disfacimento come sta accadendo in Iraq».
Perché assassinare Gemayel, e perché adesso?
«Girate piuttosto la domanda a chi ha perpetrato questo atto odioso. L´assassinio si ritorce contro tutti gli schieramenti politici, nessuno escluso: non giova né alla Siria, né al Libano, né all´opposizione libanese. È irragionevole trascinarci in campo proprio alla vigilia del nostro storico riavvicinamento con l´Iraq, quando Tony Blair da Londra prospetta un´apertura e una soluzione complessiva della questione mediorientale, quando l´Europa propone un´iniziativa tripartita per la pace, e Hezbollah in Libano chiede un governo di unità nazionale. La morte di Gemayel piomba in mezzo a tutto questo, a congelare ogni progresso. Dimostra troppa fretta chi scaglia contro di noi accuse tanto infamanti anziché scovare i veri responsabili. Oggi il padre di Gemayel ha avuto il coraggio di invocare cautela e unità: un atto nobile, davvero».
Allora, se non è la Siria, su chi si appuntano i suoi sospetti?
«Sappiamo solo che l´attentato si è svolto in pieno giorno, in un quartiere controllato dall´intelligence. La Siria non ha più alcuna influenza in questo senso in Libano. Né perseguiamo la politica degli assassinii. Altri, invece, la impiegano come strumento politico, assumono decisioni ufficiali a livello ministeriale, decretando omicidi mirati per ottenere risultati politici».
Lei sta dicendo Israele, è così?

Israele non compie omicidi politici, ma eliminazioni mirate di capi terroristi

«Proprio così. Del resto un´inchiesta ha confermato che è stato un agente israeliano a uccidere i fratelli Al Majdoub con un´autobomba a Sidone poco prima della guerra di luglio in Libano. Ma questo passa sotto silenzio.

Posto che la giustizia libanese condizionata da Siria ed Hezbollah sia credibile, va ricordato che i fratelli Al Majdoub  erano terroristi della Jihad islamica, non politici anti-siriani

Le dico invece che ogni assassinio in Libano, a cominciare da quello dell´ex primo ministro Rafiq Hariri, va contro gli interessi siriani, che sono la pace e la sicurezza. La ragione è evidente: il caos in Libano è un chiaro pericolo per Damasco».

Pierre Gemayel era una possibile alternativa al filosiriano Emile Lahoud. Era una minaccia frontale al dominio siriano sul Libano.

Eppure la Siria ha usato parole dure contro il governo libanese di Fuad Siniora,
appoggia Hezbollah, l´opposizione filo-siriana. Il presidente Bush vi ha diffidati dall´interferire negli affari del Libano. Il primo ministro italiano Prodi ha invitato il presidente Assad ad appoggiare Siniora.
«Smettete di definire il quadro politico libanese in base a schieramenti filo o anti-siriani: termini presi in prestito dall´Occidente. L´opposizione è semplicemente libanese, e non religiosa: è politica. Raccoglie sciiti, cristiani e sunniti. Non parliamo di governo Siniora, di singoli leader politici. Parliamo di popoli: cos´è bene o male per milioni di cittadini che pagano il prezzo più caro, in Libano come in Iraq e in Palestina. Gente che vuole vivere in pace e in sicurezza, e vede riaprirsi l´abisso, con previsioni di scontri interconfessionali e guerre civili. La Siria chiede la pace. Il presidente Assad va ripetendolo da tempo. Purché ci sia qualcuno disposto ad accogliere la mano tesa».

Se la REPUBBLICA intervista un ministro siriano, il CORRIERE della SERA sceglie di ottenere lo stesso effetto con un intervista, di Giuliano Gallo, a un hezbollah:

BEIRUT — «La morte di Pierre Gemayel è una grande perdita non solo per la sua famiglia, ma per tutto il Libano. Perché qualsiasi assassinio politico è un tentativo di destabilizzare il Paese e interrompere l'esercizio della democrazia. Anche noi siamo stati vittime di attentati, compiuti da Israele alla luce del sole...». Trad Hmadeh è un ex ministro: fa parte dei 6 che hanno lasciato la coalizione di Siniora due settimane fa. Esponente laico di Hezbollah, insegnante di filosofia, un figlio che studia a Bari, nella disciolta coalizione era ministro del Lavoro.
Professore, in piazza doveva esserci Hezbollah, invece c'erano i suoi avversari. E adesso che succederà?
«Avremmo voluto scendere in piazza per chiedere uno Stato forte, un governo di unità nazionale e una riforma del sistema elettorale. Abbiamo chiesto di discutere. Non abbiamo avuto risposte. Ora il governo non è più legittimo, e noi vogliamo utilizzare il nostro diritto a manifestare. Però questo assassinio ci ha costretti a rimandare tutto, perché stiamo vivendo giorni di lutto. Speriamo che presto si arrivi a passi positivi. Altrimenti scenderemo in piazza».
Ma che spazio di mediazione c'è se voi insistete con la richiesta di 10 ministri? Una forza che vi consentirebbe di bloccare qualunque decisione del governo.
«Se l'opposizione va al governo, deve avere un terzo più uno dei ministri. Così dice la nostra Costituzione. Per avere diritto di veto. Sennò diventa una presenza solo formale: non si può invitare una persona a pranzo e dirle che non ha diritto di mangiare... vogliamo un governo per partecipare alla creazione del futuro del Paese».
Uno dei nodi riguarda l'istituzione del tribunale internazionale sull'omicidio di Rafik Hariri.
«Hezbollah è stato colpito duramente dall'uccisione di Hariri. Noi vogliamo la cattura e la punizione degli assassini. Purtroppo ci sono degli ambienti nel Paese che vogliono utilizzare il tribunale per imporre la loro politica, per strumentalizzare. L'istituzione di questo tribunale richiede invece uno studio approfondito, perché è un'eccezione giuridica».
In Italia si vive con molta preoccupazione l'escalation della crisi, anche perché qui ci sono i nostri soldati.
«Siamo legati all'Italia da rapporti di amicizia. Ma soprattutto l'Italia è l'unico Paese che non ha mai cercato di interferire nelle questioni interne libanesi, come fanno gli Stati Uniti e purtroppo anche la Francia. Quanto all'Unifil, i suoi soldati vivono fra la nostra gente da 30 anni, compreso Hezbollah. Non abbiamo mai avuto con loro il minimo problema. Chi li ha colpiti è stato Israele. Se continuano a portare avanti l'applicazione della 1701, non esiste nessun pericolo per loro».
La Siria è accusata di aver organizzato l'assassinio di Pierre Gemayel e quello di Hariri, e nelle settimane passate di aver continuato a rifornirvi di armi.
«Per Hariri aspettiamo di vedere a cosa portano le indagini. Quanto a Gemayel, la Siria che interesse ha ad organizzare un'attentato sapendo che sarà il primo Paese a essere accusato? Per ora comunque in carcere ci sono agenti israeliani che hanno ucciso nostri esponenti. Le armi? Nasrallah è stato chiaro: le armi che abbiamo usato sono sempre state in Libano. E non abbiamo avuto nessun nuovo rifornimento. Il governo ha smentito l'inviato dell'Onu Larsen, che denunciava la continuazione del passaggio di armi attraverso il confine».

L'UNITA' si affida invece a un Robert Fisk detective, che cerca di scaricare le responsabiltà dell'omicidio di Gemayel non (caso strano) su Israele, ma sul leader delle Forze libanese Samir Geagea:

Amin Gemayel ha pianto ed è svenuto dinanzi ai nostri occhi. Un applauso si è levato dalla folla di cristiani e musulmani che a decine di migliaia erano stati involontari spettatori della drammatica scena. Uomo dai modi affettati e dallo scarso carisma come presidente del Libano, Gemayel ha alzato la mano destra.
L’ha alzata e, pur vacillante e sostenuto dal ben più giovane Saad Hariri, improvvisamente è divenuto simbolo di nobiltà. Suo figlio Pierre era stato assassinato solo due giorni prima a Beirut, ed ora il suo corpo giaceva nella cattedrale di San Giorgio, a pochi metri da noi. Aveva dato prova di coraggio, Gemayel, ieri quando alla moltitudine di libanesi che gli stava di fronte aveva detto che ci sarebbe stata una seconda rivoluzione nel Paese, e che si sarebbe conclusa soltanto dopo che fosse stato rimosso l’attuale presidente filosiriano.
La monumentale basilica porta il nome del coraggioso santo che si dice abbia ucciso il drago proprio a Beirut – e di coraggio ha dato dimostrazione l’ex premier, unico momento di umanità in questo giorno di sole in cielo e di cupe nubi sul mondo della politica. Ahimè, i draghi che si muovono nei foschi meandri della politica libanese sono però vivi e vegeti. Uno fra tutti, lo sparuto e micidiale leader della disciolta milizia libanese, Samir Geagea. Ha trascorso 14 anni in una prigione sotterranea per aver fatto saltare in aria una chiesa, e ora sbraitava con fare minaccioso di nemici del Libano, sia in patria che nel mondo. «Cercavano lo scontro? E scontro sia!»
Il doloroso sconcerto del mondo della politica libanese era fin troppo evidente in quelle figure che si stagliavano nella luce della sera attorno alla cabina antiproiettile da cui parlava Gemayel. Lui aveva perso un figlio, e nel 1982 il fratello Bashir, eletto alla carica presidenziale, la cui figlioletta aveva perso la vita nell’esplosione di una bomba durante la guerra civile. C’era Marwan Hamade, sfuggito per miracolo nell’ottobre 2004 alla deflagrazione di un’autobomba; e Saad Hariri, figlio di quel Rafiq ucciso a Beirut l’anno scorso da un’esplosione ancora più potente che aveva innescato la prima “rivoluzione” cui si deve l’avvento della democrazia in Libano e il ritiro delle truppe siriane. C’era anche il leader druso Walid Jumblatt, il cui padre Kemal è stato assassinato da un drappello di uomini armati nel marzo 1977. E Nayla Moawad, il cui marito e presidente Rene è stato polverizzato da una bomba nel novembre 1989. Erano lì, tutti assieme, su quel piccolo podio; il corpo senza vita di Pierre era nella basilica alle loro spalle, il corpo incenerito di Rafiq riposava nella tomba ricoperta di fiori di fianco a loro.
Il funerale di ieri ricordava i ludi romani, forse perché l’assenza di formalità dell’Islam ha spazzato via nel tempo la ritualità della chiesa cristiana maronita. Vecchi nemici politici si abbracciavano fra loro, avendo accanto preti e agenti sudaticci della polizia paramilitare; e intanto la folla sconfinata applaudiva alle parole di Jumblatt e Hariri, in particolare a quelle del dottor Geagea. Fischi e derisione invece per Ali Hassan Khalil del partito sciita Amal, già sinistro membro della milizia cristiana; fatto questo che non gli aveva impedito di gettare a mare, vivi naturalmente e con blocchi di cemento legati ai piedi, i prigionieri della fazione opposta, cristiani anch’essi, catturati durante la guerra civile.
Come ogni cosa che sia libanese, la giornata aveva un che di fastoso, ed è durata troppo a lungo. Ci è toccato ascoltare musica sacra, scampanii, canti di muezzin, la musica di Majioda el-Roumi, e le note dell’inno nazionale suonate dalla banda delle Forze di Sicurezza Interna, quasi coperte dal rumore degli elicotteri dell’esercito. Migliaia e migliaia di bandiere, per fortuna più libanesi che miliziane; migliaia di militari, riservisti, gendarmi, poliziotti antisommossa, provocatori del ministero degli Interni, vigili urbani e uomini dell’Isf. Tutti lì per proteggere la specie più a rischio, quei politici sopravvissuti - come dice la gente - agli attacchi degli assassini di Damasco. Durante il trasporto al cimitero, le bare di Pierre Gemayel e della sua guardia del corpo erano circondate da un centinaio di agenti di sicurezza armati fino ai denti. Quanto meglio sarebbe stato se avessero protetto quei due uomini da vivi con lo slancio di cui facevano sfoggio ora che quei poveracci erano morti. May Chidiac, la giornalista cristiana, feroce critica dell’egemonia siriana sul Libano, che ha perso una gamba e una mano nell’esplosione della propria auto l’anno scorso, ha dedicato coraggiosamente alla folla ampi sorrisi.
Assistendo all’ingresso in basilica di quella varia umanità è stato un po’ come cercare di individuare i divi in mezzo alla folla. Ecco l’ormai canuto Dory Chamoun, il cui fratello Dany, già capo dei miliziani, è stato assassinato nel 1990 insieme alla moglie Ingrid e due dei figli, Tariq e Julian; Boutros Harb e Nasib Lahoud (nessuna parentela con l’odiato presidente). Insieme a Charles Riz tutti desiderosi - chissà perché - di diventare presidente del Libano una volta che Emile Lahoud terminerà il suo mandato o sarà buttato fuori dal Palazzo Baabda dal popolo inferocito.
«A Baabda... a Baabda,» urlava la gente. Una marcia su Baabda è un’eventualità tutt’altro che remota. Sono in tanti però a non associare questa minaccia ad un’altra marcia, quella su Roma. Ad ogni modo, è Lahoud ad essere visto come leader anticostituzionale del Libano. Lungo le strade si leggono manifesti che chiedono le sue dimissioni. Agghiaccianti le denunce di Geagea: «Non accetteremo che questo governo venga sostituito da un governo di assassini e criminali,» ha urlato. Ora, tenuto conto che è stato Sayed Hassan Nasrallah, capo degli Hezbollah sciiti ad imputare al governo Siniora di essere «ambasciatori degli Usa», e dato che sono i ministri sciiti ad essere usciti da quello stesso governo, si potrebbe concludere che gli «assassini e criminali» citati da Geagea sono sciiti. Se ci si sofferma un attimo su quelle che sono state le colpe orrende di Geagea in tempo di guerra - in gran parte amnistiate – viene da chiedersi come mai i suoi sodali abbiano distrutto la chiesa di Nostra Signora nel 1994. Il tribunale sentenziò che egli voleva convincere i cristiani che erano stati gli Hezbollah a commettere quel crimine. Curioso come i fatti si ripetano. Ora stranamente l’assassinio di Pierre Gemayel ha sortito lo stesso effetto sia sui cristiani che sui musulmani sunniti: ne ha convinti non pochi che sono stati gli Hezbollah a commettere il delitto per conto della Siria. © Copyright The Independent
traduzione di Maria Luisa Tommasi Russo


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