Alcuni quotidiani sono più dediti al compito di mettere continuamante sotto processo Israele che a quello di informare correttamente i lolro lettori.
Così, negli articoli che pubblicano il 1 settembre 2006 sulla polemica relativa alle bombe a grappolo, le accuse a Kofi Annan vengono enfatizzate con sapiente uso della retorica e degli aggettivi più minacciosi, mentre la replica israeliana viene riferita con così pochi particolari da risultare incomprensibile.
Ecco l'articolo di Marco Ansaldo, pubblicato dalla REPUBBLICA:
GERUSALEMME - Sono bombe micidiali. In gergo militare si chiamano «cluster bombs», ordigni a frammentazione. Sono sparse a migliaia nel territorio libanese, teatro dei 34 giorni di guerra. La loro bonifica appare un lavoro difficile, quasi impossibile, da farsi passo per passo mappe alla mano. Rappresentano il vero pericolo della missione Unifil in Libano.
Per l´uso di queste bombe a grappolo l´Onu ieri ha denunciato Israele. «Il loro impiego è completamente immorale», accusano i funzionari delle Nazioni Unite. La dura critica è arrivata dallo stesso segretario generale Kofi Annan. «Ho chiesto alle autorità israeliane di fornirci le carte per sapere dove sono state sganciate - ha detto nella conferenza stampa tenuta in Giordania insieme con re Abdallah II, dopo aver letto il rapporto compilato dai suoi uomini a New York -. Questi ordigni non dovrebbero essere usati in zone abitate. Bisogna neutralizzarli velocemente».
Al Palazzo di vetro avevano già accennato alla presenza di 100 mila proiettili non esplosi. «È scioccante - aveva affermato mercoledì il responsabile delle operazioni umanitarie, Jan Egeland - che il 90 per cento delle bombe a grappolo siano state utilizzate da Israele nelle ultime 72 ore del conflitto, quanto sapevamo che la guerra sarebbe finita».
Gerusalemme ha respinto seccamente le accuse, affermando di avere usato solo armi permesse dalla legge. «In Libano - ha detto Miri Eisin, portavoce del premier Ehud Omert - Israele ha agito soltanto nel rispetto del diritto internazionale e utilizzato armi conformi alle norme». Anche le forze armate negano: «Tutte le armi e le munizioni usate dall´esercito sono legali».
Nel pomeriggio Kofi Annan è passato a Damasco, dove questa mattina avrà un colloquio cruciale con il presidente siriano Bashar el Assad. Ieri una prima riunione si è svolta con il ministro degli Esteri, Walid el Muallim. La tappa odierna del tour mediorientale di Annan è una delle visite più delicate della sua missione, cominciata lunedì a Beirut e che si concluderà sabato a Teheran.
Al centro degli incontri di oggi l´applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza, che ha imposto la tregua e lo stop all´invio di armi a Hezbollah. I colloqui si prevedono difficili, poiché la Siria si oppone al dispiegamento di forze internazionali lungo la sua frontiera con il Libano.
Annan affronterà anche la questione del sostegno di Damasco alla milizia libanese, e il nodo delle Fattorie di Shebaa, la zona contesa a cavallo del triplice confine tra Libano, Siria e Israele.
Intanto a Gerusalemme la gestione della guerra continua ad essere fonte di malumori e polemiche. Alcuni generali stanno preparando una lettera al capo di Stato maggiore Dan Halutz, per chiederne le dimissioni. E cento comandanti della riserva discuteranno martedì con lo stesso Halutz le mancanze e gli errori avvenuti durante il conflitto. In serata, poi, migliaia di persone si sono radunate per strada a Tel Aviv, chiedendo la liberazione dei tre soldati prigionieri, uno a Gaza e due in Libano.
Nella Striscia e in Cisgiordania è stata un´altra giornata difficile. Dopo un´incursione di sei giorni alla ricerca di armi e gallerie sotterranee, i militari israeliani si sono ritirati dal quartiere Sajaiyeh di Gaza City. Nell´operazione sono morti in tutto 20 palestinesi. Gruppi armati hanno poi sparato sette razzi Qassam verso la città israeliana di Sderot. A Nablus invece si è aggiunto un nuove nome alla lista di "cadaveri eccellenti": Fadi Katisha, uno dei capi delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, esperto nella fabbricazione di bombe e corpetti esplosivi usati per compiere attentati suicidi, è stato ucciso in uno scontro a fuoco con i soldati. Misterioso invece l´omicidio di un capo dei Comitati di resistenza popolare nel campo profughi di Shati, eliminato da sconosciuti col volto coperto che gli hanno sparato a freddo.
Un altro buon esempio di questo genere di articoli è quello di Umberto De Giovannangeli pubblicato dall' UNITA':
LE BOMBE A GRAPPOLO. OVVERO IL NUOVO fronte di polemica tra Kofi Annan e Israele. Nella tappa giordana della sua missione in Medio Oriente, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha lanciato un pesante j'accuse nei riguardi dello Stato ebraico
per l'uso delle «cluster bombs» da parte dell'esercito israeliano ed ha chiesto alle autorità di Gerusalemme di rivelare la loro collocazione. «Ho chiesto alle autorità israeliane di fornirci le mappe e le indicazioni su dove sono state sganciate queste bombe, in modo da proteggere i civili. È necessario muoversi rapidamente per neutralizzarle. Armi di questo tipo non dovrebbero essere impiegate in aree civili», sottolinea Annan. L'altro ieri Israele era stato duramente criticato anche da Jan Egeland, coordinatore degli affari umanitari dell'Onu, che aveva definito «immorale» l'uso delle bombe a grappolo, ordigni che disseminano sull'obiettivo decine di mini-bombe che esplodono in un secondo tempo. Secondo la stima delle Nazioni Unite, quasi l'85% delle aree bombardate in 34 giorni di guerra è disseminato di bombe a frammentazione. L'Onu è chiamata a bonificare 359 siti. Il 90% dei 100mila ordigni presenti nella regione è stato sganciato nelle ultime 72 ore della guerra.
Immediata la replica di Gerusalemme. Sia le autorità politiche che i vertici militari israeliane rigettano le accuse di Annan. In un comunicato ufficiale, i vertici delle Forze armate dello Stato ebraico hanno sottolineato che «tutte le armi e le munizioni utilizzate dall'esercito sono consentite dalle leggi internazionali». Concetto ribadito da Miri Eisin, portavoce del premier israeliano Olmert. Al termine di un'ora di colloquio sulle rive del Mar Morto, Annan e re Abdallah hanno convenuto sulla necessità di operare per una sollecita attuazione della risoluzione 1701 che, se applicata nella sua «interezza» ha la potenzialità - oltre che di consolidare la tregua tra Israele e Libano - anche di spianare la strada alla stabilità regionale. «Con il sovrano, abbiamo discusso di come rivitalizzare il processo di pace e come raddoppiare il contingente internazionale in Libano», dichiara il numero uno del Palazzo di Vetro durante una conferenza stampa con il ministro degli Esteri giordano Abdul Ilah Khatib al termine dell'incontro, precisando che della forza multinazionale faranno parte anche soldati di Paesi musulmani, come la Malesia e l'Indonesia, non graditi a Israele. Il segretario generale dell'Onu vuole inoltre assicurare il dispiegamento di 5.000 «caschi blu» da affiancare ai militari dell'esercito libanese «il più presto possibile» perché, spiega, non appena arrivati a tale quota «sarà tempo per Israele di ritirarsi, e di ritirarsi completamente».
La presenza di soldati israeliani, interpretata dai libanesi come un proseguimento dell'occupazione, potrebbe fornire pretesti per un'ulteriore deflagrazione, rileva Annan, che è tornato ad insistere sulla necessità di porre fine al blocco aeronavale imposto da Israele al Libano che, oltre ad essere «insostenibile», soprattutto ora che si apre il periodo della ricostruzione, rischia di essere percepito dalla popolazione come «una punizione collettiva» rendendo ancor pi ostica la missione stabilizzatrice dei «caschi blu».
Le preoccupazioni di Annan trovano conferma nella capitale libanese: il presidente del Parlamento e leader sciita Nabih Berri ha chiesto al governo di «sfidare» il blocco aeronavale israeliano e riaprire l'aeroporto internazionale di Beirut ai voli commerciali.
Per un'informazione più corretta sulla vicenda si veda a questo link
Un caso a parte è quello del MANIFESTO. La cronaca di Pietro Calvisi non si limita a informare in modo incompleto sulla posizione israeliana, ma entra in polemica con essa.
Formula un giudizio (l'uso delle cluster bomb fatto da Israele è "immorale" ) e un'insinuazione ("Perché si sarebbero attese le ultime 72 ore di guerra per disseminare il Libano di 90mila cluster bomb, se non per mettere in difficoltà il rientro degli sfollati?").
Circa quest'ultima: Israele nelle ultime ore del conflitto si è impegnato in una corsa contro il tempo per ridurre ancora più significativamente di quanto già avesse fatto il potenziale offensivo di Hezbollah e per infliggergli danni che non gli consentissero di proclamarsi vincitore.
Per farlo ha anche scatenato un'offensiva di terre, con gravi perdite tra i suoi militari.
Non c'è bisogno di fare altre ipotesi per spiegare la prosecuzione dei bombardamenti aerei.
Per quanto riguarda il giudizio morale: occore ricordare che Israele ha mirato ad obiettivi militari, e che si difendeva.
Si è liberi di sostenere la non violenza assoluta o l'assoluto dovere di non colpire i civili neanche per difenderne altri, ma bisogna avere le carte in regola.
Nello specifico, bisognerebbe aver condannato in modo ben più forte le ben più gravi responsabilità di chi ha aggredito, nascondendosi tra i civili.
Cosa che il MANIFESTO non ha fatto.
Ecco il testo completo dell'articolo:
A più di due settimane dal cessate il fuoco, richiesto dalle Nazioni unite all'esercito israeliano e ai guerriglieri hezbollah, in Libano si continua a morire e ad aver paura. Le causa ha un nome strano, in inglese si chiama cluster bomb e in italiano bomba a grappolo o a deframmentazione.
«Questi ordigni non dovrebbero essere impiegati su aree civili e popolate», lo ha dichiarato ieri mattina durante una conferenza stampa in Giordania il Segretario generale dell'Onu Kofi Annan, che ha aggiunto: «Ho chiesto alle autorità israeliane di fornirci le mappe e le indicazioni su dove sono state sganciate queste bombe, in modo che si possa proteggere i civili». La denuncia di Annan arriva a neanche ventiquattro ore dal severo atto d'accusa contro Tel Aviv pronunciato al Palazzo di vetro da Jan Egeland, sottosegretario generale per gli affari umanitari dell'Onu. «Quel che è scioccante, e per me completamente immorale,- ha affermato Egeland - è che il 90 per cento degli attacchi con bombe a grappolo sia avvenuto nelle ultime 72 ore del conflitto, quando sapevamo che si era vicini alla risoluzione dell'Onu e quindi alla fine della guerra». Secondo l'Unmas (Coordinamento delle Nazioni unite per l'azione anti-mine) l'85 per cento delle aree bombardate nel sud del Libano è disseminato di circa 100mila bombe a deframmentazione inesplose, localizzate in 359 siti. Le operazioni di messa in sicurezza delle aree colpite dagli ordigni inesplosi, secondo gli organi competenti dell'Onu, richiederanno dai dodici ai quindici mesi.
La preoccupazione da parte dei collaboratori di Kofi Annan è tanta e giustificata visto che, sempre secondo il sottosegretario Egeland, le bombe hanno colpito aree particolarmente vaste, in centri abitati, aziende agricole e zone commerciali. Inutile dire, a questo punto, che il rientro degli sfollati appare un'operazione particolarmente difficile. Del milione di persone che avrebbero abbandonato le loro case durante il conflitto, ben 250mila avrebbero paura a farvi rientro per via degli ordigni inesplosi, che quotidianamente continuano a provocare morti e feriti. Dal cessate il fuoco iniziato lo scorso 14 agosto, fonti dell'esercito libanese dichiarano che «11 persone sono rimaste uccise e 50 ferite» a causa delle munizioni non deflagrate, di cui una gran parte e da individuare fra le bombe a grappolo.
Per fermare altri possibili massacri e per intervenire immediatamente sul territorio, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha firmato un accordo formale di partenariato con l'Unmas. «Alla fine di ogni conflitto, - ha detto Stephane Jaquement, rappresentante dell'Unhcr in Libano - la sicurezza degli sfollati e il loro dignitoso rientro a casa, rimangono sempre una nostra priorità. Per il nostro lavoro - ha concluso Jaquement - è cruciale che strade, aree civili e case siano sicure e l'Unmas in questo può aiutarci». Aspetto principalmente interessante dell'accordo di partenariato fra le due organizzazioni è il progetto di sensibilizzazione della popolazione locale sulla pericolosità degli ordigni inesplosi che coinvolge in particolare i bambini. Partito da appena due giorni, il piano di intervento ha iniziato ad essere operativo nei villaggi situati intorno alla città di Tiro. «I leader locali - spiega Dalia Farran, portavoce dell'Unmas - ci hanno chiesto di fornire dei corsi di formazione rivolti ai bambini, circa i rischi derivanti dalle mine, poiché molti di loro entrano giornalmente in contatto con residui di bombe a grappolo ed esplosivi». Secondo Christopher Clark, direttore del programma Unmas di Tiro, «il conflitto in Libano ha generato una delle più gravi contaminazioni di ordigni inesplosi mai avvenuta, sia a sud del fiume Litani che nelle aree a nord e ad est del paese». In risposta a queste pesanti prese di posizione espresse da alti rappresentanti dell'Onu e fra tutti dal suo Segretario generale Kofi Annan, il governo israeliano risponde con dichiarazioni che non dovrebbero invecchiare nel tempo e che certamente non rispondono agli inviti mossi in questi giorni dalla comunità internazionale. Ieri infatti il portavoce del primo ministro Ehud Olmert, Miri Eisin, precisava che «in Libano, Israele ha agito soltanto nel rispetto del diritto internazionale e ha utilizzato armi conformi alle normative internazionali». Queste dichiarazioni sono le stesse - non cambia nemmeno una parola - che le autorità di Tel Aviv hanno rilasciato il 19 agosto scorso quando, interpellate dalla Bbc sempre sull'uso delle cluster bomb nel sud del Libano, si sono rifugiate nei dettagli del diritto internazionale. Infatti le Nazioni unite non hanno messo in discussione la «legalità» dell'utilizzo di tali bombe (sarebbe stato inutile farlo, visto che Israele non ha mai ratificato i trattati di Ottawa del 1997 che ne proibiscono l'impiego) ma hanno posto l'accento sull'uso «immorale» che se ne è fatto soprattutto colpendo aree ad alta densità abitativa, con l'intenzione di renderle inabitabili nell'immediato futuro. Perché si sarebbero attese le ultime 72 ore di guerra per disseminare il Libano di 90mila cluster bomb, se non per mettere in difficoltà il rientro degli sfollati?
Su accuse e ipotesi "senza riscontri o smentite" o "non confutate", brillanti eufemismi per "non sostenute da uno straccio di prove" si basa per ammissione delle stessa autrice l'articolo di Annalena Di Giovanni "L'arsenale di Tel Aviv", che riportiamo, con alcune nostre considerazioni inserite nel testo:
Le bombe a frammentazione non sono l'unico ordigno non-convenzionale, o estesamente contestato, usato in questa guerra.
Questa frase contrasta con il seguito dell'articolo, nel quale si ammette che l'uso di molte delle "nuove armi" in questione da parte di Israele non è un fatto verificato.
Una guerra che, in 33 giorni, ha causato più di 1000 morti, fra la popolazione libanese, dei quali 12 negli ultimi giorni, come effetto collaterale delle cluster bombs rimaste inesplose sul territorio.
Alcuni tipi di armi sono semplicemente troppo nuovi per rientrare in qualunque definizione o casistica più o meno morale. Altri sono semplicemente sconosciuti.
Nuovissimo era il missile termobarico GBU-28, del quale un centinaio di testate sono state fornite dagli Stati uniti come già i mezzi aerei (gli F-15) capaci di sganciarli. Il GBU-28, che sarebbe transitato anche dalla base pisana di Camp Darby, è un missile laser-guidato del peso di 2,3 tonnellate capace di penetrare bunkers e tunnel sotterranei distruggendo ed incendiando ad altissima temperatura qualunque nascondiglio nemico.
Non confutato è l'uso di fosforo bianco. La stampa israeliana ne ha accertato la presenza fra gli arsenali nazionali nel dicembre 2005. Il fosforo bianco, già usato estensivamente in Irak nella battaglia di Falluja fra l'8 ed il 10 novembre 2004, è una sostanza incendiaria affiancabile al più conosciuto MK-77, o Napalm. Accanto al suo uso come sistema di illuminazione e rilevamento, ed impedimento della visione per le truppe nemiche, il fosforo bianco può incendiare ciò che colpisce con un raggio di azione anche di 150 metri, soffocando chiunque ne respiri le esalazioni. Timor Gosken, portavoce dei caschi blu dell'Unifil stanziata in Libano del sud da 20, ne ha denunciato l'uso sistematico da parte dell'aviazione israeliana senza ottenerne replica.
Durante la guerra le cronache di Lorenzo Cremonesi dal sud del Libano hanno riferito numerose smentite di medici libanesi circa l'esistenza di vittime del fosforo bianco (vedere nell'archivio di IC)
Ma la verità è che non vi sono sicurezze riguardo a cosa sia effettivamente stato usato in Libano, mentre medici e testimoni hanno raccontato persino di bombe a frammentazione munite di chiodi e schegge metalliche che colpivano i civili libanesi anche a distanza dall'effettivo luogo di impatto.
"Bombe a frammentazione munite di chiodi e schegge metalliche" assomigliano troppo alle bombe che Hezbollah ( e, con la tenica degli attentati suicidi, i terroristi palestinesi) hanno sicuramente utilizzato contro i civili israeliani (senza che il MANIFESTO dedicasse articoli alla pratica) perché non sorga il sospetto che queste notizie non verificate siano un ennesimo prodotto della propaganda di Hezbollah, volta a ritorcere contro Israele le stesse accuse di atrocità che dovrebbero colpire il gruppo terroristico (che per la verità sembra godere presso il circuito mediatico di una sorta di immunità dalla riprovazione morale).
Sin dai primi bombardamenti israeliani il dottore libanese Bashir Sham, primario dell'ospedale di Sidone, aveva denunciato strane ferite sui corpi dei civili ricoverati, sulle quali aveva ammesso di non poter indagare a causa delle difficili condizioni nelle quali operava l'ospedale al momento. In particolare su otto corpi perveuti in seguito al bombardamento di Rmeileh aveva riscontrato ferite mai viste prima: i corpi apparivano all'esterno bruciati, in alcune parti del tutto carbonizzati, per poi rivelarsi intatti al loro interno. Vale a dire che qualche sconosciuta reazione chimica, o qualche particolare forma di combustione, ne aveva coagulato il sangue senza che per questo i corpi si mostrassero distrutti come normalmente avviene in caso di esplosione. A sua volta il manifesto aveva raggiunto ed intervistato il dottor Mario Aoun, che raccontava di una quantità insolita di ferite da scheggia sui corpi dei colpiti. Sono comunque strane le analogie con alcune dichiarazioni pervenute al manifesto dagli ospedali palestinesi durante la contemporanea operazione israeliana «Pioggia d'estate».
Ma né per Gaza né per il Libano vi sono ancora riscontri o smentite.
Testimonianze non verificate, confuse e scarsamente credibili anche alla base di questo articolo:
«Ci hanno lasciato giocattoli che ci uccideranno», ha raccontato al Times di Londra Hassan, 10 anni, proveniente dal villaggio di Hala Jaber, in ospedale per una grave ferita all'addome causata dallo scoppio di una cluster bomb. Sua cugina Sikna, 12 anni, aveva visto un oggetto piccolo, rotondo e metallico, con una qualcosa che sembrava una sigaretta alla fine, e quando i suoi cugini le hanno detto che poteva essere una bomba, l'ha gettata via spaventata.
«Hassan ha fatto un volo di due o tre metri e io sono volata dall'altra parte». «Il mio intestino è uscito fuori e io lo tenevo in mano e correvo urlando Allahu-Akbar (Dio è grande)», ha raccontato Hassan.
In un altro villaggio, nella zona di Blida, i bambini hanno raccontato di aver visto, mentre giocavano, «qualcosa che assomigliava a una bottiglia di profumo». Abbas, di 6 anni, l'ha raccolta ma «è cominciato a uscire fumo così l'ha buttata», ha raccontato al "Daily Star" Ahmad Shibli, 13 anni, anche lui in ospedale per ferite ai piedi e alle mani.
Del MANIFESTO è bene segnalare anche il titolo in prima pagina, "Morte a grappolo", che suggerisce l'idea di un massacro di enormi dimensioni, ben lontana dalla realtà di un conflitto a bassa intensità come quello israelo libanese, che ha prodotto un tragico, ma limitato bilancio di vittime.
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