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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - Il Riformista Rassegna Stampa
01.09.2006 Annan mette sotto accusa Israele per l'uso di bombe a grappolo
ma il diritto internazionale non è stato violato e i civili libanesi hanno avuto la possibilità di lasciare le zone di combattimento

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Riformista
Autore: Aldo Baquis - Mara Gergolet - un giornalista
Titolo: «Annan contro Israele, non doveva usare bombe a grappolo - Bombe a grappolo, Annan denuncia Israele - Annan accusa Israele per le cluster bomb»

Grande attenzione dei media alle accuse del segretario generale dell'Onu a Israele , circa l'uso di cluster bomb in Libano.
Di seguito,, dalla STAMPA del 1 settembre 2006,  la corretta cronaca di Aldo Baquis, che riporta la posizione israeliana e dà spazio a interessanti informazioni fornite dalla stampa libanese circa le fortificazioni iraniani nel sud del Libano.
Ecco  il testo, nel quale abbiamo sottolineato tali passaggi:

sraele ha sbagliato quando, durante la guerra in Libano, ha usato le bombe a grappolo. Lo ha affermato ieri in Giordania il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, rispondendo ad una domanda durante una conferenza stampa. Annan ha aggiunto che durante i suoi recenti colloqui con i dirigenti israeliani ha chiesto carte dettagliate che mostrino le località esatte dove quelle bombe sono state utilizzate, per salvare così la vita di civili libanesi che potrebbero essere uccisi dalle parti inesplose di quegli ordigni. Annan ha quindi proseguito per la Siria, dove oggi sarà ricevuto dal presidente Bashar Assad.
La questione delle bombe a grappolo, denunciata nei giorni scorsi dal New York Times con un articolo di fondo, desta considerevole allarme nell’Onu. «Le parti inesplose possono assommare fino a 100 mila e per ripulire l'intero Libano Sud saranno necessari uno-due anni» ha detto il sotto-segretario per le questioni umanitarie Jan Egeland. A suo parere è choccante il fatto che la maggior parte di quelle bombe sono state utilizzate negli ultimi tre giorni di conflitto, quando la tregua era già stata concordata.
Le bombe a grappolo possono essere lanciate da aerei, con razzi o con granate di artiglieria. Ad una certa altezza da terra, sprigionano su una vasta area mini ordigni, concepiti per fermare avanzate di carri armati o forze di fanteria, oppure per paralizzare installazioni militari. Agli occhi dell'Onu l'aspetto problematico della questione è che Israele le ha utilizzate presso zone civili libanesi. Certo al loro interno operavano i miliziani di Hassan Nasrallah. Ma il New York Times, nel suo editoriale, ha fatto notare ad Israele che avrebbe dovuto ricorrere ad armi più pertinenti e che adesso «i bambini rischiano di morire perché le parti inesplose sembrano giocattoli». Fonti libanesi aggiungono che dopo la tregua almeno 12 libanesi sono rimasti uccisi da bombe rimaste inesplose nel Libano Sud.
Israele ha replicato ieri che il suo esercito in Libano si è comportato conformemente alle convenzioni internazionali utilizzando solo armi lecite. Rendendosi conto che gli Hezbollah avevano dislocato mezzi di combattimento all'interno della popolazione libanese Israele ha inoltre rinunciato all'elemento sorpresa nei suoi attacchi per consentire ai civili un margine di tempo necessario ad abbandonare le zone di combattimento. Malgrado queste spiegazioni, non era chiaro ieri in Israele se Annan abbia effettivamente ricevuto le carte geografiche richieste.
Nel frattempo Israele continua il graduale ritiro dal Libano meridionale. La maggior parte delle zone occupate nei 34 giorni di combattimento con gli Hezbollah sono già state consegnate all'Esercito libanese e alle forze dell'Onu. Entro 10 giorni, secondo Annan, Israele completerà il ritiro. Ieri si è appreso che anche la zona contesa delle Fattorie Sheba (alle pendici del monte Hermon, la vetta più alta del Golan) è adesso presidiata dal contingente indiano degli osservatori dell'Unifil. Sia gli Hezbollah sia le forze israeliane si sono infatti ritirati di centinaia di metri. Nella zona vicina si sta intanto dislocando anche l'Esercito libanese, per la prima volta in decine di anni.
Ieri il quotidiano libanese a-Safir ha rivelato che negli anni 2000-2006 l'Iran ha investito quattro miliardi di dollari per fortificare il Libano meridionale e scavare una linea di bunker in almeno una decina di località sui 70 chilometri di frontiera con Israele.
In Siria i colloqui di Annan non saranno facili perché Assad ha qualificato «un atto ostile» l’eventuale dislocazione di osservatori internazionali sul confine del suo Paese con il Libano.

Di seguito, la cronaca di Mara Gergolet, interessante perché chiarisce quali siano i dettami del diritto internazionale sulla questione.
Il passaggio è sottolineato nel  testo:

GERUSALEMME — «Chiedo alle autorità israeliane: dateci le mappe, indicateci i luoghi dove queste bombe sono state lanciate». Così Kofi Annan si rivolge a Israele. Gli ordigni, di cui chiede la «mappatura», sono le famigerate bombe a grappolo: la carica piazzata in centinaia di micro-ordigni che all'impatto si disperdono, alcuni senza esplodere, su una superficie grande come un campo di calcio. Mine che possono uccidere dopo anni. «Questo genere d'armi non dovrebbe essere utilizzato nelle zone civili».
La seconda condanna di Israele da parte dell'Onu, in due giorni. Ieri aveva parlato il capo degli aiuti umanitari, Jan Egeland. «Ciò che è scioccante e, per me, del tutto immorale, è che il 90% delle bombe a grappolo sono state usate negli attacchi delle ultime 72 ore, quando già si sapeva che ci sarebbe stata la risoluzione con il cessate il fuoco». Accuse che Israele non può ignorare. «Tutte le armi e le munizioni usate dell'esercito sono legali sotto il diritto internazionale e il loro uso conforme agli standard internazionali» risponde un comunicato del ministero della Difesa. E un portavoce del governo: «Non abbiamo violato nessuna legge internazionale».
Le cluster bomb sono letali, non illegali. Organizzazioni come Human Rights Watch si battono da anni per bandirle. Ma il loro uso, nel diritto internazionale, è consentito «caso per caso», valutando il potenziale danno ai civili e il vantaggio militare che se ne ottiene. Ottime per perforare i tank, ottime per bombardare i nidi di katiuscia. E in Libano, s'è visto, gli Hezbollah si mascheravano tra i civili, si rintanavano in case, scuole, moschee. Né Israele ha rinunciato a colpirli, questi obiettivi, quando li riteneva «legittimi».
L'Onu dice d'aver individuato 395 siti, di aspettarsi 100 mila ordigni inesplosi. «Sono dappertutto: dentro le case, in strada, nei giardini degli ospedali». «Potete capire, con un milione di profughi — dice Egeland — quanto ciò ostacoli il ritorno. Non passa giorno che qualcuno non muoia». Dodici vittime, al 25 agosto.
Che la materia sia delicata, lo prova la reazione americana. Sono loro a fornire a Israele parte di questi armamenti. La settimana scorsa hanno aperto un'inchiesta per capire se Israele non abbia violato l'accordo. Un patto militare
classified (segreto) dagli anni '70, parzialmente svelato dai media: potete usare le cluster solo contro eserciti nemici; evitare i luoghi abitati. Quando nel '82 Sharon violò queste regole, per tutta risposta Reagan gli tagliò la fornitura. La punizione durò sei anni.
Ma c'è un altro fronte che preoccupa Gerusalemme. Più ancora, forse, Abu Mazen. Al Sud sono ripresi i lanci di Kassam sulle città israeliane. Non regge il cessate il fuoco di Hamas, la disciplina non è quella di Hezbollah. Nonostante le suppliche del presidente palestinese. I militanti hanno deciso di rispondere all'azione di Israele che in due mesi ha provocato oltre 200 morti, 20 in 5 giorni. E davvero, in queste ore, è più tranquillo il confine nord. La costa alla quale ieri s'è avvicinata la portaerei Garibaldi. Tiro è di fronte. Sbarcheranno domani mattina, i primi soldati italiani in Libano.

Sul RIFOMISTA, viene pubblicata un'intervista Luigi Bonanate, professore di diritto internazionale all'università di Trento, che giustamente sottolinea come il vero problema non stia nel tipo di armi utilizzate, ma nell'evitare le guerre.
Una considerazione che, nel caso della guerra contro Hezbollah dovrebbe essere girata a chi la guerra l'ha preparata e iniziata. Vale a dire Hezbollah, con l'appoggio dell'Iran e della Siria.
Ecco il testo:



«E' una brutta pagina della guerra, quella delle cluster bomb, ma certo non è solo Israele a utilizzarle». Luigi Bonanate, professore di relazioni internazionali all'università di Trento, diffida delle polemiche in materia di armi, convenzioni internazionali e limiti all'uso della forza. «Anche un coltellino, come abbiamo visto, può essere usato per attentati terribili come quello delle Twin Towers. Non credo che il primo problema sia quello delle armi».
Intanto però Kofi Annan ha condannato l'utilizzo compiuto da Israele in Libano delle cluster bomb (bombe a grappolo). Armi che «non dovrebbero essere usate in zone abitate», ha detto ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, aggiungendo che «è necessario procedere velocemente per neutralizzarle». L'allarme era venuto dalle organizzazioni non governative e dai funzionari Onu sul campo - come riportato mercoledì dal Riformista - e naturalmente ha innescato nuovamente le polemiche consuete, in Italia e non solo, a proposito della “proporzionalità” della reazione israeliana e delle vittime civili. Le bombe a frammentazione, infatti, lasciano sul terreno diversi piccoli ordigni inesplosi, ragion per cui in molti le considerano equiparabili - almeno dal punto di vista morale - alle classiche mine anti-uomo, e pertanto le vorrebbero mettere al bando.
Il professor Bonanate rimane però assai scettico. «Non possiamo nasconderci dietro un dito. Le armi sono fatte per uccidere, sono acquistate e utilizzate a questo scopo». Qui però si discute del loro utilizzo contro civili (gli stessi americani che le avrebbero vendute agli israeliani sostengono che questi si erano impegnati a usarle solo contro obiettivi militari).
Il problema, replica Bonanate, resta. Anche sul piano puramente teorico: come distinguere militari e civili? «Un tempo si considerava combattente solo colui il quale porta una divisa». Inutile aggiungere che per Hezbollah e le attuali guerre asimmetriche tale distinzione sia inservibile. «Poi - prosegue il professore - si è arrivati gradualmente fino a dire che occorreva un segno che ne identificasse l'animus pugnandi. E io onestamente mi domando: cosa significa, fare la faccia cattiva?». Non meno difficile, poi, la distinzione pratica. «Nei fatti è difficilissimo distinguere i civili dai militari: quando in uno stesso luogo si mischiano soldati e impiegati, che si fa?».
Dunque il problema, secondo Bonanate, non è che Israele abbia impiegato cluster bomb. «Se qualcuno mi chiedesse come fare per occupare un determinato territorio, non gli direi certo di prendere una forchetta. Gli direi di utilizzare le armi necessarie a raggiungere l'obiettivo. Magari poi potrei cercare di convincerlo ad abbandonare quell'obiettivo, ma il punto non sono le armi. Il punto è la decisione, il cuore del problema sta lì, nella scelta di usare o non usare la forza. E le ragioni per cui non si riesce mai a limitare davvero l'uso delle armi non stanno nel diritto. Non si può dire che si possono acquisire e utilizzare le armi, ma che queste devono fare meno danni possibile, perché non è lo strumento il problema. Occorrerebbe limitare davvero il ricorso all'uso della forza, ma questo non lo può ottenere il diritto. Questo è un risultato che può ottenere solo la politica».

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