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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
30.08.2006 La guerra dei media: il fronte dell'informazione nel conflitto Israele-Hezbollah
analisi di Fiamma Nirenstein e David Frum

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein - la redazione - David Frum
Titolo: «La guerra perduta dei media - Nasrallah coreografo - Il fotoritocco di Dio»

Da La STAMPA del 30 agosto 2006, un articolo di Fiamma Nirenstein sul ruolo del media nella guerra tra Israele ed Hezbollah:

Niente è più caldo per un giornalista, da molti anni, del tema mediorentale; e se lo racconti dal fronte, anche di più. Se poi ci si incontra a Gerusalemme fra giornalisti provenienti dal fronte, la discussione diventa aspra anche se ce la metti tutta per sembrare «very cool», il più disinvolto possibile. La sala liberty dell’Ymca lunedì sera era molto affollata, l’aria condizionata fuori uso e la presidente di Media Line, Felice Friedson ha toccato subito il punto: sempre di più nelle guerre c’è una componente determinante oltre gli eserciti, ed è l’opinione pubblica internazionale. Di fatto, questa guerra di Israele contro Hezbollah, la seconda guerra del Libano, è stata signoreggiata, più che raccontata, dai media.
Se Nic Robertson della CNN non avesse fatto un giro fra le rovine della zona sud di Beirut guidato dal portavoce degli Hezbollah Hussein Nabulsi accettando senza discussione l’idea che Israele stesse attaccando aree di popolazione civile e non il quartier generale degli Hezbollah, se la foto ormai famosa di Adnan Hajj dell’agenzia Reuters non fosse stata ritoccata, come riconosciuto dalla stessa agenzia che si è scusata e ha tolto tutte le foto dello stesso fotografo dal suo archivio, se la stessa foto tessera di una ragazza musulmana non fosse stata deposta artisticamente dai fotografi sulle rovine di vari edifici a parecchi chilometri di distanza l’uno dell’altro, se Fuad Siniora non avesse gettato là a caso che a Hula c’era stato un massacro di 40 persone senza contestazione da parte dei giornalisti, in generale se la discussione sulla «reazione sproporzionata» o «proporzionata» di Israele non fosse stata sponsorizzata dai maggiori giornali e tv, e anche se fin dall’inizio la stampa non avesse tuttavia identificato l’attacco di Nasrallah su Israele come pericoloso per la sua sopravvivenza, l’esito diplomatico sarebbe probabilmente stato diverso.
Steve Earlanger, del New York Times, uno dei padri del tema della «proporzione» sembra stanco, trova nel minimalismo un rifugio. Sembra che altri grandi temi legati alla copertura di una guerra asimmetrica non lo affascini. «Non ho trovato molto interesse in Israele per il tema della risposta sproporzionata», si dispiace; spiega qual è stato per lui il maggior problema nel coprire la guerra: «L’accesso: dipendevamo dall’esercito israliano per andare a verificare con i nostri occhi». Gli fa eco il presidente della Federazione Stampa Estera Simon McGregor Wood, dell’ABC: «L’esercito non ci ha portato a vedere con i nostri occhi; pochi,fuori della stampa israeliana, i giornalisti entrati in Libano»; Stephen Farrow, del Times: «Chi invece è andato con gli Hezbollah a vedere, aveva un problema e uno solo: non essere colpito dagli israeliani». Strano, sembrava che ce ne fossero molti, come capire esattamente cos’erano e cosa c’era sotto quelle rovine che gli Hezbollah mostravano.
I problemi di copertura più grossi li ha avuti il corrispondente di Al Jazeera, Walid Omary, interrogato dalla polizia e fermato per varie ore: «Ci hanno accusato di trasmettere da Haifa le immagini dei luoghi colpiti così da guidare per mirare giusto al prossimo colpo. Un’ accusa pazzesca, guidata dalla volontà di criminalizzarci perchè siamo una tv araba, mentre l’informazione israeliana è stata oltremodo favorita». Peccato che proprio ieri sul Jerusalem Post in un editoriale Yisrael Medad accusi l’informazione israeliana della stessa colpa. Comunque, gli risponde Yossi Ben Menachem, direttore di Kol Israel, la radio israeliana: «Ricordati che a noi era del tutto proibito l’accesso dall’altra parte, e che sulla base di Al Jazeera e al Manar, abbiamo avuto un’idea della situazione identica alla propaganda del portavoce degli Hezbollah Rafik Halabi, mentre tutti giravano liberi. Inoltre, una cosa mi ha disturbato: noi non diamo i nomi dei soldati uccisi prima che la famiglia sia informata. Voi, probabilmente con l’aiuto irresponsabile di giornalisti israeliani che volevano accellerare le cose, li avete dati sempre appena ricevuti».
Amnon Rubinstein, l’esperto di Haaretz di cose arabe si è lamentato che sui giornali israeliani, compreso il suo, non si vede mai un commento palestinese o arabo; Ben Menachem è saltato per aria: «Non c’è giorno che non intervistiamo qualsiasi rappresentante del mondo arabo, Hamas, Hezbollah.. basta che voglia parlare. Mentre i giornalisti israliani intervistati sono solo di sinistra, quelli che gli danno ragione».
Molta della verità di questa guerra è stata affidata a bloggers come Little Green Footballs, werline, Zombietime... Quest’ultimo per esempio ha scoperto che gli uomini della Croce Rossa di Tyre e Kana hanno fabbricato di sana pianta l’ attacco aereo israeliano a un’auto della Croce Rossa: il buco sul tetto dell’auto, riportato come credibile da Time, dal Guardian, dal New York Times, dal Boston Globe, dal Los Angeles Times, e usato come prova dei crimini di guerra di cui è sempre accusato Israele, era un buco per una ventola circondato da macchie e scrostature. Per non parlare dalla regia che hanno avuto l’artistico spostamento di morti e di feriti per la telecamera e la macchina fotografica a Kana e altrove. Insomma stavolta lo scontro di opinione è stato all’arma bianca.

Di seguito, il racconto di una nuova manipolazione di Hezbollah, dal FOGLIO:

Kofi Annan ha visitato il Libano del sud. E gli Hezbollah hanno ancora una volta dato un saggio apprezzabile, apprezzabilissimo, di quanto sono diventati bravi sul set di un evento internazionale. Quindici minuti prima che il corteo motorizzato del segretario delle Nazioni Unite arrivasse, e a soli dieci metri – come se già conoscessero il programma alla perfezione – s’è materializzato un gruppo di donne in costume tradizionale islamico. I miliziani sciiti impartivano ordini secchi. “Applaudite Annan appena scende dall’auto”. E già questo spiega il ruolo provvidenziale della missione Onu. E’ apparso il primo ministro Fouad Siniora. “Fischiatelo”. Ora canti contro l’America. “Down, down, Usa”. Gli hezbollah con walkie-talkie in mano, uno di loro seguiva passo passo ogni giornalista e cameraman presente, hanno ricevuto i complimenti degli uomini della scorta dell’esercito libanese. “Tameem, azeem”, “Ottimo, ben fatto”. Un operatore s’è arrampicato su un mucchio di detriti, ma è stato fatto precipitosamente scendere, perché avrebbe potuto riprendere gli uomini che dirigevano la coreografia dall’esterno e l’esiguità della folla. Quando Annan, “dopo aver ascoltato la gente”, è risalito in macchina, anche l’apparato hezbollah s’è dileguato. Ma una telecamera lontana, non si può dire di chi per non bruciare i loro contatti, ha ripreso tutto.

Infine, un editoriale di David Frum, sempre dal FOGLIO:

 

Probabilmente avete visto l’immagine sul giornale o alla televisione: membri di Hezbollah che distribuiscono mazzette di banconote da 100 dollari a libanesi rimasti senza casa in seguito alla guerra contro Israele. A quest’immagine mancava soltanto una cosa: la sottilissima striscia di metallo che attraversa dall’alto in basso le autentiche banconote da 100 dollari. Il denaro distribuito da Hezbollah era falso, come avrebbe dovuto risultare evidente a chiunque avesse esaminato con attenzione le fotografie. L’attenzione era necessaria perché Hezbollah ha una ben nota storia di contraffazioni: già nel giugno del 2004 il dipartimento del Tesoro americano aveva citato Hezbollah come uno principali produttori di dollari falsi in tutto il mondo. Ma questo è stato completamente ignorato dalle agenzie di stampa che hanno fatto la coda per ottenere le foto della pseudo-filantropia di Hezbollah. Forse è troppo aspettarsi che i giornalisti siano degli esperti di banconote false. Ma ci si aspetta che siano almeno in grado di individuare una fotografia ritoccata, soprattutto se il ritocco è fatto in modo grossolano. Ciononostante, è stato un blogger americano, e non un direttore di giornale, che ha beccato la Reuters a distribuire fotografie false scattate dal suo ormai tristemente noto fotografo libanese, Adnan Hajj. Hajj ha usato Photoshop per far sembrare gli incendi nelle città libanesi più grandi di quanto non fossero in realtà e per trasformare le foto dei traccianti israeliani in immagini di missili in volo. Per queste e altre fotografie false, la Reuters ha licenziato Hajj e ha eliminato dal proprio archivio migliaia di foto scattate dal fotografo libanese. Ma lo scandalo dei servizi giornalistici sulla guerra in Libano inizia soltanto con Hajj e non finisce certo qui. A luglio, prestigiosi mezzi di informazione come AP, la BBC, il Time Magazine, ITN, il New York Times, il Los Angeles Times e molti altri hanno riportato la scioccante notizia che le forze israeliane avevano lanciato missili contro due ambulanze della Croce rossa, provocando un incendio nel quale le persone a bordo erano rimaste ferite. Alcune fotografie e un filmato fatto in seguito da un cameraman locale mostravano un’ambulanza quasi completamente distrutta con un buco al centro del tetto. Ma queste foto erano false, così come lo erano le altre pubblicate successivamente, che mostravano un attacco israeliano contro un veicolo della Reuters. Nelle fotografie delle ambulanze e del veicolo della Reuters si vedeva un buco nel tetto, ma non era visibile praticamente nulla dell’interno e, cosa sorprendente, nessuna traccia di esplosione o incendio. L’autista dell’ambulanza, gravemente “ferito” che si vedeva nelle fotografie è riapparso in un filmato girato sei giorni dopo senza mostrare nemmeno un graffio. Il buco nel tetto delle ambulanze non solo era perfettamente rotondo ma combaciava, per dimensioni e posizione, con quello della sirena mancante. Non è vero ma ci credo I reporter occidentali sono davvero così ingenui e creduloni? Sfortunatamente, i servizi sul bombardamento del 30 luglio nel villaggio di Qana fanno supporre una spiegazione molto più inquietante. Secondo buona parte di questi servizi, le bombe israeliane hanno colpito un edificio di tre piani, intrappolando nelle macerie un gran numero di civili e di bambini. Le fotografie e i filmati di questa triste scena sono diventati le immagini simbolo di tutta la guerra libanese. Tuttavia un esame attento di queste fotografie rivela, al di là di ogni possibile dubbio, che sono state realizzate ad arte, e con l’attiva complicità dei giornalisti occidentali presenti sul luogo. Alcune scene sono state provate e riprovate; i cadaveri sono stati spostati da un punto all’altro. I portavoce di Hezbollah chiacchieravano allegramente al telefonino quando pensavano di non essere ripresi e poi scoppiavano in lacrime non appena si accorgevano di essere sotto l’occhio delle telecamere. Il desiderio di immagini dal forte impatto e il pregiudizio antisraeliano hanno spinto buona parte della stampa occidentale a diventare propagandista di Hezbollah, pubblicando consapevolmente immagini false. E al fondo di ogni motivazione sta, in conclusione, la paura. Non dimentichiamoci che Hezbollah è l’organizzazione terroristica che ha tenuto prigioniero per sei anni il reporter della AP Terry Anderson.

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