"Israele, rimpasto choc nel governo arriva il falco dell´estrema destra" titola la REPUBBLICA
Il sottotitolo attribuisce a Lieberman una "filosofia anti-araba".
Di pura disinformazione l'articolo di Alberto Stabile che attribuisce a Lieberman l'idea di organizzare un "trasferimento forzoso dei cittadini arabi-israeliani sotto sovranità palestinese, per ottenere in questo modo una scambio di territori" ( in realtà propone di cedere a un futuro Stato palestinese i territori israeliani a maggioranza araba) e quella del "il propugnatore del giuramento di fedeltà allo Stato israeliano da parte dei deputati arabi della Knesset e della messa al bando degli stessi, dovessero eccedere nelle critiche" (in realtà Lieberman si riferisce a chi intrattiene rapporti con i gruppi terroristici che vogliono distruggere Israele).
Altro elemento di disinformazione: il governo Olmert viene presentato come ormai senza programma e senza ragion d'essere, dopo il tramonto del piano di ritiro unilaterale.
Ma la strategia di Lieberman è compatibile con quella che fu di Sharon e poi di Kadima: favorire la nascita di uno Stato palestinese per mantenere la maggioranza ebraica nei confini di Israele.
Ecco il testo:
GERUSALEMME - Un ministro incaricato di occuparsi delle «minacce strategiche» non s´era mai visto. Questioni così importanti in Israele sono sempre state appannaggio del premier e del ministro della Difesa, i quali talvolta coincidevano con la stessa persona (Ben Gurion, Rabin). D´ora in avanti, invece, sarà il leader dell´estrema destra, Avigdor Lieberman, detto Ivette, a prendersi cura delle «minacce strategiche» che incombono su Israele, essendo questa la ricompensa pattuita con Ehud Olmert, per unirsi ad una maggioranza di governo indebolita dal fallimento libanese.
Detto in parole povere, quello che la cucina politica israeliana sta per sfornare è un pasticcio, un miscuglio di ingredienti apparentemente inconciliabili messo insieme per celare uno spaventoso vuoto di idee, di programma. Caduta, infatti, l´ipotesi di un ulteriore ritiro dalla Cisgiordania, su cui il partito di centro, Kadima, aveva costruito l´alleanza con il partito laburista, oltre che la sua stessa ragion d´essere, lo schieramento uscito vincitore dalle elezioni di marzo, sembra avere ben poco da vendere ai suoi elettori.
Di contro, per il governo Olmert si profilano giorni difficili. La popolarità del premier è ai minimi. Sul vertice politico-militare incombe la possibilità di una commissione di Stato per far luce sulle disfunzioni emerse nella guerra contro gli Hezbollah, non sembrando adeguata allo scopo una inchiesta interna come quella in corso. E tutto questo mentre s´avvicina la battaglia parlamentare sul bilancio, con i soliti deputati ribelli, pronti a far pagare a peso d´oro il loro sostegno al governo.
Ma è una maggioranza debole quella che Olmert s´accinge a rimpinguare con l´ingresso di Israel Beit Enu (la Nostra Casa è Israele), altrimenti detto il "Partito dei russi", vista l´accoglienza ricevuta alle ultime elezioni (11 deputati, quarto partito alla Knesset) fra i nuovi immigrati dall´ex Urss? Con 67 deputati su 120, il centrosinistra non è certamente debole. Rabin firmò gli accordi di Oslo e ne ottenne l´approvazione dalla Knesset con un governo che poteva contare su 61 voti su 120 soltanto con l´apporto dei partiti arabi. E Sharon portò a compimento il progetto di ritiro da Gaza essendo in minoranza nel suo stesso partito. Olmert, in sostanza, avrebbe voluto giocare d´anticipo per evitare di trovarsi, presto, in difficoltà. Il fatto è, però, che Lieberman è un personaggio scomodo, che sprizza una filosofia autoritaria, anti-araba e per certi versi razzista. È l´ideatore del trasferimento forzoso dei cittadini arabi-israeliani sotto sovranità palestinese, per ottenere in questo modo una scambio di territori. È il propugnatore del giuramento di fedeltà allo Stato israeliano da parte dei deputati arabi della Knesset e della messa al bando degli stessi, dovessero eccedere nelle critiche. È, infine, il promotore di una riforma costituzionale in senso presidenzialista, che il governo ha approvato (12 voti contro 11) come parte del negoziato con Olmert.
Ma per il premier le convinzioni di Lieberman non sono un problema, fermo restando che «le linee guida della maggioranza resteranno immutate». Lieberman, in sostanza, dovrà occuparsi soltanto dell´Iran e della questione nucleare iraniana, in più avrà la nomina di vice primo ministro, «senza sovrapposizioni», promette Olmert, con nessuno degli altri ministri competenti. Prospettiva, questa, tutta da verificare.
E´, invece, sul leader del partito laburista (e ministro della Difesa) Amir Peretz che ricadono i contraccolpi di questa operazione. Peretz e Lieberman sono come il diavolo e l´acqua santa. Basta rileggere cosa diceva Peretz dell´ipotetico ingresso di Lieberman nel governo all´indomani delle elezioni di fine marzo. «Non c´è alcuna possibilità che possa esserci una coalizione tra me e Lieberman».
Ma quello era un Peretz vincente, seppur non nella misura prevista. Questo di oggi è un Peretz in difficoltà, accusato d´inadeguatezza nella gestione della guerra. È possibile che in Consiglio dei ministri voterà contro l´ingresso di Lieberman, ma lascerà che a decidere sia il Comitato Centrale del partito, dove la fame di poltrone e di potere finirà con il prevalere.
Razzista, fascista, sostenitore dell'espulsione degli arabi. E' il ritratto di Lieberman tracciato da Michelangelo Cocco sul quotidiano comunista.
Ecco il testo:
Il fulmine non arriva a ciel sereno: un recente sondaggio del quotidiano Yedioth Ahronot definiva Avigdor Lieberman come il politico che gli israeliani vorrebbero come prossimo primo ministro. Con ogni probabilità tra pochi giorni saranno quasi accontentati e si ritroveranno il 58enne ebreo askenazita e leader di un partito di estrema destra come vice premier. Nato 58 anni fa a Chisnau, la capitale della Moldavia allora parte dell'Unione sovietica, Lieberman sbarca nello Stato ebraico nel 1978. Nel 1993 entra nel Likud (il partito conservatore), ma già sei anni dopo, nel '99, fonda Yisrael Beitenu (Nostra casa Israele). C'è da raccogliere il consenso elettorale dell'ondata migratoria giunta negli anni '90 dall'ex Urss: un milione di nuovi cittadini, circa 1/5 della popolazione israeliana (una parte dei quali con credenziali ebraiche molto dubbie) disposta a esprimere un voto di destra e fortemente anti-arabo. La svolta per Lieberman arriva nelle elezioni del marzo scorso, quando con l'aiuto di un guru americano degli strateghi elettorali, il repubblicano Arthur J. Finkelstein, e di uno slogan martellante: «Nyet, Nyet, Da», no, no, sì - rispettivamente a Netanyahu, Olmert, e Liberman - riesce a guadagnare migliaia di voti e undici seggi alle legislative di cui il suo Yisrael Beitenu rappresenta assieme al partito dei pensionati la principale sorpresa. La precondizione posta da Lieberman per il sostegno all'esecutivo Olmert da parte del suo Yisrael Beytenu è quella di avere per sé un ministero legato alla sicurezza: prima aveva chiesto la difesa poi la sicurezza pubblica alla fine ieri si è arrivati al compromesso della creazione di un nuovo ministero tutto per lui, quello delle «minacce strategiche». I commentatori israeliani parlano di un vero e proprio commissariamento per il ministro della difesa Amir Peretz, uscito con le ossa rotte dalla recente inconcludente guerra del Libano. Sia come sia, Olmert ritiene Lieberman un ottimo consigliere per gli affari militari e ieri un botta e risposta tra i due ha dato un assaggio di quello che potrebbe essere il ruolo del secondo. Quando il primo ministro ha annunciato che gli darà la poltrona di vice premier e un ministero nuovo di zecca, quello per le «minacce strategiche contro Israele», Lieberman ha risposto con decisione: il pericolo numero uno si chiama Iran. Nel maggio scorso, durante un dibattito in parlamento, Lieberman chiese la condanna a morte per i deputati arabo-israeliani colpevoli di «collaborazionismo» con Hamas. I membri della Knesset «che collaborano con il nemico devono essere processati - esclamò in aula - proprio come alla fine della Seconda guerra mondiale ci furono i processi di Norimberga e l'esecuzione della leadership nazista». Sdegno da parte dei deputati arabi e intervento del premier Ehud Olmert che fu costretto a dichiarare: «Non possiamo fare dibattiti improntati all'estremismo e all'intolleranza, è giunto il momento di parlare senza slogan e senza violare la legge». Come ricorda Ali Haidar, a capo dell'associazione israeliana per l'eguaglianza civile Sikkuy: «come ministro del governo Sharon nel 2001 chiese il transfer (l'espulsione dallo Stato ebraico, ndr) di una parte dei cittadini arabi dichiarando: "Li vedo come cittadini dello Stato d'Israele? No. Sono colpevoli? Sì. Devono trovare un altro posto dove sentirsi sereni"». Ahmad Tibi, deputato della Lista araba unita Ta'al ha recentemente dichiarato al quotidiano Yedioth Ahronot: «Anche se già ci sono dei razzisti in questo governo, l'inclusione di Lieberman aumenterà l'importanza del razzismo e del fascismo e sposterà l'odio anti-arabi dalle strade al governo. Il suo è un partito fascista israeliano il cui motto è odiare gli arabi. Israele ha boicottato l'Austria sul caso di Jorg Haider per molto meno». Colono di Nokdim, un insediamento ebraico nei Territori occupati, a sud ovest di Gerusalemme, Lieberman è un grande difensore anche dei cosiddetti «avamposti d'insediamenti», quel centinaio di micro colonie (tutte illegali secondo il diritto internazionale) costruiti dopo il marzo 2001 che - secondo quanto previsto dalla road map - Israele dovrebbe «smantellare immediatamente». Secondo quanto riferito da fonti vicine al governo israeliano, uno dei punti dell'accordo di governo sarebbe proprio la «legalizzazione» di una parte di quegli insediamenti, che vanno ad aggiungersi ai circa 120 di vecchia data. Ma il suo pallino di Lieberman per la soluzione ai problemi di sicurezza dello Stato ebraico resta il piano per ridisegnare la Linea verde, il confine armistiziale tracciato nel 1949 che rappresenta la frontiera tra Israele e i Territori occupati. Il triangolo della regione di Wadi-Ara, trasferito a Israele dalla Giordania come parte dell'armistizio dopo la guerra del '48, va restituito agli arabi, per cacciarne da Israele una buona parte.
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