Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:Il Foglio - La Stampa - Il Giornale Autore: Giuliano Ferrara - Emanuele Novazio - Ugo Magri - Egidio Sterpa Titolo: «Ci vuole la guerra. E soltanto la guerra - Uranio la mossa dell'Iran»
Dal FOGLIO dell'11 settembre 2006, l'editoriale di Giuliano Ferrara:
Un modo giusto per ricordare l’11 settembre cinque anni dopo sarebbe disboscare la discussione sulla guerra al terrorismo da un certo numero di platitudes. Il Council on Foreign Realations non ha niente di mitico come pensa Gianni Riotta mentre intervista il suo presidente, un Richard Haass dalle idee molto confuse, e mentre guarda in bacheca il numero storico di "Foreign Affairs" con l’articolo di George Kennan sulla strategia del containment, che vuol dire tenere a freno, contenere, e anche contegno o riserbo. Nessun riserbo, nessun contegno è possibile di fronte all’islamismo politico e al suo jihad. Il containment di Kennan, cioè l’idea che la guerra al comunismo totalitario sovietico dovesse essere fredda, aveva alle spalle la distruzione e divisione della Germania, due bombe atomiche sul Giappone e la dottrina Truman, incubatrice nel 1947 del Patto Atalntico, formidabile proiezione offensiva del mondo libero. E la vittoria nella guerra fredda arrivò quando un Papa Magno e un presidente visionario ibridarono la strategia dell’equilibrio con l’offensiva del roll back, pregando a Jasna Gora per il successo della diletta nazione polacca nella lotta per la libertà, con l’assistenza della Madonna Nera, e chiedendo a Gorbaciov, con la scorta del Pershing e dei Cruise e del Progetto di scudo stellare e dei freedom fighters afghani tra i quali Osama bin Laden di tirare giù quel muro. Containment, in relazione all’islamismo politico armato, è una metafora di quart’ordine, mentre guerra è la parola giusta. La premessa del containment era Yalta, un patto tra vincitori, dunque cinico ma necessario, e il suo sottotesto era la sensibilità del blocco sovietico alla deterrenza atomica, l’assicurazione di una reciproca capacità di distruzione totale. L’islamismo politico non soffre la deterrenza militare, non ne ha paura, il suo regno ideologico e psicologico non è la promessa dell’eguaglianza nell’utopia ma il paradiso dei martiri che si fanno esplodere ogni giorno sul fronte iracheno e su altri fronti, e per questo l’islamismo politico deve essere sradicato stando all’offensiva con una strategia delle libertà e del regime change ovunque sia possibile, dovunque sia utile. Ieri in Iraq, domani in Iran. Ci fu poi, a proposito di contegno, il discorso di Fulton di Churchill, equivalente alla dichiarazione di guerra al terrorismo e agli stati canaglia dell’asse del male fatta da Bush il 20 settembre 2001. Una cortina di ferro è calata sull’Europa, disse il vincitore della seconda guerra mondiale, ma in paragone è una cortina d’acciaio quella che è calata sul mondo intero dopo l’11 settembre. Anche se abbagliati dal palazzetto neoclassico in Park Avenue, e dalle buone maniere di quella che Norman Podhoretz chiama la vecchia aristocrazia della politica estera americana, bisogna riconoscere che in questi cinque anni chi sapeva fare ha fatto, e chi non sapeva fare ha insegnato. Bisogna quindi piantarla di dire che in Iraq la guerra ha diffuso il terrorismo; la guerra ha abbattuto Saddam e varato un tentativo di democrazia costituzionale con tre elezioni di seguito e un governo legittimo, il terrorismo è un tentativo di rivincita, un effetto di destabilizzazione provocato dalla paura di perdere strategicamente, e questo terrorismo viene fronteggiato da inglesi e americani nel medio oriente, mentre nell’Europa del multiculturalismo il terrorismo di terza generazione viene foraggiato e incoraggiato da una linea equivoca di comprensione e di patteggiamento che cede di fronte al mito della sharia, crea una folta pletora di militanti islamisti che uccidono gli inermi e ormai un esercito di dissidenti del multiculturalismo minacciati dall’islam, entra in crisi per delle vignette, subisce gli effetti di una secolarizzazione senza principi né radici razionali e culturali il cui culmine è la rinuncia all’identità, la paura dell’identità in nome di una vaga "differenza cristiana" del dialogo e dell’amore impotente. L’occidente è diviso, la guerra al terrorismo ha i suoi disertori e le sue battaglie perse come tutte le guerre, la Russia e la Cina giocano la loro partita di interesse nazionale alla periferia della crisi, l’America è la guida ma anche ma anche un retroterra politico con le sue fragilità democratiche e liberali, ovvio, e Israele ha mostrato per la prima volta una debolezza politica e militare che se non sanata potrebbe diventare tragica; ma la Germania non è più quella di Schroeder, la Francia sta per liberarsi dello chiracchismo velleitario e multipolare, e persino il governo italiano e quello spagnolo si accorgeranno presto che i soldati blu possono niente di fronte al modello rivoluzionario islamista della Repubblica dei mullah. Sono passati solo cinque anni dall’11 settembre, e quasi trenta dalla vittoria di Khomeini e dall’inizio dell’offensiva maomettana, la guerra dell’islamismo politico e all’islamismo politico jihadista scavalcherà qualsiasi accordo tra Israele e palestinesi, durerà decenni.
Di seguito, la cronaca sull'ennesima ambigua risposta dell'Iran alla comunità internazionale.
L’Iran sarebbe disposto a sospendere per alcune settimane (da 1 a due mesi) l’arricchimento dell’uranio «se l’azione sarà presentata come una decisione che viene presa senza pressioni». Se quella raggiunta dopo un secondo incontro a Vienna fra l’Alto rappresentante per la politica estera europea Solana e il negoziatore capo iraniano Larijani è una vera svolta che accoglie almeno in parte - dopo mesi di rifiuti - la richiesta del Consiglio di sicurezza e allontana il rischio di sanzioni, lo si capirà nei prossimi giorni: per il momento la vicenda mantiene contorni ambigui. Non soltanto perché non ci sono conferme ufficiali a indiscrezioni raccolte dall’agenzia Ap fra fonti diplomatiche di Vienna, e perché da Teheran è arrivata una dichiarazione che sembra ridimensionarne la portata («La questione dell’arricchimento dell’uranio appartiene al passato, non accettiamo precondizioni al negoziato», ha detto un portavoce del ministero degli Esteri). E non è l’unico messaggio contraddittorio che diffonde l’Iran: l’ambasciatore iraniano presso l’Aiea, Ali Asgar Soltanieh, ha smentito Larijani affermando: «La sospensione dell’arricchimento non è stato evocato» nella due giorni con Solana. Quello che resta comunque da capire è il contesto in cui la possibile concessione iraniana si collocherebbe. Significative, a questo proposito, sono le affermazioni fatte tre giorni fa dall’ex presidente iraniano Khatami al Washington Post: «Teheran potrà accettare una sospensione dell’arricchimento dell’uranio nell’ambito di negoziati». E’ probabile dunque che Larijani abbia chiesto a Solana - che parla anche a nome del Consiglio di sicurezza - di riprendere la trattativa interrotta dopo la ripresa dell’arricchimento e il mancato rispetto dell’ultimatum dell’Onu, in cambio di una pausa in un procedimento che apre la strada alla bomba atomica. Il problema è proprio questo: si accontenteranno gli Stati Uniti dell’impegno a una sospensione temporanea che consenta alla Repubblica islamica di scampare ancora una volta al giudizio del Consiglio di sicurezza, continuando magari in segreto lo sviluppo del proprio programma nucleare, come temono fonti dell’amministrazione americana? La mossa di Teheran potrebbe comunque incrinare il fragile asse Europa-Stati Uniti ricostituitosi sulla crisi del nucleare iraniano ma già sottoposto a non poche tensioni: sono sempre più numerosi i Paesi europei contrari ad avviare a breve un procedimento per imporre sanzioni alla Repubblica islamica, e all’interno del Consiglio di sicurezza Russia, Cina e Francia non nascondono le loro perplessità in proposito, mentre Washington continua a chiedere sanzioni (lo ha fatto ancora una volta ieri Condoleezza Rice) appoggiata soltanto da Londra. Reduce da un viaggio a Teheran, il Segretario generale dell’Onu Kofi Annan ha ribadito al contrario che la migliore soluzione per risolvere la crisi «è il negoziato». Il rilancio iraniano, se confermato, rafforzerebbe il fronte della cautela. Al termine dei colloqui di ieri Solana e Larijani, che torneranno a vedersi nei prossimi giorni, apparivano distesi e soddisfatti. «Sono stati compiuti progressi costruttivi. sono stati superati alcuni malintesi e abbiamo raggiunto un punto di vista comune su diverse questioni», ha dichiarato il negoziatore iraniano. «Abbiamo discusso per 7 ore ma ne è valsa la pena», ha aggiunto l’Alto rappresentante aggiungendo che nei due giorni di colloqui sono stati esaminati «alcuni aspetti» dell’offerta fatta dal «5+1» all’Iran (aiuti economici e politici in cambio della sospensione dell’aricchimento). Da Helsinki, la presidenza di turno Ue conferma: «Colloqui molto seri». Dopo l’incontro con Solana, Larijani sarebbe stato ricevuto dal direttore generale dell’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea), El Baradei, in vista della riunione autunnale del Consiglio dei 35 governatori che si apre oggi. Le sue dichiarazioni consentiranno di capire meglio, forse, l’evoluzione della crisi.
Intanto,Pier Ferdinando Casini ha deciso di battere sul tempo ogni politico italiano eventualmente intenzionato, secondo le linee direttive della nostra "nuova" politica estera, ad accreditarsi come interlocutore del regime degli ayatollah. Di seguito, la cronaca del viaggio a Teheran e dell'incontro con Ahmadinejad dell'ex presidente della Camera. Da essa non risulta, tra l'altro, che siano state spese parole contro il negazionismo del presidente iraniano o in difesa dei diritti umani degli oppositori del regime. Ecco il testo:
Per farsi un'idea del Lupo Cattivo, del nuovo spauracchio dopo Saddam, del Nemico che l'America già lancia nel «top ten» dell'odio patriottico, del personaggio che si è spinto a negare l'Olocausto degli ebrei e ha incitato a cancellare Israele, di colui che tiene le diplomazie mondiali col fiato sospeso perché vuole fabbricarsi l'atomica, insomma per immaginarsi com'è dal vivo Mahmud Ahmadinejad, il presidente iraniano, non c'è modo migliore che metterlo a confronto con un volto noto della politica italiana, anzi il primo italiano che sia mai stato ricevuto e gli abbia scambiato parola: Pier Ferdinando Casini. L’incontro S'immagini dunque ieri mattina l'ex presidente della Camera, disinvolto e cordiale, abbronzato e «piacione», presentarsi in abito blu gessato a un omino che definire elegante sarebbe una parola grossa, e forse ci tiene ad apparire figlio del popolo che l'ha eletto mandando a casa gli ayatollah progressisti. Giacca beigiolina chiara, quasi una sahariana, su una camicia color carne, abbottonata quasi fino al collo. Niente cravatta. Pantalone scuro dalla tinta indefinibile. Vistoso anello d'oro alla mano destra. Capello liscio tirato da una parte, con accenno di riga. Barba già brizzolata sebbene Ahmadinejad (quarto di sette fratelli, papà fabbro, lui diventato ingegnere) abbia appena compiuto 50 anni. Se si potesse stabilire un termine di paragone con la politica nostrana, il leader islamico veste un po' come un leghista, Bobo Maroni o Bossi prima maniera. Si stacca dai suoi accompagnatori, va incontro all'ospite, gli stringe la mano, entrambi si volgono alle telecamere, Lupo Cattivo sorride, «Hallo Italian television» saluta fuori del protocollo, e verrebbe da interrogarsi sul perché noi «italianuzzi» (dal Caimano di Nanni Moretti) suscitiamo tanta simpatia fuori dei confini, e come mai qui in Iran è stato tutto uno sventolio di tricolori quando abbiamo vinto il mondiale di calcio. I due si accomodano in fondo allo stanzone sotto un'enorme carta geografica, la Persia, ai lati della quale stazionano come carabinieri i ritratti accigliati delle Guide spirituali: quella di ieri (Khomeini) e quella di oggi (Khamenei). Sussurri in lingua persiana Le troupe vengono allontanate, c'è solo il tempo di annotare lo sguardo di Ahmadinejad, fisso sull'interlocutore, penetrante, gli occhi neri stretti come fessure. E la bocca serrata, le labbra fini dalle quali il sorriso è scomparso e senza quasi muoversi emettono sussurri in lingua parsi amplificati dall'interprete. E' l'inizio di quello che, nel gergo delle feluche, potrebbe definirsi un «colloquio franco e amichevole». Nel racconto di Casini ai cronisti, hanno dissentito quasi su tutto. Anche se l'ex presidente della Camera invita a non farsi ingannare dalle parole durissime di Ahmadinejad, dalla sua retorica anti-occidentale, e a cogliere invece i tratti di realismo del personaggio, nel quale ha percepito semmai una velata disponibilità al confronto, segnalata immediatamente per telefono tanto a Romano Prodi che a Massimo D'Alema. Il momento più teso è stato quando il padrone di casa ha descritto gli Stati Uniti come l'impero del male, causa di tutti i guai del pianeta, criminali che in Afghanistan sono arrivati ad ammazzare cento persone in un matrimonio, che tengono 160 mila soldati in Iraq per impadronirsi del petrolio... «Io gli ho detto chiaro», confida Casini nell'aereo che lo trasferisce ad Amman nella sua veste di presidente dell'Unione interparlamentare, «di non essere d'accordo con quella sua rappresentazione caricaturale dell'America. I buoni e i meno buoni sono ovunque, e domani (oggi per chi legge, ndr) ricorre l'anniversario dell'11 settembre, in cui gli Stati Uniti non hanno attaccato nessuno ma sono stati attaccati in casa loro. Anche Israele ha diritto di vivere in pace». Ahmadinejad? Nemmeno una piega delle labbra, o un battito di ciglia. La zappa sui piedi Casini gli ha parlato col tono amichevole di un leader europeo che vede nell'Iran un potenziale fattore di stabilità nella regione. L'ha esortato a rispettare le risoluzioni dell'Onu sul nucleare, perché a indebolire il multilateralismo delle Nazioni Unite «finireste per provocare un ritorno all'unilateralismo», sottintendendo che Zio Sam a quel punto si farebbe giustizia da sé. «Vi dareste la zappa sui piedi», è il senso del discorso. Ripreso più tardi con un altro personaggio che, se si dà retta alla dissidenza iraniana, fa impallidire perfino il Lupo Cattivo: Ahmad Jannati, presidente del Consiglio dei Guardiani, il custode della legge coranica, un tremendo vecchietto che tempo addietro aveva definito i non musulmani «animali i quali si nutrono delle loro feci e inquinano il mondo». Hanno ragionato con Casini di valori e disvalori, di Islam e di civiltà, del dileggio che l'Occidente pratica nei confronti del sacro. Terreno d'incontro tra pensieri agli antipodi.
Infine, dal GIORNALE, l'editoriale di Egidio Sterpa:
Sono cinque anni oggi. Quel giorno, davanti alla Tv, quanti di noi non pensarono, per almeno un minuto, che quelle immagini dei due aerei che penetravano le Twin Towers fossero fiction e non realtà? C'era nei nostri ricordi il caso di Orson Welles, che ai radioascoltatori americani aveva fatto credere alla discesa dei marziani sulla Terra. La realtà, purtroppo, ci mostrava l'esistenza di una mostruosa Spectre, che pensavamo fosse solo fantasia dello scrittore inglese Jan Fleming, l'inventore dell'agente 007. È realtà, altroché, l'esistenza di Bin Laden, che si nasconde tra le montagne asiatiche, e ora di Ahmadinejad, il politico che non si nasconde, guida addirittura uno Stato, sostiene con soldi e armi gli Hezbollah e vorrebbe cancellare Israele dalla faccia della Terra. Siamo davvero all'antitesi del mondo civile. Stiamo vivendo una terza guerra mondiale, diversa sì per modalità e strumenti dalle precedenti ma malefica e perniciosa ben più delle altre? La domanda è retorica, ma tutt'altro che fuori dalla realtà. Ralf Dahrendorf, rispettabilissimo liberale tedesco naturalizzato inglese, su Repubblica ha svolto una tesi almeno in parte opinabile: gli attentati terroristici, dice, non sono atti di guerra ma «imprese criminali» (parte condivisibilissima); però, sostiene, la democrazia (ed ecco la parte in qualche modo opinabile) è indebolita dalle leggi e dalle misure adottate dai governi dei Paesi colpiti dal terrorismo (Usa e Gran Bretagna soprattutto, ovviamente) che violano l'habeas corpus e restringono le libertà civili Ha fatto impressione un video della rete televisiva araba Al Jazeera, che mostra Bin Laden partecipare ai preparativi dell'attacco alle due torri di New York. Un documento storico che non può non far ragionare correttamente sui rischi che l'umanità corre con la presenza di forze così oscure e personaggi tanto irresponsabili. Sì, l'habeas corpus, lo Stato di diritto, le libertà civili vanno difese, nessuno di noi può rendersi responsabile della nefandezza di cancellarli, ma come cautelarsi legittimamente? Ecco un interrogativo altamente drammatico e inquietante per un liberale. Che cosa fa il mondo politico occidentale per scongiurare che si ripetano «imprese criminali» come l'attacco a New York e gli attentati di Madrid e di Londra? Sono più d'una ormai le cancellerie europee che contestano l'interventismo americano in Afghanistan e in Irak: Francia, Spagna, ora l'Italia, senza contare le riluttanze della Germania e la contrarietà della maggior parte dei Paesi che fanno parte dell'Onu (oltre Russia, Cina, Cuba i Paesi islamici, asiatici e africani). L'Onu è una grande delusione per chi ha sperato che fosse la migliore garanzia per assicurare al mondo una convivenza pacifica. Il suo più sconfortante segretario generale è risultato certamente l'elegantissimo diplomatico ghanese Kofi Annan, che, in carica da quasi dieci anni, non è riuscito a farne una buona. Si è recato una settimana fa a Teheran e ne è tornato senza battere ciglio dopo il no dell'Iran sulla questione nucleare. Stessa musica sul fronte europeo: il responsabile della diplomazia dell'Ue, lo spagnolo Javier Solana, ha incontrato inutilmente a Vienna il negoziatore iraniano Ali Larijani. L'Iran, insomma, vuole la bomba atomica e non è con una diplomazia passiva che si può ottenere di far cambiare idea ad Ahmadinejad. L'ultimatum dell'Onu è scaduto e non ci sono né sensazioni, né finora spiragli negoziali. Altrettanto inutile, con inspiegabili reciproci sorrisi, l'incontro Prodi-Larijani a Palazzo Chigi. Siamo insomma, in un guado da cui non si esce senza una alta, intelligente e ferma politica internazionale. Certo, impensabile un intervento militare. Ma come non tener conto di quel che ha detto l'analista israeliano Efrain Inbar: «L'Iran è oggi uno Stato pazzo», che mira a conquistarsi, col possesso del nucleare, la leadership del mondo arabo. Per finire, anche quel che recentemente ha detto un uomo di Clinton (che grandi responsabilità ne ha nella questione Bin Laden) merita d'essere meditato. Parole di Graham Allison, docente ad Harvard: «Abbiamo gridato al lupo con Saddam e ora siamo fermi di fronte all'Iran». Già, forse il vero Stato canaglia era l'Iran, più dell'Irak.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio , della Stampa e del Giornale