Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Soluzioni catastrofiche per il Medio Oriente quelle proposte da Ugo Intini, che dimentica la storia
Testata: Autore: Ugo Intini Titolo: «L'obiettivo fondamentale del vertice di Roma. Il corridoio umanitario per arrivare alla tregua»
Per risolvere "tutte le questioni mediorientali" occorre prima risolvere la questione palestinese. Pe risolvere la questione palestinese occorre un negoziato. Lo sostiene Ugo Intini, sottosegretario agli Esteri del governo D'Alema inun articolo pubblicato in prima pagina dal RIFORMISTA. Trattare con Hamas? Sì, sostiene Intini. Del resto Israele non ha forse trattato con Arafat, che era altrettanto terrorista e altrettanto ostile alla sua esistenza di Hamas? Sì lo ha fatto, e Intini ricorda orgoglioso quale ruolo ebbe l'internazionale socialista nel portare a quella "svolta storica". Solo che Israele, a differenza di Intini, ricorda anche come andò a finire. Con il fallimento di Camp David, l'intifada delle bombe umane. Con la peggiore offensiva terroristica della sua storia in luogo della pace. Arafat aveva trattato, aveva ottenuto una posizione di maggiore forza, ed era tornato ad attaccare.
Oggi, il rapporto tra la crisi libanese e la questione palestinese è esattamente inverso a quello indicato da Intini. E' il disegno jihadista di Hezbollah, di Hamas e dell'Iran a rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese. Non l'assenza di quest'ultimo a determinare l'aggressione contro Israele.
Ecco il testo:
L’Italia è un terreno di incontro favorevole innanzitutto perché politicamente e psicologicamente viene considerata amichevole e neutrale da entrambe le parti in causa: sia da Israele che dal mondo arabo. Certo, in settori minoritari della sinistra e della destra ci possono essere forzature e opposte tifoserie.Ma il governo italiano, con un largo consenso parlamentare bipartisan, considera che esistano in Medio Oriente due ragioni e due diritti non necessariamente confliggenti tra loro, bensì interdipendenti, due facce della stessa medaglia, causa ed effetto l’una dell’altra: il diritto di Israele a vivere in condizioni di sicurezza, il diritto del popolo palestinese ad avere uno Stato. Non c’è sicurezza di Israele senza uno Stato palestinese guidato responsabilmente, non c’è uno Stato palestinese senza sicurezza per Israele. Questa neutralità dell’Italia è sostanzialmente comune ai principali Paesi europei e pertanto (anche questa è una nostra linea costante largamente apprezzata) non il nostro governo da solo,ma l’Unione Europea come tale può e deve dare un contributo decisivo alla soluzione della crisi. Il vertice di Roma può immaginare pragmaticamente passi successivi. Il primo e più immediato è l’apertura di un corridoio umanitario. È quindi necessaria una tregua in Libano e a Gaza, che si può ottenere con il rilascio dei prigionieri israeliani,lo stop al lancio di missili e agli attentati suicidi in Israele. Bisogna poi affrontare le radici della crisi, trovando una soluzione duratura, non unilaterale, accettata da tutti i protagonisti della regione.Tutto infatti si tiene nel puzzle medio orientale. Ad esempio, la Siria e l’Iran sono in grado di far fallire il processo di pace attraverso l’azione di Hamas e Hezbollah.Ho incontrato sabato a Venezia quaranta parlamentari iracheni di tutte le tendenze e i due vice presidenti (scita e curdo) del Parlamento: la crisi in Libano, alimentando la propaganda anti americana, ha già contribuito a ostacolare la stabilizzazione dell’Iraq.E l’influenza iraniana sugli sciti renderebbe comunque difficile la pacificazione se Teheran si mettesse completamente di traverso. L’idea di giocare il mondo arabo sunnita contro quello scita per isolare Iran e Hezbollah si dimostrerebbe inoltre pericolosa, perché contraddirebbe proprio l’obbiettivo di pacificare Baghdad attraverso una collaborazione tra sunniti e sciti iracheni. La irrisolta crisi palestinese è la madre di tutte le crisi mediorientali, o almeno l’alibi per tutte le crisi e tutti gli estremismi. Per la pace israelo-palestinese, tuttavia, proprio nel governo italiano, che è fortemente legato all’Internazionale socialista, si possono trovare spinte all’ottimismo, a immaginare e a osare l’inosabile. Un flash back sul 1982 mostra la foto di Arafat assediato in Libano dagli israeliani che hanno invaso il Paese; Shimon Peres, Rabin e il presidente degli Stati Uniti che lo accusano di terrorismo e per questo giurano che mai potranno trattare con lui. Un flash back scattato undici anni dopo mostra Arafat e Shimon Peres che ritirano insieme il premio Nobel per la pace dalle mani del re di Svezia. Un altro mostra Clinton, Rabin e Arafat che siglano negli Stati Uniti uno storico accordo. Cosa è accaduto nel frattempo? È accaduto che l’Internazionale socialista, con la regia del governo socialista norvegese,ha chiuso riservatamente per mesi in un appartamento alla periferia di Oslo i negoziatori israeliani e palestinesi e che questi hanno infine trovato una soluzione. Ho incontrato il mese scorso a Roma Hanna Siniora, il negoziatore palestinese,che oggi presiede una fondazione di studi politici per la pace composta anche da personalità israeliane. Mi ha detto che, adesso come allora, non c’è altra strada che il dialogo: non con i rappresentanti palestinesi che si vorrebbero, ma con quelli che ci sono. D’altronde, sino alla fine degli anni ’80, l’amministrnulla a che fare con l’Olp,cui rimproverava i precedenti terroristici. Proprio gli sforzi di Craxi e Andreotti contribuirono a convincere l’allora segretario di Stato Schultz a cambiare politica e a prendere per le corna il toro, ovvero la leadership di Al Fatah. Dunque, una visione statica dei problemi non si concilia con l’esperienza della storia medio orientale. I circoli viziosi si possono interrompere per aprire circoli virtuosi. (Purtroppo è vero, come gli anni 2000 hanno dimostrato, anche l’opposto). I soggetti politici collettivi (e anche le persone fisiche) cambiano umanamente, psicologicamente e politicamente. Da questa semplice constatazione dovrebbe nascere la ricerca - sempre - del dialogo piuttosto che dello scontro. Anche perché l’esperienza (e i flash back come quelli prima ricordati) suggeriscono una amara constatazione. Non c’è alternativa agli accordi di pace. Il terrore e la guerra non sono mai una soluzione. Prima o dopo, la strada del negoziato si apre.Meglio aprirla prima che dopo.Meglio aprirla sino a che è possibile risparmiare inutile sangue, inutili sofferenze, inutili distruzioni.
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