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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Metro Rassegna Stampa
15.09.2006 Se lo "scontro di civiltà" diventa un'invenzione di Bush
nella sua analisi Paola Caridi non tiene conto della realtà

Testata: Metro
Data: 15 settembre 2006
Pagina: 26
Autore: Paola Caridi
Titolo: «L'inutile scontro fra civiltà di Bush»
A pag. 26 di Metro di  mercoledi 13 settembre Paola Caridi firma la sezione "Lettere e opioni" con un articolo dal titolo "L'inutile scontro fra civiltà di Bush".
 
Dopo cinque anni, George W. Bush deve aver capito che lo "scontro fra le civiltà" non è più utile. E' stato il vessillo che ha guidato tutta la stratgia statunitense. A conti fatti, però, la vecchia tesi non ha portato i frutti sperati: non certo quelli militari, vista la recrudescenza della violenza in Afghanistan, e soprattutto il pantano in cui si è trasformata l'avventura in Iraq. Non ha portato neanche i frutti culturali, ideologici, geopolitici che Bush jr. sperava. L'unica superpotenza esistente, insomma, non ha consolidato attorno a sé la solidarietà del mondo. E non ha conquistato gli animi degli arabi, dei musulmani arabi e non arabi, e in generale la comprensione di quella fetta del pianeta che non appartiene al Primo Mondo.
 
Se "lo scontro fra le civiltà", se la battaglia tra Occidente e un Islam radicale indistinto è ormai una visione che non serve più neanche gli interessi di Washington, occorre inventarsi qualcosa di più propositivo. Per esempio - come ha spiegato Bush nel suo discorso l'11 settembre - la "lotta per la civiltà": uno slogan che molto probabilmente, nei prossimi giorni, verrà legato alla guerra già dichiarata dagli Usa contro il cosiddetto "fascismo islamico". Cosa significa, però, "lotta per la civiltà"? E soprattutto, qual'è nel pensiero dell'America "la civiltà" che dev'essere salvata? Di nuovo l'Occidente? Forse non più. Forse, stavolta, ci sono altri pezzi di mondo che devono essere inseriti in questa guerra tra "buoni" e "cattivi". Quale che sia la spiegazione precisa di questa "nuova frontiera" del Bush-pensiero, c'è ancora qualcosa che non torna. E che la guerra del Libano, il coraggioso seppur tardivo intervento europeo, la ricompensa dell'Onu come attore internaazionale hanno portato alla luce. All'evidenza di tutti.
 
Non ci può essere, contro il terrorismo, una "lotta per la civiltà". Ci può essere solo una lotta delle civiltà. Che recuperi una visione non di parte, non (solo) odccidentale della giustizia, dei diritti, della dignità. Le Nazioni Unite, ormai stanche e in attesa di una plastica, sono ancora oggi l'unico strumento che abbiamo per recuperare quello che in termini tecnici si chiama multilateralismo. E che in termini semplici significa decisioni comuni e rispetto per gli altri, senza crociate e comandanti in capo.
 
La signora Caridi, come tanti altri, non sembra avere le idee molto chiare sulla situazione mondiale: il problema non è il "Bush-pensiero", ma il terrorismo che miete decine di vittime ogni giorno in tutto il globo e che gli eterni criticoni di tutte le politiche americane, israeliane e antiterroristiche in genere, considerano erroneamente una conseguenza, non la causa del suddetto "Bush-pensiero". La Caridi, come tanti altri, non fa distinzioni: da una parte i poveri buoni vittime che hanno sempre ragione e dall'altra gli Stati Uniti (o l'Occidente) ricco, cattivo che ha sempre torto. Accusano gli altri di mancanza di rispetto, ma uniscono in un informe "altro mondo" i poveri vittime, non degli americani, ma dei loro dittatori, ai satrapi e ai ricchi capi terroristi. La nostra giornalista ignora che la popolazione iraqena, quella libanese e altre ancora sono grate a chi aiuta i dissidenti che lottano per la democrazia e che tanti altri vorrebbero che si intervenisse di più per sostenere i movimenti di riforma e abbattere chi opprime e perseguita. La lotta, come è stato detto più volte, non è tra Occidente e Oriente o tra Nord e Sud, come vorrebbe chi pensa ancora in termini colonialistici, ma tra la civiltà e la barbarie, o come dice Magdi Allam, tra chi difende la vita e chi vorrebbe solo la morte. Per sé e per gli altri.
Il problema delle Nazioni Unite non è né la stanchezza né la plastica, ma il fatto che ormai i Paesi democratici sono ostaggio del gruppo di dittature che ha in mano sia il petrolio (col quale ricatta tutto il mondo), sia la maggioranza automatica nelle votazioni sia dell'Assemblea generale che delle varie commissioni, soprattutto quella dei diritti umani. Anche l'Onu, e i fatti lo dimostrano ampliamente, è una delle cause di questa guerra, non l'unico mezzo adatto a risolverla.

lettere@metroitaly.it

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