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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
04.08.2006 Una classe dirigente irresponsabile
sconcertanti interviste a Emile Lahoud e Fuad Siniora, presidente e primo ministro del Libano

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Giuseppe Zaccaria - Daniele Mastrogiacomo
Titolo: ««Nessuna forza di pace ai confini» - "Il Libano senza il Partito di Allah solo quando finirà l´aggressione"»

Da La STAMPA del 4 agosto 2006, un'intervista di Giuseppe Zaccaria al presidente libanese Emil Lahoud, che, oltre a lanciare gravi accuse che non è in grado di provare circa il presunto uso di armi proibite da parte di Israele, si produce in una irresponsabile difesa di Hezbollah, che a suo dire avrebbe protetto i confini libanesi.
E' sconcertante che il presidente di uno Stato trascinato in una guerra disastrosa  elogi proprio la milizia terroristica che ne ha distrutto la sovranità e l'ha condotto alla catastrofe, realizzando le strategie di potenze straniere come Siria e Iran.
Ecco il testo dell'articolo:

 

«Israele pagherà tutto quello che sta facendo, e per la prima volta nella storia pagherà dinanzi alla giustizia internazionale. Siamo pronti a inviare ogni sorta di documentazione alle Nazioni Unite e se lo sbarramento americano proseguisse a tutti gli organi di giustizia, vogliamo che le devastazioni inferte al Libano siano risarcite e chiediamo che s'indaghi sull'accusa di crimini di guerra e l'uso di armi proibite. I nostri medici hanno già raccolto un'ampia documentazione circa l'uso di proiettili a uranio impoverito, bombe al fosforo e ordigni a frammentazione».
Emile Lahoud, presidente della repubblica libanese, è un fiume in piena e in questa intervista per una volta sembra abdicare alla fama di persona misurata e prudente che lo ha accompagnato finora. Un politico nato come militare e da sempre vicino ai cristiano-maroniti adesso parla degli Hezbollah come della vera resistenza nazionale e avverte subito: abbandonate l'idea di una forza di interposizione Nato, qui ci sono già le Nazioni Unite, basta metterle in grado di agire.
Signor presidente, in un'intervista al nostro giornale il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha appena dichiarato che non intende mandare i soldati italiani «in un altro Iraq», quindi nessun contingente se non ci sarà il cessate il fuoco.
«Sono assolutamente d'accordo, e mi sfugge del tutto il senso della richiesta israeliana per una "forza di pace combattente". È del tutto ovvio che le armi dovranno tacere prima che qualsiasi forza multinazionale prenda possesso delle aree di confine, credo se ne rendano conto anche gli israeliani perchè ormai da 23 giorni la guerriglia tiene testa alle loro armate senza manifestare alcun cedimento».
Questa è la guerriglia degli Hezbollah, presidente: non la inquieta il fatto che un movimento islamico si sia trasformato in espressione di resistenza nazionale?
«Non vedo nulla di nuovo in questo, Hezbollah era nato come un gruppo di guerriglieri che più tardi ha assunto anche una veste politica e adesso conta sedici deputati e due ministri».
Però contina a combattere e a conquistare consensi, che diventeranno nuovi suffragi politici.
«Dal Duemila, quando si concluse l'occupazione israeliana, gli incidenti sulla linea provvisoria di confine erano stati pochissimi e di scarsa entità, quanto è accaduto in queste settimane dimostra che attraverso la devastazione del Libano Israele tenta di intimidire tutti i Paesi arabi e di costruire un nuovo ordine mediorientale. Questi giorni dimostrano anche un'altra cosa e cioè che l'uso cieco della forza non basta a imporre tutto questo perchè dovunque, anche in un Paese bello e disarmato come questo, la brutalità genera resistenza e dunque guerriglia».
Come fa una forza così contenuta a bloccare Israele?
«Da sempre quella di Hezbollah è un'armata segreta, non se ne conoscono nè le dimensioni nè il reale armamento e neppure i nomi dei comandanti e questo è il primo elemento che disorienta Israele».
Signor presidente, torniamo alla forza di interposizione: perchè lei rifiuta l'ipotesi Nato?
«Vede questo lungo tavolo? In questa stessa sala all'epoca delle trattative sul ritiro israeliano io ho trascorso giorni con i mediatori delle Nazioni Unite. Creammo di comune accordo una virtuale "linea blu" che Israele non ha mai rispettato rifiutando di abbandonare l'area delle fattorie di Shabaa, ma ricordo che i mediatori erano molto preoccupati che con il ritiro l'esercito israeliano potesse subire agguati. Più ancora del fatto che chi aveva collaborato con gli israeliani subisse ritorsioni, promettemmo che nulla sarebbe accaduto e sia noi che hezbollah mantenemmo l'impegno, però rammento anche quella sorta di spartizione che in quei momenti si tentò di avviare».
Spartizione, nel senso di aree di competenza militare?
«Nel senso di creazione di nuove aree di influenza. Ci fu chi proponeva che una portaerei francese stazionasse al largo delle nostre coste con a bordo una forza d'intervento, chi parlava di soldati indiani... Ad un certo momento il territorio libanese avrebbe dovuto essere dominato da forze armate di quattro diverse nazioni, ciascuna delle quali avrebbe costruito la propria sfera d'intervento. Io sono il presidente dei libanesi e devo salvaguardare l'unità e l'indipendenza di questo piccolo e meraviglioso Paese, come accadde allora, anche oggi rifiuto ogni idea di un ritorno all'indietro».
Quindi a suo giudizio la sola via è quella di potenziare il contingente Unifil?
«Di rafforzarlo, di rifornirlo di armi e di mezzi e di dislocarlo lì dov'è più logico e giusto, ovvero non soltanto nel nostro territorio ma anche su quello israeliano. Mi dica, le sembra logico che Israele possa temere un'invasione libanese? Dunque, che le forze Onu siano dislocate lì da dove è più facile che provenga il pericolo».
Come giudica i tentativi italiani di accelerare una soluzione pacifica?
«L'Italia è stata fra i primi Paesi a condannare l'aggressione israeliana e ancora una volta fra i primi a farci giungere aiuti umanitari e questo non fa che rafforzare gli ottimi legami che già esistevano. Ecco, l'Italia e il suo governo oggi appaiono come un mediatore credibile e noi pensiamo davvero che i suoi sforzi possano condurre a buoni risultati».
E se le venisse accordato il comando della forza di interposizione?
«Noi saremmo doppiamente felici però, lo ripeto, a patto che si tratti di un contingente Onu».

Da La REPUBBLICA, un'intervista al premier libanese Fuad Siniora, che addossa la responsabilità della guerra a Israele e nega la palese aggressione di Hezbollah.
Ecco il testo:


BEIRUT - Chi ha le chiavi, signor primo ministro, per bloccare questa guerra?
«Israele. Le chiavi per far cessare subito questo massacro le ha solo Israele. Il governo è stato molto chiaro: abbiamo le nostre responsabilità. Ma ora siamo vittime di una brutale aggressione. E chi ci aggredisce è Israele».
Fuad Siniora, già braccio destro del premier assassinato Rafik Hariri e come lui sunnita, guida un governo di compromesso uscito dalle elezioni dell´estate scorsa. E´ un uomo stanco, teso, provato. Ma è capace ancora di appassionarsi e di proiettarsi in un futuro in cui vede un Libano unito, libero, soprattutto indipendente.
Siniora ci riceve a Palazzo Saray, sede del governo, una splendida costruzione in pietra costruita dai francesi durante il periodo del mandato che si affaccia sul cuore della city finanziaria, con i suoi grattacieli ormai abbandonati.
Concede un´intervista a Repubblica convinto che l´Italia e il suo primo ministro Romano Prodi possa ancora fare molto per imporre un cessate il fuoco «immediato e incondizionato».
Gli attori sulle scena diplomatica insistono sul disarmo di Hezbollah.
«Nessuno, Israele in testa, può imporre qualcosa che devono decidere i libanesi. Si accenna spesso alla risoluzione 1559 dell´Onu, ma si parla poco delle risoluzioni cui altri non hanno mai ottemperato».
Esiste tuttavia, un problema Hezbollah.
«Hezbollah è stato creato da Israele. Non certo materialmente, ma ha provocato le condizioni perché esistesse e si rafforzasse con il tempo. Il Libano è stato occupato per 20 anni e Hezbollah ha avuto modo di giustificare la sua presenza nel sud. Ha alimentato il suo consenso assumendo il ruolo di paladino della libertà. Combatteva per ottenere il ritiro dell´esercito israeliano e lo combatte anche ora».
Israele pone il suo disarmo come condizione preliminare.
«Israele decide in modo unilaterale, come è abituato a fare. Ho proposto un piano in sette punti con una scansione precisa. Ne abbiamo discusso anche all´interno del governo e ho raccolto un consenso unanime. Lo stesso consenso che ho trovato anche nella comunità internazionale. C´erano tutte le premesse perché la Conferenza di Roma raggiungesse un cessate il fuoco immediato. Non ci è riuscita solo per l´opposizione di qualcuno».
Non si sente prigioniero di decisioni prese da forze esterne?
«Io mi sento come un padre che vede decimare la sua famiglia. Le pressioni sono fortissime e continue. Ma guardo a quel che è sotto gli occhi del mondo intero. Vedo il mio paese distrutto, bombardato, ucciso, diviso, crollato economicamente, socialmente sotto il peso di un´invasione che viola ogni regola del diritto internazionale. Io sono il primo ministro e mi sento responsabile del mio popolo».
L´inizio di questa guerra è stata provocato dal sequestro di due soldati?
«E lei crede che sia stata scatenata per questo?».
Lei cosa crede, signor primo ministro?
«In questo momento non voglio perdermi in analisi che sviano l´essenza della realtà. La realtà è che il Libano ha subito 7 invasioni. Parlo di invasioni, non di attacchi, che sfiorano ormai la trentina. La strage di Cana è la seconda in dieci anni. Nei confronti dello stesso villaggio, da parte della stessa mano. In tutto questo vedo solo accanimento».
Come pensa di uscirne?
«Sono altri che devono uscire dal paese. Io, adesso, penso all´unità e alla compattezza dei libanesi. Abbiamo contato 900 morti, tremila feriti, un milione di profughi, danni per 2 miliardi e mezzo di dollari alle infrastrutture. La sola priorità è far cessare l´aggressione».
Si profila l´invio di una forza multinazionale. E´ d´accordo?
«Ne abbiamo discusso e abbiamo trovato un accordo. Vediamo con favore una forza di interposizione sotto la bandiera dell´Onu. Il tempo necessario per dislocare l´esercito nazionale su tutto il territorio».
Hezbollah farà parte del futuro esercito nazionale?
«E´ un capitolo che affronteremo. Ma dobbiamo farlo noi e con i nostri tempi. Siamo un paese uscito da 15 anni di guerra civile. Grazie al suo dinamismo è rinato, è cresciuto, diventato più moderno: un punto di riferimento per la finanza internazionale. Hezbollah si scioglierà se non esisteranno più i motivi che l´hanno creato».
Un piano di pace duraturo.
«Ma un piano di pace si discute, non si impone. Affrontiamo il capitolo delle terre usurpate da altri e che appartengono al Libano».
Si riferisce alle Fattorie di Chebaa?
«Se si vuole una pace stabile e duratura, bisogna risalire nel tempo, affrontare i nodi mai risolti. Da decenni rivendichiamo fette di terra che ci appartengono. Cominciamo con restituirle e vedrà che le tensioni scemeranno. Hezbollah ha avuto un ruolo importante, ha difeso confini che venivano continuamente violati, affronta l´invasione di uno Stato che è sovrano. Eliminare le cause, significa eliminare anche gli effetti».
Il suo governo avrà la forza di gestire questo trapasso?
«Chiunque governerà avrà il compito di gestire le nuove fasi. Non abbiamo bisogno di guerre e aggressioni. Abbiamo bisogno di rafforzare la nostra unità. Ma un Libano forte, unito, indipendente, non fa comodo. E molti lavorano per impedirlo».

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