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L'Opinione Rassegna Stampa
22.11.2006 Il generale filo-iraniano
messo da Prodi a capo del Cesis

Testata: L'Opinione
Data: 22 novembre 2006
Pagina: 3
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Il pensiero filoiraniano del generale di Prodi»
Dall'OPINIONE del 22 novembre 2006:

“La bomba atomica iraniana non sarebbe un male così grande se fosse destinata solo a bilanciare il potenziale nucleare nelle mani di Israele. Un equilibrio da guerra fredda, tipo quello che esiste ora fra India e Pakistan. Vista la tensione perenne che affligge l’area medio orientale, un equilibrio di forze anche in questa regione potrebbe non guastare”. Quell’8 febbraio 2006 al Copaco era in programma l’audizione del generale fino all’altro ieri a capo del Sismi, Nicolò Pollari. Ancora non era all’orizzonte il caso Abu Omar, almeno non a quei livelli, ma in compenso le manovre avvolgenti della allora opposizione di sinistra già puntavano a fare cambiare i vertici dei tre servizi montando ad arte lo pseudo scandalo del Niger gate. Il palcoscenico fu però inopinatamente monopolizzato dalla suddetta ben singolare uscita del generale Giuseppe Cucchi, all’epoca rappresentante militare italiano alla Nato, posto dove era stato messo dal governo D’Alema, dopo avere per tre anni ricoperto, con il governo Prodi e con lo stesso D’Alema la carica di consigliere militare di Palazzo Chigi. Durante uno dei tanti convegni sul bisogno di multilateralismo in Medio Oriente, organizzato proprio da Nomisma, Cucchi se ne uscì con la frase rimasta famosa. Qualcuno credette di sognare: come, tutto il mondo si preoccupa del nuovo Hitler Mahmoud Ahmadinejad e del possibile riarmo nucleare in chiave anti ebraica e questo generale se ne esce così? E’ uno scherzo? Una provocazione?

All’epoca uscì un breve articolo su “Il riformista” a firma di Oscar Giannino che ieri ha anche ricordato su “libero” l’incresciosa circostanza. A parziale discolpa, si fa per dire, dell’oggi capo del Cesis, sempre grazie a Prodi che per anni lo ha avuto come consulente per gli affari militari in Nomisma, si può solo osservare che sei mesi fa ancora non era uscito il libro di Arturo Diaconale “Iran-Israele, olocausto nucleare”, che ben spiega come l’atomica di Teheran non vada annoverata tra le armi di deterrenza reciproca ma come una letale iniziativa di attacco allo stato ebraico, che contrariamente all’Iran che ha un territorio immenso, con un unico colpo potrebbe perdere un terzo del proprio territorio e dei propri abitanti. In pratica una nuova shoà. Magari il generale Cucchi a questo non ci ha pensato: perché la deterrenza nucleare sia reciproca non occorre solo un numero più o meno equivalente di bombe nell’arsenale ma anche un altrettanto quasi equivalente territorio tra i due paesi potenzialmente in guerra. Cosa questa, come spiega lucidamente Diaconale nel libro su citato, che ha permesso a Usa e Urss di stare nell’equilibrio del terrore durante la guerra fredda. Ma se l’estensione del territorio americano fosse stato pari a quello dello stato di Israele magari le cose sarebbero andate ben diversamente e ovviamente in maniera più tragica.

In quello stesso stravagante simposio il generale Cucchi osservava anche che “andrebbe rivisto il trattato di non proliferazione nucleare nel suo complesso, bisognerebbe tornare all'idea originaria del cosiddetto 'Piano Baruch' con il controllo di tutto il nucleare mondiale concentrato nelle mani delle Nazioni Unite”. Che è un po’ come fare dirigere l’Avis, il centro di raccolta del sangue, a Dracula. Secondo Cucchi infatti “il problema è che l'Onu non ha la capacità di esprimere un'autorità adeguata e che nessuno vuole seriamente mettere mano ad una sua riforma. Qualsiasi cambiamento di equilibrio toccherebbe infatti interessi ormai consolidati''. Come da questa analisi possa discendere un qualche elemento positivo dallo stato di fatto attuale e dai possibili futuri eventi con un Iran che potrebbe mettere il mondo davanti la fatto compiuto di avere l’atomica non è dato sapere. Questi geopolitici che vanno per la maggiore nelle congreghe cattocomuniste tra Nomisma e Limes sono decisi fino alla sicumera quando c’è da fare una qualche diagnosi azzardata, ma nel rimedio al male rimangono sempre un passo indietro.

Ma il pensiero ben stravagante di questo generale che da domani coordinerà i due servizi di sicurezza con Palazzo Chigi, va oltre queste battute che sicuramente saranno ben poco apprezzate da Washington e da Gerusalemme. Da buon prodiano, Cucchi è un convinto assertore dell’inutilità della lotta al terrorismo con gli eserciti e in particolare con le forze Nato. L’uomo giusto per preparare le masse italiane al ritiro anche dall’Afghanistan, dopo l’Iraq. E sempre quel maledetto 8 febbraio ecco quale fu il Cucchi pensiero su Hamas: “L'interlocutore giusto con cui Israele deve trattare è Hamas, perché un accordo sulla sicurezza si può conseguire solo con il consenso di colui che crea e gestisce l’insicurezza”. Portando questo paradosso alle estreme conseguenze allora l’Italia poteva risparmiarsi quasi dieci anni di contrasto militare alla lotta armata sedendosi al tavolo con Curcio, Moretti e Gallinari e tutto lo stato maggiore delle Brigate rosse.
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diaconale@opinione.it

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