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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
11.09.2006 Dossier: le parole del Papa su Occidente e Islam
le opinioni di Vittorio Messori, Magdi Allam e Norman Podhoretz; gli elogi avvelenati di Roberto Hamza Piccardo

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Luigi Accattoli - Vittorio Messori - Magdi Allam - Maurizio Molinari - Giacomo Galeazzi
Titolo: ««L'Occidente sordo a Dio spaventa le altre religioni» - Musulmani, le prove ancora da superare - Ma i predicatori d'odio non hanno alibi - «Sbaglia, ci odiano perché siamo diversi» «Alleati contro il materialismo»»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 settembre 2006, la cronaca di Luigi Accattoli sul discorso del Papa sul rapporto tra Occidente e Islam.
Ecco il testo:


MONACO DI BAVIERA — L'Occidente dissacrante e «cinico», che considera un diritto di libertà il «dileggio del sacro», spaventa le altre culture. L'Asia e l'Africa ammirano «la nostra scienza» ma «temono» l'esclusione totale di Dio che caratterizza la nostra «visione dell'uomo». Dobbiamo riscoprire il «timore di Dio» per ridivenire capaci di rispettare «ciò che gli altri ritengono sacro».
Il Papa teologo torna ad affermare il suo drammatico giudizio sull'Occidente secolarizzato, lo stesso che aveva pronunciato alla vigilia dell'elezione, quand'era ancora il «cardinale decano», denunciando la «dittatura del relativismo». Vi aggiunge un'allusione al dibattito sullo scontro di civiltà, ma senza nominare l'Islam: gli altri popoli — dice — si sentono minacciati quando «disprezziamo Dio» e chi lo riconosce, non quando ci mostriamo cristiani.
Un Ratzinger deciso e preciso, che svolge la sua requisitoria nei confronti del laicismo occidentale durante l'omelia della messa, letta di fronte a 250 mila persone, nel prato della «nuova Fiera» di Monaco, raccordando la predicazione del «timore di Dio» alle letture bibliche appena ascoltate e arrivando a formulare un rimando implicito alla vicenda delle vignette antislamiche apparse nella stampa europea tra il 2005 e il 2006.
«Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia — ha detto Papa Ratzinger — ammirano le nostre prestazioni tecniche e la nostra scienza, ma al contempo si spaventano di fronte a un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da imporre anche alle loro culture».
Ecco il richiamo allo scontro di civiltà: «La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca».
«Questo cinismo — dice ancora, accompagnato da applausi via via più convinti — non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo. La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio, il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra».
Il giudizio sull'Occidente post-cristiano occupa solo un paragrafo della lunga omelia, che ha come tema centrale la «debolezza d'udito» e il «deficit di percezione» nei confronti di Dio che sempre «esiste» nell'uomo, ma di cui «soffriamo specialmente in questo nostro tempo». Oggi «non riusciamo più a sentirlo», perché «sono troppe le frequenze diverse che occupano i nostri orecchi» e perché ogni discorso su di lui «ci sembra pre-scientifico, non più adatto al nostro tempo».
Ecco allora la «precedenza» che si rischia di dare ai «progetti sociali» rispetto alla «predicazione del Vangelo»: e qui è venuta una critica alla comunità cattolica tedesca, che il Papa tedesco ha definito «grandiosa nelle sue attività sociali», ma non altrettanto quando si tratta di «far conoscere il Dio di Gesù Cristo».
Con la sola scienza e le sole opere sociali — ha continuato — non si aiuta davvero il mondo, per esempio quando si tratta di «combattere l'Aids» e non si affrontano le sue «cause profonde». Sull'Aids non ha detto altro, ma ha abbozzato questa regola generale: «Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco», perché «il mondo ha bisogno di Dio». Dobbiamo dunque portare «il Dio di Gesù Cristo», perché sia «creduto e amato». Ciò dovrà avvenire «nella libertà» e «senza imposizioni» ma anche senza timore: «Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture se confessiamo ad alta voce quel Dio che alla violenza oppone la sua sofferenza, che di fronte al male e al suo potere innalza la sua misericordia». Un appello anche agli insegnanti di religione e agli educatori affinché nelle scuole «si insegni anche la ricerca di Dio».
Oggi, terzo giorno del ritorno in patria, il Papa visita il santuario di Altötting e Marktl am Inn, il villaggio al confine con l'Austria dove nacque nel 1927, in una casa che non aveva acqua corrente né luce elettrica.

Di seguito, il commento dello scrittore cattolico Vittorio Messori, che sottolinea il fatto che con l'illumismo e la società secolarizzata il cristianesimo è riuscito a convivere e si chiede, dubitandone, se lo stesso potrebbe avvenire con un islam trionfante: 

Parole importanti, quelle di Benedetto XVI sulle «popolazioni d'Asia e d'Africa» che si sentono minacciate da una cultura come quella dell'Occidente che, cinicamente, nulla considera sacro, sulla base di una ragione che degenera in razionalismo, di «un drastico illuminismo e laicismo». L'agnosticismo, l'ateismo, il rifiuto della religione: questo, non il cristianesimo autentico, sarebbe causa di sgomento per le altre culture. Parole importanti, dicevamo; ma che — nel breve spazio di un'omelia — non possono esaurire un quadro complesso, dove ogni schematismo sarebbe abusivo. Ovviamente, quello straordinario teologo che è Joseph Ratzinger è il primo a esserne consapevole.
A Monaco, non ha nominato esplicitamente l'islam, ma su di esso si è appuntato subito l'interesse dei commentatori. Ebbene, per quanto riguarda i musulmani (diverso sarebbe il discorso per altre religioni) non va dimenticato che, in Medio Oriente e altrove, c'è una endiadi indissolubile, contro la quale si indirizza l'odio dei musulmani: «giudei e crociati». Crociati: dunque, eredi di una cristianità medievale che ancora nulla sapeva di secolarizzazione. L'islam, poi, è unito dall'orrore per quel crocifisso che in Occidente gli immigrati vorrebbero far sparire dai muri di scuole ed uffici pubblici. La sua vista è intollerabile. In quel segno, in effetti — che è il cuore del cristianesimo che il razionalismo rifiuta — c'è quanto più indigna un credente nel Corano: l'idea che Allah, il Radicalmente Uno, l'Inaccessibile, possa avere un Figlio e che questi muoia nel modo disonorante degli schiavi.
Gli esempi potrebbero continuare, per confermare come, nei secoli, l'ostilità anticristiana fu tanto più viva, quanto più l'Occidente si ispirava al Vangelo e non al cosiddetto «libero pensiero». Per prendere dall'oggi un solo particolare, nei Paesi a maggioranza musulmana è vietato al clero cristiano quanto rappresenta, da noi, il segno di una religiosità anti-modernista: indossare in pubblico, cioè, la talare o il saio.
Per andare oltre: non sono pochi coloro che pensano che proprio quel «drastico illuminismo e laicismo» denunciati, giustamente, da Benedetto XVI spaventino sì gli islamici consapevoli,
ma perché vi individuano un pericolo che per essi potrebbe essere mortale. In effetti, l'Occidente moderno ha distillato dei veleni ma (sarebbe ingiusto e antistorico negarlo) ha affermato anche dei valori. Da oltre due secoli, questo Occidente ha fatto passare la «sua» religione attraverso un crogiolo arroventato. Un dramma, certo, ma che ha portato pure a risultati positivi. Sul piano socio-politico le Chiese, in particolare quella cattolica, hanno visto sradicata violentemente la simbiosi con il potere secolare. La fine dell'Ancien Régime
ha provocato una crisi che ha potuto essere superata grazie all'evangelico «date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio». Sul piano teologico, l'aggressione si è concentrata sulle basi stesse, sulla storicità della Scrittura, in particolare del Nuovo Testamento. Anche qui, i credenti hanno retto all' urto: i testi sacri, per loro, sono ispirati da Dio ma redatti dall'uomo, sono al contempo infallibili nella sostanza e fallibili per quanto riguarda la redazione, che ha obbedito a diversi generi letterari.
C'è una «elasticità» del cristianesimo (retto dalla legge dell'et et, non da quella dell'aut
aut), c'è una sua capacità genetica di adattamento che manca del tutto all' islamismo. Relegata da oltre un millennio quasi solo nella zona attorno ai Tropici, con sei secoli in meno rispetto alla fede nel Vangelo, quella nel Corano non conosce separazioni tra sfera religiosa e secolare, tra teologia e diritto, tra credo e politica. Non conosce e non può conoscere frattura tra temporale e spirituale: la Umma, la comunità dei credenti, deve coincidere con la comunità intera. Nata da e per antiche tribù, quella fede è un blocco, per essa la fine dell'Ancien Régime significherebbe la fine della religione, dipendente com'è da legalismi e da interdetti che le sono essenziali. La mancanza, poi, di una gerarchia, di un'autorità religiosa normativa per tutti i credenti rende ancor più inestricabile il legame con le autorità politiche. La diaspora, alla lunga, le è fatale.
La «rigidità» musulmana si manifesta anche nella sua fonte dottrinale: il Corano è intoccabile, ogni sua parola è stata dettata a Muhammad dall'arcangelo Gabriele come «portavoce» fedelissimo di Allah, la sua intangibilità è tale da far considerare come blasfema ogni traduzione dall'arabo antico. Che accadrà, quando la Scrittura musulmana sarà passata all'impietoso vaglio critico occidentale cui è sottoposta, da ormai due secoli, la Scrittura ebraico-cristiana? Quale credibilità conserverà quel testo, sottoposto a un'esegesi scientifica? Come prenderlo ancora per base infallibile?
Veleni l'«l'illuminismo e il laicismo drastici»? Ci mancherebbe, per un cristiano lo sono. Ma ad essi, malgrado tutto, la fede è sopravvissuta. Spesso, anzi, ne è stata purificata. Avverrà lo stesso per l'islam che vi si immerge ora? La domanda è giustificata.

Magdi Allam teme le strumentalizzazioni delle parole del Papa da parte dei predicatori d'odio fondamentalisti:

N on solo comprendo ma condivido la denuncia del Papa nei confronti dell'Occidente che disprezza Dio e dileggia il sacro. Tuttavia mi preoccupa che essa non solo coincida con l'accusa dei predicatori d'odio islamici, ma rischia di essere strumentalizzata per legittimare i loro crimini. Proprio in concomitanza con la ricorrenza dell'11 settembre, l'apoteosi della loro «guerra santa» volta ad annientare l'insieme dell'Occidente.
È del tutto ovvio che il messaggio di Benedetto XVI è assolutamente costruttivo. In linea con l'appello lanciato da Giovanni Paolo II quando, all'indomani del crollo del Muro di Berlino nel 1989, prendendo atto del dilagare della cultura laicista, consumistica e relativistica, affermò la necessità di «ricristianizzare» l'Occidente. Offrendo cioè il recupero della fede cristiana come soluzione alla profonda crisi di valori e di identità collettiva di un Occidente che era riuscito a sconfiggere il comunismo ma che si scopriva fragile dentro, senza solide radici etiche e ideali condivisi. È pertanto ineccepibile la fotografia fatta dal Papa della realtà interiore dell'Occidente, lungamente e approfonditamente analizzata sul piano storico, filosofico e teologico quando era ancora il cardinale Ratzinger.
Ma nel nostro mondo la realtà oggettiva, al pari dei valori assoluti, si collocano sempre in un contesto storico contingente permeato dalla soggettività umana e dagli interessi relativi. Ebbene è proprio la contestualizzazione della denuncia del Papa che ne evidenzia la problematicità. Tanto è vero che, anche se nel discorso pronunciato a
Monaco non vi è alcuna esplicita menzione dell'islam, quel riferimento è apparso evidente a tutti laddove il Papa ha detto: «La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà». Con un'allusione altrettanto chiara alla vicenda delle vignette su Maometto, pubblicate dal quotidiano danese
Jyllands-Posten il 30 settembre 2005, che fece esplodere una violenta crisi internazionale, con decine di morti e la distruzione di chiese, moschee e sedi diplomatiche.
Ebbene proprio quella vicenda mise in luce il ruolo subdolo e malefico dei predicatori d'odio islamici che, approfittando e strumentalizzando la debolezza e la divisione dell'Occidente, aizzarono le masse alla violenza contro i «nemici dell'islam», intesi come gli occidentali criminalizzati in modo indiscriminato e generalizzato. A cominciare da Youssef Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli Musulmani in Europa, che nel sermone pronunciato nella moschea centrale di Doha il 3 febbraio 2006, disse: «Questi danesi e i loro simili non sono né cristiani, né Gente del Libro. La gran parte di loro è senza Dio. La loro religione è rincorrere i piaceri sensuali e fare una vita peccaminosa, a partire dal vizio dell'omosessualità».
Ebbene è questo sconcertante parallelismo tra la condanna dell'Occidente da parte del Papa e degli estremisti islamici che mi preoccupa come musulmano laico e liberale, impegnato nella promozione del valore della sacralità della vita e della libertà della persona. A maggior ragione mi inquieta il fatto che i predicatori d'odio islamici possano individuare nella condanna del Papa una qualsivoglia giustificazione alla loro strategia della violenza, che colpisce indiscriminatamente tutti e di cui gli stessi musulmani sono le principali vittime. Mentre il Papa, giustamente, è intento a recuperare nell'ovile del cristianesimo le proprie «pecorelle smarrite», nel rispetto della libertà di coscienza dei singoli, gli estremisti islamici, che hanno già istituito delle solide roccaforti in Occidente, mirano a sottomettere al loro arbitrio tutti noi, cristiani, musulmani, ebrei o di altra fede e ideologia, volenti o nolenti. Questo è l'insegnamento principale che dovremmo tener presente oggi, nel quinto anniversario dell'11 settembre.

Intervistato da Maurizio Molinari per la STAMPA, Norman Podhoretz esprime il dissenso più reciso: i fondamentalisti non odiano la supposta irreligiosità dell'Occidente, ma gli ostacoli che esso pone alla loro utopia totalitaria.
Ecco il testo:


Fondatore della rivista «Commentary» e considerato il demiurgo del pensiero neoconservatore negli Usa, Norman Podhoretz non nasconde le perplessità sul discorso pronunciato da Benedetto XVI in Germania. Nato a Brooklyn e residente a Manhattan, 76 anni, con libri tradotti in tutto il mondo - Italia compresa - Podhoretz ritiene che il terrorismo islamico abbia scatenato l'11 settembre 2001 contro l'Occidente la Quarta guerra mondiale per ragioni che «non dipendono da noi».
Il Papa ha affermato che le genti dell'Asia e dell'Africa «ammirano il nostro progresso scientifico e tecnico ma al tempo stesso sono spaventate da una forma di razionalità che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo». Può essere questo il motivo per il quale i fondamentalisti islamici avversano l'Occidente fino a combatterlo con attacchi kamikaze?
«Se il Papa ha voluto dire che gli estremisti islamici ci odiano perché non abbiamo abbastanza fede in Dio, perché non siamo abbastanza credenti e religiosi, devo dire che non sono affatto d'accordo. In Occidente non tutti credono allo stesso modo ma i terroristi ci odiano tutti in eguale maniera. Il motivo per il quale ci odiano non dipende da ciò che noi facciamo, dalle nostre decisioni in materia di fede o politica, ma dipende da chi siamo: siamo differenti da loro».
Non ritiene che per un Occidente più religioso potrebbe essere più facile dialogare con il mondo musulmano fondamentalista, d'altra parte sono numerosi i casi di esponenti religiosi, dall'arcivescovo Hilarion Capucci alla setta ortodossa dei Naturei Karta, che in epoche diverse hanno trovato varchi negli ambienti musulmani più estremisti...
«Ripeto. Il motivo per il quale i terroristi islamici ci odiano non ha nulla a che vedere con la nostra fede. Potremmo essere più cristiani, ebrei e credenti in genere di quanto oggi non siamo ma il loro odio non cambierebbe. Anzi credo che se diventassimo davvero più religiosi, credessimo di più nelle nostre fedi, i terroristi ci odierebbero ancora di più. Il motivo per cui odiano i cristiani, gli ebrei ed anche i musulmani che non sono estremisti è che vorrebbero che fossimo tutti identici a loro. Inseguono la volontà di trasformare il mondo in un califfato fondamentalista dove tutti sono obbligati a seguire la loro versione estremista dell'Islam. È un'ideologia di tipo totalitario che non tiene conto della fede o non fede dell'avversario. Vuole solo conquistarlo e convertirlo».
Le parole del Papa sembrano tornare sui concetti espressi dall'ex presidente iraniano Khatami nella National cathedral di Washington: ha puntato l'indice contro la degenerazione del Rinascimento imputandole di «aver portato al trionfo della ragione sull'uomo». Che vede dietro questo linguaggio apparentemente convergente di Khatami e Benedetto XVI?
«Khatami non ha fatto altro che riproporre una vecchia e ben nota disputa sull'impatto del Rinascimento sulla nostra civiltà. Si tratta di un dibattito che dura da molto tempo e che certamente è destinato a prolungarsi con il contrapporsi di analisi differenti. Ma questo confronto sul Rinascimento, per quanto interessante e ricco di spunti, non ha molto a vedere con il terrorismo islamico, la guerra che ha lanciato contro le nostre democrazie, l'ideologia della Jihad e gli attacchi che avvennero l'11 settembre di cinque anni fa. Se i terroristi ci odiano non è a causa del Rinascimento, o di altri singoli eventi della nostra Storia, ma perché sono intenzionati a distruggere la nostra civiltà per creare al suo posto una estremista e intollerante, a loro immagine e somiglianza».

Significativamente, alle critiche di Messori, Allam e Podhoretz, si aggiungono gli elogi di Roberto Hamza Piccardo, leader fondamentalista dell'Ucoii.
Un segnale preoccupante, che dimostra come il rischio di strumentalizzazioni evocato da Allam sai tutt'altro che trascurabile.
Ecco il testo dell'intervista di Giacomo Galeazzi:


«Il Papa ha perfettamente ragione. Noi musulmani siamo colpiti, commossi e ci offriamo come suoi alleati contro il materialismo». Hamza Piccardo, portavoce dell’Ucoii, esprime la «gratitudine e la totale condivisione» della comunità islamica italiana: «Ha un’importanza storica il coraggioso e limpido riconoscimento da parte di Benedetto XVI che l’Islam teme il cinismo dell’Occidente, non il Vangelo». Questa insolita convergenza tra Islam e Santa Sede è un «dato di grande rilievo», ma già nell’ultimo decennio ci sono stati «significativi momenti di stretta collaborazione come la battaglia alla Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo contro le politiche Onu di pianificazione familiare».
Una «santa alleanza» contro il declino della fede?
«Le parole del Pontefice sono stupende e aprono una nuova era nel dialogo interreligioso. Condividiamo l’impostazione di Ratzinger: il problema non è lo scontro tra diverse forme religiose. La verità è che quando sono reali le differenti spiritualità sono sempre simili e dialogano tra loro. I musulmani, nella loro sensibilità diffusa, sono spaventati non dalla religione cristiana bensì dalla lontananza, dal disprezzo, dalla negazione di Dio che il mondo occidentale rivendica come valore. Per il Corano l’uomo che non teme Dio è pericoloso. Il limite dell’uomo, come dice giustamente il Papa, deve essere il timor di Dio, cioè la consapevolezza che sopra di lui c’è sempre qualcosa che comunque lo tiene d’occhio. E’ un sentimento, non una paura».
E la tolleranza?
«Noi islamici sappiamo che l’Occidente è arrivato al laicismo per garantire la pluralità e affrancarsi dalla religione intesa come potere temporale. Il torto, però, è aver buttato il bambino con l’acqua sporca, così oggi in questo grande vuoto delle coscienze non è salvaguardato il mio riconoscere il sacro, anzi è vilipeso e bersagliato di offese. Solo il timore e la speranza in Dio tranquillizzano i cuori. Per ogni credente non conta la realizzazione materiale, ma lo sforzo, l’impegno profuso per raggiungere l’obiettivo. Allah non mi chiederà conto se ho fondato la repubblica islamica in Italia, bensì se sono stato un buon musulmano».
I musulmani hanno davvero paura?
«Il mondo islamico è smarrito di fronte al materialismo imposto dall’Occidente attraverso i media, l’uso scriteriato delle risorse, i finanziamenti della Banca mondiale. Il Papa ci indica un terreno comune e lancia un ponte fra noi credenti, coscienti che in Dio le nostre azioni saranno ricompensate. Noi credenti abbiamo dentro dei valori, attendiamo tranquilli l’equo giudizio di Dio, non prevarichiamo gli altri perché temiamo Dio, non siamo mai disperati in quanto confidiamo in lui. Il problema è chi non crede a niente. La minaccia non è un’altra fede ma l’assenza di fede che genera attaccamento alla materia. Abbiamo in comune col Papa pressione spirituale: ci preserva come un acquedotto dalle falle delle secolarizzazione».

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