Una strage di civili, è ovvio, non è un "errore tecnico", come il cattivo funzionamento di un televisore o di un'automobile.
Tuttavia, può essere causata da un errore tecnico.
Ovviamente, se l ' effetto di un errore tecnico è una strage, non è meno doloroso e terribile che se fosse stato causato da una volontà deliberata. Tuttavia, nei due casi il giudizio su chi ha causato la strage deve evidentemente cambiare.
E tanto più deve cambiare se l'atto che ha causato la perdita di vite umane è stato compiuto in risposta a un'aggressione, in una condizione di necessità determinata da una guerra scatenata da altri.
Non si tratta di giustificazioni capziose, ma di norme elementari per pronunciare giudizi morali equi.
Tuttavia, quando in simili vicende è coinvolta Israele, non se ne vuole in nessun modo tener conto. Si confondono anzi deliberatamente i termini della questione, mettendo in campo un sarcasmo che serve a determinare una condanna ingiusta ed alimentare l'odio.
Esemplare in questo senso l'intervento di "jena" (Riccardo Barenghi) sulla STAMPA del 10 novembre 2006, dopo la strage di Beit Hanon:
Il premier israeliano ha spiegato che la strage di civili palestinesi è stata provocata solo da un errore tecnico. Meno male, hanno commentato i morti.
E' chiaro che per le vittime non c'è differenza tra un' azione deliberata e una accidentale. Per loro il risultato è lo stesso. Ma vi è una differenza nel grado di responsabilità di chi ha compiuto l'azione. E chi formula un giudizio su di lui deve tenerne conto.
La REPUBBLICA, titolando "Olmert: "A Gaza un errore tecnico" opera un' altra confusione. A Gaza, il lettore è portato a pensare, non c'è stato un "errore tecnico" e chiamare così la morte di 19 persone rivela cinismo e disprezzo della vita umana.
Ma Olmert non ha sminuito la portata della tragedia, non l'ha definita un errore tecnico, ha invece speigato che è stata causata da un errore tecnico e non è invece stata il risultato di una politca deliberata di Israele.
L'articolo di Stabile è per lo più dedicato a sminuire l'offerta di trattative di Olmert ad Abu Mazen, presentando come inevitabile la "reazione" dei gruppi terroristici palestinesi agli eventi die Beit Hanoun.
Per sostenere questa tesi il giornalista allinea una serie di falsi.
Non è vero, tanto per incominciare, che il governo di Israele abbia cercato di isolare Abu Mazen, piuttosto, non cessando mai di offrire la propria disponibilità al dialogo con lui, ha aspettato che si rafforzasse all'interno dell'Autorità Palestinese. Una cautela più che comprensibile: chi stringerebbe patti con qualcuno che non può rispettarli perché la sua autorità é compromessa dai gruppi terroristici?
Non è vero , inoltre, che Hamas abbia "osservato per quasi due anni una tregua di fatto, interrotta soltanto dopo l´offensiva israeliana su Gaza seguita al rapimento del soldato Shalit " : la stessa formulazione di questa frase è pardossale, visto che il rapimento di Shalit (preceduto da lanci di razzi kassam) è stato operato da un gruppo collegato ad Hamas.
Ecco il testo:
GERUSALEMME - La strage di Beit Hanun non è stata causata da un attacco deliberato ma da un «errore tecnico», assicura Ehud Olmert. E già che un «errore» e per di più «tecnico» non può certo ostruire il dialogo, il premier israeliano ha colto l´occasione di un discorso agli industriali per chiedere un incontro urgente con il presidente dell´Autorità palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), «Quando si siederà con me - ha aggiunto Olmert, diffondendo la suspence - si sorprenderà a sentire quanto lontano siamo preparati ad andare. Posso offrirgli molto».
Peccato che il momento per rilanciare un processo di pace che è stato lasciato languire per anni non appaia dei più favorevoli. Al Consiglio di Sicurezza dell´Onu, il rappresentante palestinese ha accusato Israele d´aver commesso un «crimine di guerra» e «terrorismo di Stato», di fatto respingendo le scuse per l»‘incidente».
Il moderato Abu Mazen, lo stesso Abu Mazen che il governo israeliano ha in passato ripetutamente definito «irrilevante», è in questi giorni impegnato a contenere la rabbia e i propositi di rappresaglia manifestati da molte fazioni militanti, inclusi alcuni settori di al Fatah, il suo stesso partito.
Ai funerali delle vittime di Beit Hanun, dove sono sfilate decine di migliaia di persone urlando slogan di vendetta contro Israele, un durissimo avvertimento è venuto proprio dal dirigente di al Fatah che ha pronunciato l´orazione funebre. «Il nemico sionista - ha detto Abdul Hakim Awad ricorrendo a un luogo comune diffuso in entrambi gli schieramenti - conosce solo il linguaggio della forza e quindi dico: occhio per occhio, anima per anima. Non ci sarà sicurezza ad Ashkelon, a Tel Aviv o ad Haifa finchè non ci sarà sicurezza per la gente di Beit Hanun».
Non è chiaro quale sia il "luogo comune" e quali siano i due schieramenti. L'espressione "nemico sionista", utilizzata sia da Hamas che da al Fatah, non è un luogo comune, ma l'espressione verbale del rifiuto politico di riconoscere Israele come entità statuale legittima.
L'idea che la controparte riconosca solo il "linguaggio della forza" non è comune a palestinesi e israeliani. Nei momenti cruciali questi ultimi hanno sempre scelto ad ampia maggioranza la via dei negoziati e del compromesso con il nemico. I primi hanno sempre scelto la violenza e l'intransigenza.
L'idea che" non ci sarà sicurezza ad Ashkelon, a Tel Aviv o ad Haifa finchè non ci sarà sicurezza per la gente di Beit Hanun" è semplicemente una menzogna, dato che l'aggressione parte da Beit Hanoun e dalle altre città palestinesi verso le città israeliane, e non viceversa.
La carneficina di Beit Hanun è avvenuta nel momento in cui Abu Mazen si preparava a raccogliere i frutti di un paziente lavoro di persuasione e di mediazione con gli intransigenti dirigenti di Hamas. Il movimento islamico sembrava essersi convinto a lasciare la presa sul governo per cedere il campo ad un esecutivo di unità nazionale, composto da tecnici indipendenti in grado di ricevere la legittimazione della comunità internazionale e far uscire l´Autorità palestinese dall´isolamento.
Dopo essersi date battaglia per le strade di Gaza, le fazioni palestinesi sembrano aver ritrovato una certa unità, ma quello che oggi unisce i gruppi militanti è la sfiducia sulla possibilità di arrivare ad un accordo una rinnovata bellicosità nei confronti dello Stato ebraico. «Come è possibile, in un momento come questo, parlare di riconoscimento d´Israele? », si chiedeva, ieri, uno degli oratori alla manifestazione indetta dagli studenti dell´Università di Bir Zeit. Da Nablus rimbalza la notizia di un «impegno d´onore» sottoscritto dai capi di Hamas e di Al Fatah, su come fronteggiare insieme il «nemico comune».
Né meno problematico appare il contesto regionale, in cui cade la richiesta di Olmert di riprendere il dialogo. Persino l´Egitto e l´Arabia Saudita, capofila dei cosiddetti paesi arabi moderati, hanno condannato il «massacro di Beit Hanun» e auspicato l´apertura di un´inchiesta internazionale. Un modo per parare gli attacchi che i paesi arabi più intransigenti lanceranno contro il Cairo e Riad, alla riunione della Lega Araba convocata per domenica. Per non dire poi delle minacce di riprendere gli attacchi in territorio israeliano lanciate dai gruppi terroristici, come la Jihad.
Tutto questo ha creato notevole allarmismo in Israele, nonostante il livello di messa in guardia generale sia solitamente alto. Anche se Hamas ha osservato per quasi due anni una tregua di fatto, interrotta soltanto dopo l´offensiva israeliana su Gaza seguita al rapimento del soldato Shalit, gli analisti più attenti, come Dany Rubinstein, danno per scontata che «la riposta» arriverà.
E così che, aderendo alle richieste della polizia e prendendo a pretesto la situazione della sicurezza, gli organizzatori della Gay Pride Parade, sezione d´Israele, hanno annullato la marcia prevista per oggi. La manifestazione dell´orgoglio omosessuale, che aveva provocato la risposta isterica e a tratti violenta degli ebrei ultra ortodossi, si terrà al chiuso di uno stadio sotto stretta vigilanza delle forze dell´ordine. Nei giorni scorsi, gli haredim erano arrivati ad offrire persino una taglia di 20 mila shekels (cinquemila euro) a chi avrebbe ucciso un gay. Adesso cantano vittoria: «Stavolta siamo riusciti a spingerli ai margini, come si conviene ai deviati, l´anno venturo, con l´aiuto di dio, li cacceremo via dalla città».
Considerazioni analoghe a quelle svolte sulla titolazione di REPUBBLICA e sull'articolo di Stabile possono essere svolte sulla titolazione del MANIFESTO e sulla cronaca di Michele Giorgio.
In prima pagina il quotidiano comunista mette la foto dei funerali dei bambini morti a Beit Hanoun (al centro un uomo regge il corpicino di un neonato). Il titolo è "Orrore tecnico".
Di seguito, la cronaca di Giorgio:
Nel giorno del commosso addio di Gaza alle vittime di Beit Hanoun, la «città martire», mentre Ibrahim Athamnah, in cima al corteo funebre, stringeva tra le braccia il corpo della figlioletta Dima uccisa dai colpi dell'artigliera israeliana, il quadro politico ha raggiunto il paradosso. Il premier israeliano Ehud Olmert, con una mossa astuta e mediatica, ha «esortato» il presidente palestinese Abu Mazen a tornare subito al tavolo negoziale. «Sono disposto a sedere con lui senza condizioni preliminari...ho grande rispetto per Abu Mazen: è un patriota palestinese e combatterà come un leone per gli interessi palestinesi. È un uomo onesto che si oppone al terrorismo. È sotto pressione da parte di gruppi terroristici e non ha il potere per contrastarli e rovesciarli», ha dichiarato. Incredibile. Ariel Sharon prima e lo stesso Olmert dopo, entrambi accaniti sostenitori dell'unilateralismo in opposizione al piano di pace «Road Map», negli ultimi anni hanno evitato sistematicamente di riprendere il negoziato con il presidente palestinese, che pure è riconosciuto come «moderato» da tutta la Comunità internazionale, americani compresi. Olmert ha continuato a ripetere dopo l'elezione di Abu Mazen, nel gennaio del 2005, che tornerà al tavolo delle trattative soltanto quando il presidente palestinese smantellerà «le strutture del terrore» e lotterà con accanimento contro le organizzazioni armate. Ora invece tenta di far passare l'idea che il negoziato è fermo perché è Abu Mazen a volerlo. Olmert inoltre ha annunciato di essere pronto a rilasciare «molti prigionieri» palestinesi in cambio della liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit. Di fatto ha comunicato di aver accettato le condizioni palestinesi. «Non sapete quanti detenuti libereremo se rilascerete Shalit (catturato lo scorso 25 giugno)», ha detto in aperta contraddizione con la posizione che ha mantenuto in questi ultimi quattro mesi: solo dopo il rilascio incondizionato di Shalit, Israele, come gesto di buona volontà, libererà un certo numero di prigionieri palestinesi per motivi umanitari. In realtà Olmert, più che ad Abu Mazen, ha parlato al presidente americano Bush, che vedrà lunedì prossimo. Dopo la batosta elettorale, Bush ha bisogno di passare come promotore di soluzioni di pace e il premier israeliano cerca di dargli una mano. Al Consiglio di Sicurezza dell'Onu peraltro da ieri è in discussione una proposta presentata dai palestinesi attraverso il Qatar che chiede l'invio al confine tra Gaza e Israele di una forza di interposizione, come quella che opera in Libano del sud. In ogni caso Washington non esiterà ad usare il suo veto per bloccarla.
Sono morti per un «errore tecnico dell'artiglieria», i palestinesi di Beit Hanoun fatti a pezzi dalle cannonate, ha spiegato ieri sera ancora Olmert, esprimendo nuovamente «rincrescimento» per le vittime civili. I colpi, ha aggiunto, erano diretti ad un aranceto ma per cause ancora da accertare sono finiti sulle case. Attenzione, ha subito dopo avvertito Olmert, le operazioni militari contro i lanci di razzi artigianali da Gaza verso Israele continueranno, e non si possono escludere nuovi «incidenti» come quello di Beit Hanoun. Poco prima i palestinesi avevano seppellito nel «cimitero dei martiri» a nord di Gaza city le vittime della strage di mercoledì: 19 persone fra cui otto bambini e cinque donne, avvolti nella bandiera gialla del movimento al-Fatah. Una scelta obbligata, perché il cimitero di Beit Hanoun non ha più posti dopo le decine di vittime della settimana scorsa. Alla cerimonia funebre hanno partecipato decine di militanti di gruppi armati, che hanno sparato in aria per commemorare le vittime e giurato vendetta contro Israele. «Beit Hanoun, il nostro sangue sarà versato per te», hanno scandito migliaia di persone. Intanto, nonostante la battuta d'arresto alle trattative imposta ieri da Hamas dopo il massacro, continuano i negoziati per la formazione di un governo palestinese di unità nazionale. Abu Mazen ha parlato al telefono con il leader in esilio di Hamas, Khaled Mashaal e in serata si è appreso che le trattative formali tra Hamas e il presidente potrebbero riprendere già domenica.
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