Sul numero di novembre della rivista NUOVA ECOLOGIA, nella rubrica "Primo piano" da pag. 12 a 15 Elisa Cozzarini firma un servizio dal titolo "Il mestiere della pace" in cui si parla dei "peacebuilder", impiegati delle ong impegnati, almeno a loro dire, nell'aiuto alla popolazione civile. Naturalmente solo a quella libanese (con brevi accenni ad esperienze in altri Paesi nel mondo, dalla Colombia, allo Sri Lanka, passando per l'Iraq e la Palestina) perché Israele, attaccato da migliaia di missili Hezbollah che hanno distrutto vite umane, abitazioni, boschi e habitat naturali, a quanto pare non ha nessun diritto di essere aiutato.
In particolare l'ultimo paragrafo svela chi sono le organizzazioni dietro il progetto di aiuti al Libano. Il fior fiore tra coloro che si sono distinti per propaganda demonizzatrice nei confronti di Israele e USA, rapporti non del tutto limpidi con le varie forze fondamentaliste, quando non addirittura quelle terroristiche:
Dietro il progetto che si prepara in Libano in realtà c'è un'esperienza consolidata che tiene insieme Un ponte per, Arci, Pax Christi, Libera, Servizio civile internazionale. In agosto una delegazione di è recata a Beirut per chiedere il cessate-il-fuoco immediato, valutare i bisogni dei profughi e pianificare interventi futuri. "Su suggerimento del viceministro alla Cooperazione Patrizia Sentinelli, ci siamo riuniti in un tavolo comune per concordare un piano d'azione a sostegno della società civile - racconta Adriana Rosacco, membro della delegazione per il Servizio civile internazionale - Ora ognuno dovrà mettere in gioco le proprie competenze per essere il più efficace possibile senza duplicare gli interventi. Sarà una bella sfida perché all'interno della delegazione non c'è una posizione univoca". Adriana conosce il Libano da anni e la motivazione personale ha pesato molto sulla decisione di partecipare alla delegazione: "Era la prima volta che rischiavo mi cadesse una bomba in testa ma ho deciso di partire per l'affetto, la preoccupazione per gli amici, le persone con cui ho vissuto e lavorato in passato. Volevo vedere come stavano, chiederglielo di persona. Adesso spero di poter dare una mano perché possano ricominciare"
In un box l'intervista a Patrizia Sentinelli:
"La missione Unifil farà la storia" Per il viceministro Sentinelli si è superata la logica della guerra permanente.
In Libano siamo davvero a una svolta nell'atteggiamento italiano rispetto agli interventi nel Sud del mondo? Ne discutiamo con il viceministro alla Cooperazione, Patrizia Sentinelli.
Oggi si parla molto del Libano, rischiando forse di dimenticare altri fronti.
E' una questione molto seria, che raccoglie preoccupazioni anche mnie. Però io devo agire per dare rassicurazioni: stiamo già impegnando i fondi ottenuti nella finanziaria per gli obiettivi del millennio. Certo, non sono ancora sufficienti, ma segnano un'inversione di tendenza rispetto ai tagli del passato governo. Sono una tappa iniziale, importantissima. Stiamo lavorando alla programmazione degli interventi, cercando di tener conto delle proprità, a partire dall'Africa e dalle aree più disastrate del Sud del mondo. Senza dimenticare la tutela dei beni ambientali, come le risorse idriche. Il Litani (corso d'acqua libanese che si trova a circa 15 km dal confine israeliano, ndr) deve tornare ad essere il fiume della pace. Mi piace quest'immagine, che mi ha suggerito una ong.
In Libano come cambiano le modalità d'intervento dell'Italia?
Finanziando la missione Unifil, il Parlamento ha compiuto un atto importante, di discontinuità con la fase precedente segnata, la chiamo così per brevità, dalla logica della guerra permanente. Partecipiamo a una forza indispensabile di interposizione per la pace. E possiamo davero pensare di portare la guerra fuori dalla storia.
Qual'è il ruolo dei civili?
E' importantissimo perché ci sono diversi obiettivi da raggiungere. Da una parte la ricostruzione delle infrastrutture: case, scuole, ospedali... E' poi necessaria un'azione più duratura per contribuire alla ricostruzione del tessuto della società civile, alla riconciliazione, alla pace. Per questo abbiamo deciso di finanziare iniziative di cooperazione civile. E sottolineo civile, senza alcuna commistione con l'elemento militare, anche se si deve operare in collaborazione.
Ma così non si rischia di giustificare l'intervento armato?
E' esattamente l'opposto. C'è stata una guerra, che noi abbiamo giudicato assolutamente sbagliata. Un eccesso di preoccupazione da parte di Israele nel vedere insicuro il proprio territorio. Ma abbiamo detto di più: la cooperazione civile deve mettersi a disposizione della popolazione del Libano, nel nord come nel sud, per lavorare alla riconciliazione delle parti in conflitto, mediare tra culture diverse.
L'espressione "un eccesso di preoccupazione da parte di Israele nel vedere insicuro il proprio territorio" ci sembra memorabile.
Aggredita, Israele si preoccupa troppo della sicurezza dei suoi cittadini.
Dovrebbe lasciare che Hezbollah bombardi i suoi civili e sequestri i suoi soldati (all'interno dei suoi confini), senza reagire.
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