Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Sostegno incondizionato a chi è minacciato di morte per un'opinione Bernard Henry Lévy interviene sul caso Redeker
Testata: Corriere della Sera Data: 04 ottobre 2006 Pagina: 1 Autore: Bernard Henri Lévy Titolo: «Un uomo, un simbolo. Da difendere»
Dal CORRIERE della SERA del 4 ottobre 2006:
Più in là, forse, dirò ciò che penso davvero del pezzo di Robert Redeker ( nella foto) sul Figaro del 19 settembre scorso. Per adesso, il principio è semplice. Ed è un principio che va affermato senza sfumature. Non si discute con un uomo a terra: lo si aiuta a rialzarsi. Non si apre una polemica contro chi, per aver scritto un articolo, si vede minacciato di morte, braccato, stigmatizzato: gli si tende la mano, lo si difende e, se si è un governo, lo si protegge, insieme con la sua famiglia, e gli si offre riparo. Per farla breve, non mi interessa minimamente sapere se le affermazioni di Redeker fossero sciocche o intelligenti; non voglio dovermi chiedere se, come professore, egli è bravo o scadente, apprezzato o no dai colleghi, amato dagli studenti, quotato o meno; né desidero domandarmi cosa avesse per la testa quando consegnò alla redazione il pezzo incriminato: Robert Redeker, dal momento che il suddetto pezzo gli è valso una sorta di fatwa sulla propria testa, nel Paese dei diritti dell'uomo e di Voltaire, merita un appoggio totale, indiscusso, senza oscillazioni. La libertà d'opinione non finisce, alcuni si chiedono allarmati, laddove comincia il rispetto delle idee altrui? No. Finisce — ed è cosa completamente diversa — laddove comincia l'appello all'odio razziale o, peggio, a uccidere in nome di quest'odio: essendo l'Islam non una razza ma una religione, ne consegue che l'articolo, quand'anche falso, quand'anche idiota, di un professore di filosofia vituperante nei confronti del Corano non rientra in quella categoria; vi rientrerebbe, peraltro, qualora l'argomento religioso fosse maschera, in tale circostanza, di un'inconfessata stigmatizzazione razziale, che spetterebbe ai tribunali, e ai tribunali soltanto, giudicare. Tale professore non era, insiste il ministro dell'Istruzione Gilles de Robien, tenuto, se non al dovere di riservatezza, almeno a quello di «moderazione»? Nemmeno. Perché il Redeker professore è tanto vincolato, nell'esercizio stesso del proprio mestiere, all'interno della propria classe, al dovere di neutralità quanto il Redeker cittadino, quando scrive su un giornale, è libero di esprimere il proprio pensiero; e credere o fingere di credere il contrario, confondendo i due ruoli e rivolgendo al giornalista le rimostranze che, eventualmente, si avrebbe ragione di indirizzare all'insegnante (E poi! Almeno nelle forme e modalità opportune! Sicuramente non così, pubblicamente, per il tramite dei media, e quando il nome dell'interessato è già in pasto ai cani!) è, da parte di un ministro della Repubblica, un'incomprensibile asinata, con l'aggravante di un imperdonabile sbaglio giuridico, politico e morale. Da ultimo, quanto a coloro che difendono Redeker ma a fior di labbra, o coloro che lo fanno soltanto dopo essersi presi la briga di esternare tutta l'antipatia che egli ispira loro; quanto a chi, come in seno al Mrap (Mouvement contre le Racisme et pour l'Amitié entre les Peuples), osa parlare di «provocazione» che «genera l'inaccettabile» rifiutandosi di mettere sulla bilancia l'inaccettabile «aggressione» islamofobica e l'inammissibile minaccia di morte nelle «risposte» degli islamisti; quanto a tutti coloro che, qua e là, insinuano che se, Dio non voglia, questo «scribacchino nauseabondo» dovesse subire la stessa sorte di Theo Van Gogh ad Amsterdam e venisse «punito» per la propria «bestemmia», avrebbe soltanto ciò di cui è andato in cerca, e sarebbe lui la vera ragione del gesto che lo ha ucciso; di queste persone, dunque, sarebbe poco dire che danno la nausea: esse rischiano e di giustificare il crimine, e di indebolire la République. In effetti, al punto cui siamo giunti, non possiamo che difendere incondizionatamente il giornalista del Figaro, peraltro membro anche del comitato di redazione di Temps modernes (la rivista fondata nel 1945 da Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir). Il contenuto del suo articolo, il suo carattere forse polemico o ingiurioso, non ha più, lo ribadisco, alcuna ragione d'essere in un dibattito dove ciò che è messo in discussione è, oltre alla vita di un uomo, il principio di laicità conquistato dopo aspre lotte, nel corso dei secoli, contro gli abusi di potere, e l'intolleranza, di altre confessioni. E occorre essere consapevoli del fatto che, in un tale scontro, la minima debolezza, il minimo indugio verbale o addirittura mentale quanto all'imprescrittibile e universale diritto di pensare e pubblicare ciò che si vuole sulle religioni come su tutto il resto; la minima ammissione di «disagio», il minimo «richiamo» ministeriale o affini, il minimo riferimento a presunti «limiti» da non oltrepassare nell'esercizio del libero pensiero i quali, nella fattispecie, sarebbero stati superati, rappresenterebbe un tragico regalo all'avversario nel corso di una grande battaglia: come per la vicenda delle vignette; come l'universale levata di scudi in seguito al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, di cui poi si è dovuto in qualche modo scusare; come l'annullamento, la scorsa settimana, a Berlino, di un'opera di Mozart critica verso tutte le religioni ma ritenuta, non si sa perché, particolarmente offensiva nei confronti dei musulmani... Quando dico «l'avversario», intendo (occorre precisarlo?) non l'Islam ma l'islamismo. Quando dico «la battaglia in corso», penso (occorre ancora ribadirlo?) alla battaglia che, proprio in seno all'Islam, vede contrapposti i partigiani della pace e della guerra, della democrazia e della tirannia; gli eredi dell'antica civiltà musulmana e i sedicenti teologi che tentano di appropriarsi del Corano per farne strumento di odio e di terrore.
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