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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2006 Gay pride a Gerusalemme contestato dagli ultraortodossi
una cronaca e il commento di Elena Loewenthal

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: la redazione - Elena Loewenthal
Titolo: «In Israele l’orgoglio ultraortodosso va in piazza contro quello gay»

Dal FOGLIO dell'8 novembre 2006, una cronaca delle contestazioni e delle violenze degli ebrei ultraortodossi contro il gay pride di Gerusalemme:

Gerusalemme. “Abominevole”. Così l’hanno definito. Un evento che ferisce la santità di Gerusalemme. Il gay pride si terrà venerdì in Israele, organizzato dalla Jerusalem Open House, gay center nazionale. E i gruppi ebrei ultraortodossi non si sono ancora rassegnati. Da giorni manifestano violentemente nei quartieri più religiosi della città. Lo hanno fatto ancora ieri. Succede soprattutto verso sera. Nell’ultima settimana è stato difficile avvicinarsi alla zona di Mea Shearim, quartiere ultraortodosso. La polizia a cavallo è ogni giorno impegnata a calmare decine di persone che per protestare contro l’evento di venerdì incendiano cassonetti della spazzatura e bloccano strade. Ci sono stati per ora quaranta arresti di haredim, ebrei religiosi ultraortodossi. Marceranno anche venerdì, in un contro corteo che rischia di diventare pericoloso: i leader religiosi hanno già annunciato di voler fermare il gay pride anche con mezzi non pacifici. Un tribunale di rabbini ultraortodossi ha perfino minacciato di essere pronto a lanciare una “pulsa denura” contro gli organizzatori: in aramaico, frusta di fuoco. Nella tradizione della Cabala si tratta di una maledizione di morte entro l’anno. Yitzhak Rabin, nel 1995, e Ariel Sharon, prima del ritiro da Gaza, ne sono stati oggetto. Non sono soltanto gli ebrei più oltranzisti a opporsi alla marcia nella città santa. Anche i leader religiosi cristiani e musulmani hanno fatto sentire le loro voci. Ma ad agitare le strade sono gli ebrei ultraortodossi: due giorni fa si sono spinti perfino fuori dai confini delle loro roccaforti per manifestare nel laico quartiere residenziale di Rehavia. La polizia, dopo giorni di incertezze, di comune accordo con gli organizzatori, ha ieri fatto sapere che il gay pride si farà. Dodicimila agenti saranno a guardia dell’evento. Oggi si attende il responso della Corte di giustizia sul ricorso degli ultraortodossi che chiedono la cancellazione della marcia. Lo stesso primo ministro, Ehud Olmert, si è rimesso alle forze di sicurezza, dopo aver però detto che quest’anno, a differenza del passato (il secondo gay pride di Gerusalemme si è tenuto nel 2003 quando il premier era sindaco) la marcia è “un atto provocatorio”, perché gli stessi organizzatori hanno voluto essere provocatori. Per Olmert le proteste degli haredim sono legittime. Perfino per alcuni attivisti gay la marcia è controversa. Non c’è bisogno di altro confronto, ha detto al Foglio Uzi Even, ex deputato della Knesset, il Parlamento israeliano, per il partito di ultrasinistra Meretz. Nel 1993 si fece portavoce, con successo, della campagna per l’uguaglianza dei diritti di gay e lesbiche all’interno dell’esercito. Reputa la marcia un’occasione, regalata al movimento religioso, indebolito nello scontro frontale con Sharon durante il ritiro da Gaza, per ricompattarsi. Even vive a Tel Aviv con il suo compagno, Amit Kama, attivista gay. I due si sono sposati in Canada e hanno adottato un figlio. Entrambi temono che eventuali violenze, il giorno della marcia, possano inimicare ai gay il pubblico israeliano. Provocazione, tra gli abitanti di Gerusalemme, è un termine che sembra ricorrere. Una signora sulla quarantina, proprietaria di un negozio di abbigliamento nella centralissima via Hillel, definisce così il gay pride e assicura che venerdì non aprirà. “Ho un bel negozio, ho paura che me lo devastino”. Dall’altra parte del marciapiede, Nomi, 26 anni, che gestisce un salone di bellezza, dice invece di volere la marcia per non darla vinta agli ultraortodossi. “Per dimostrare che i religiosi non possono fare quello che vogliono a Gerusalemme”.

Dalla STAMPA, il commento di Elena Loewenthal:

C'è un certo subbuglio in questi giorni a Gerusalemme. Blocchi autostradali, cassonetti e copertoni bruciati per strada, poliziotti presi a sassate da dimostranti: un insolito fermento, non ai posti di blocco o al confine con i Territori palestinesi, bensì nei quartieri dell'universo ultraortodosso. Venerdì si svolgerà per le vie della città santa per antonomasia il World Gay Pride: la marcia dell'orgoglio omosessuale che è ormai una festosa costante nelle capitali dell'Occidente. Quella d'Israele si sarebbe dovuta svolgere ancora nel 2005, e nel tradizionale mese d'agosto. Se non che il traumatico ritiro da Gaza e qualche mese fa la nuova guerra in Libano hanno costituito ragioni di tal forza maggiore da indurre gli organizzatori a un reiterato rinvio della manifestazione. Al di là di limitati disordini urbani, il fatto che sia giunto il momento per questa marcia è da prendersi dunque come un confortante segnale di normalità - per quanto ciò possa apparire quasi inverosimile, parlando di un Medioriente sempre in agitazione, e di una parata all'insegna del diritto alla diversità.
Contro questa manifestazione si staglia il fronte dell'oltranzismo religioso. La questione omosessuale è nell'agenda dei tre monoteismi biblici, con risultati e obiettivi assai diversi fra loro. I vescovi americani votano in questi giorni un documento di «linee guida per la cura pastorale» delle «persone con inclinazione omosessuale». A Teheran due giovani sono stati impiccati perché omosessuali. Gerusalemme rappresenta, alla vigilia del Gay Pride, un terreno vivo di scontro. «Parata dell'abominio» viene definita la manifestazione dagli esponenti dell'ebraismo oltranzista, haredim. Con buona dose d'inventiva, qualcuno intende organizzare il giorno prima della data fatale una campestre e alternativa parata di «bestie», a mo' di sarcastica metafora. La suprema corte rabbinica della 'eda haredit «comunità ultraortodossa» è in fase di frenetica consultazione: sta valutando se emanare il temibile Pulsa Denura. L'espressione si trova già nel Talmud e significa «anello di fuoco». Designa poi una cerimonia di maledizione di stampo cabbalistico, tesa a portare la vittima designata alla morte entro un anno. Teologicamente parlando, essa è una sorta di raccomandazione «inversamente proporzionale» rivolta agli angeli della distruzione, con cui li si invita a non usare nemmeno un briciolo di pietà o impulso di perdono nei confronti di quel peccatore. Per quanto possa sembrare tautologico fare affidamento sulla spietatezza degli angeli della distruzione, cioè le cosiddette «forze del male», va detto che secondo l'ebraismo, senza una costante misura di bontà, il mondo non potrebbe sussistere nemmeno un istante. Solo un'eccedenza di gratuita clemenza (da parte di Dio e persino del male) garantisce la sopravvivenza del creato. In questo senso, facendo affidamento su quel male assoluto raffigurato dal tremendo anello di fuoco, pulsa denura è una mozione davvero molto grave, che peraltro si rivela una buona chiave di lettura storica. Questo anatema intorno al quale la corte rabbinica sta discutendo accomuna infatti i manifestanti della Gay Pride Parade ai circa dodicimila uomini della polizia israeliana che dovranno garantire la sicurezza durante la manifestazione. Ordine pubblico e trasgressione sociale, condannati entrambi, si ritrovano uniti sotto la falcidia della maledizione religiosa: curioso ma assai significativo schieramento. Quel che è certo è che fra queste frange ultraortodosse e la società civile vige un fondamentale ago della bilancia: la sovranità dello Stato laico. Che ha già deciso per la legittimità della manifestazione, volenti o nolenti gli ultraortodossi d'ogni fede.

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