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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Giornale - L'Espresso Rassegna Stampa
21.07.2006 Le ragioni di Israele
spiegate dal vice premier Shimon Peres, dall'ambasciatore in Italia Ehud Gol e dal ministro degli Esteri Tzipi Livni

Testata:La Stampa - Il Giornale - L'Espresso
Autore: Nathan Gardel - Mario Sechi - Gigi Riva
Titolo: «Peres: solo noi possiamo fermarli - Gol:»

Da La STAMPA del 21 luglio 2006, un'intervista a Shimon Peres:

L’attacco di Israele contro il Libano è stato definito «sproporzionato».
«L’accusa che la reazione israeliana sia spoporzionata è amara da mandare giù. Sparare 1,500 missili sulle case degli israeliani - missili che cadono dal cielo senza distinguere chi colpire - è proporzionato? Colpiscono scuole, ristoranti, la gente che cammina per la strada. Siamo in una situazione con quattro entità - Iran, Siria, Hamas e gli Hezbollah, due Stati e due organizzazioni terroristiche - immuni a ogni considerazione diplomatica o politica. Nessuno li può influenzare. Non vogliono ascoltare nessuno, né l’Onu, né gli Usa, né la Ue, né la Russia, nemmeno gli Stati arabi o il capo del governo libanese. E’ la prima volta che vediamo il mondo intero impotente di fronte all’Iran e alla Siria che si beffano della comunità internazionale inviando armi e denaro ad Hamas e agli Hezbollah per istigare la guerra.
Perciò Israele è veramente solo. Nessun altro li può fermare. D’altra parte, nessuno ci può difendere. Dobbiamo difenderci in un mondo dove la diplomazia internazionale ha raggiunto un punto talmente basso che gli iraniani possono beffare chiunque. E’ un mondo pericoloso dove le frontiere servono a poco contro i missili. E’ per questo che abbiamo deciso di agire in Libano. E forse possiamo dare una piccola speranza al popolo libanese perché finora l’esercito di quel Paese, 70 mila uomini, non ha potuto incidere sulla situazione degli Hezbollah. Forse riusciremo anche a restituire una qualche influenza alla comunità internazionale.
Se Israele si arrende, nessuno si opporrà più all’Iran, alla Siria, ad Hamas, agli Hezbollah e ad altri della loro specie.
Non vogliamo nulla dal Libano, che potrebbe non volere nulla da noi. Vogliamo solo vederlo unito e integro, a prosperare libero da quella struttura straniera degli Hezbollah che mette a repentaglio il destino e le vite dei libanesi.
Veniamo attaccati senza motivo. Ci siamo ritirati dal Libano, restituendo tutte le terre e le acque in base alle risoluzioni dell’Onu. Abbiamo restituito Gaza ai palestinesi. Ora ci chiedono uno scambio di prigionieri. Ma già prima del rapimento dei soldati israeliani il primo ministro Olmert aveva messo in chiaro la sua disponibilità a discuterne.
Israele non è mai stata più determinata e unita di quanto lo sia oggi, e nessuno deve fraintendere questo aspetto. Stiamo attraversando un’esperienza dolorosa. Non abbiamo la minima intenzione di arrenderci o scusarci».
Cosa c’era dietro al rapimento dei soldati israeliani? Gli Hezbollah sapevano che così avrebbero provocato Israele?
«L’Iran e la Siria hanno visto un’opprtunità d’oro a causa della paralisi nella comunità internazionale. Hanno pensato di poter aumentare la loro influenza creando tensione nella regione, senza che nessuno potesse fermarli. E’ successo proprio quando l’Iran ha respinto il compromesso con gli Usa, l’Europa, la Cina e la Russia sul suo programma nucleare».
Israele ora vuole distruggere gli Hezbollah militarmente?
«Il nostro obiettivo è fermare gli attacchi missilistici di Hezbollah e permettere ai militari libanesi di imporsi e impedire agli Hezbollah di tornare di nuovo ai confini di Israele, come stabilisce la risoluzione dell’Onu. E vogliamo il rilascio dei nostri soldati».
Da cosa dipende l’arresto delle operazioni israeliane?
«Quando gli attacchi finiranno anche Israele si fermerà».
Invaderete il Libano via terra?
«No. Il problema non è sulla terra. E’ nell’aria. Se potessimo creare una zona cuscinetto, spareranno comunque missili a raggio più ampio? Cosa impedirà a quel punto agli Hezbollah di prendere missili a gittata maggiore dall’Iran e dalla Siria?».
Annan e Blair hanno proposto una «forza di stabilizzazione» Onu da dispiegare lungo la frontiera libanese.
«Si sbagliano. Il confronto non è sulla terra, ma nell’aria. Se queste forze dell’Onu possono impedire agli Hezbollah di tirare i loro missili e razzi, serve a qualcosa. Se vogliono combattere gli Hezbollah, va bene. Ma non ha senso avere gente che da terra osserva i missili volare sopra le loro teste. E’ inutile».
Preferisce l’approccio di Bush, che ha detto a Blair che Annan deve chiamare Assad e dirgli di costringere gli Hezbollah a «smetterla con questa merda»?
«Certamente. E’ meglio che mandare osservatori. Si va da Assad e gli si dice di smetterla. Tutto è nelle mani degli Hezbollah, della Siria e dell’Iran. Anche il Libano può fermare tutto questo».
Il G8 ha chiesto a Israele di rilasciare il ministro israeliani preso a Gaza all’inizio della crisi. Lo farete?
«Il G8 ha elencato le cose da fare: prima gli Hezbollah devono fermare gli attacchi, poi rilasciare i nostri soldati catturati, e poi noi dovremmo liberare il loro ministro. Non intendiamo fare diversamente».
Copyright 2006 Global Viewpoint

Da Il GIORNALE un' intervista a Ehud Gol. L'ambasciatore d 'Israele in Italia, in realtà , non dichiara nel corso dell'intervista che "la sinistra odia Israele", come vorrebbe un titolo poco accurato.
Critica le posizioni ingiuste e pregiudiziali di alcuni esponenti della sinistra italiana, come il segretario di Rifondazione Giordano, ma afferma anche che "ci sono anche molte persone della sinistra che sono al fianco di Israele".
Ecco il testo dell'intervista:

La sua missione in Italia volge al termine. Ehud Gol, ambasciatore d'Israele in Italia, l'8 agosto tornerà in patria. «Sono felice di questi cinque anni trascorsi qui. Lascio l'Italia con un sentimento meraviglioso, una soddisfazione professionale e personale molto grande» dice al cronista che vede nei suoi occhi un velo di nostalgia e tristezza. Israele è in guerra e anche se per un diplomatico come lui vale l'insegnamento di Clausewitz che la guerra è la continuazione della politica, il fuoco del Medio Oriente è un pericolo chiaro ed imminente. Gol valuta positivamente «il dibattito di qualche giorno fa in Parlamento. È stato per me fonte di orgoglio e soddisfazione per la semplice ragione che la stragrande maggioranza del Parlamento si è schierata a fianco di Israele». Ambasciatore Gol, cominciamo proprio da Montecitorio: le è piaciuto il discorso di Massimo D'Alema? «No». Perché? «Credo che nel suo discorso non avrebbe dovuto criticare Israele. Non c'è stata guerra più giusta di questa che ci è stata imposta e ora siamo costretti a combattere». D'Alema e altri esponenti politici dicono che la risposta militare di Israele è stata sproporzionata. Cosa si intende per proporzionalità? «Veramente non capisco proprio il concetto: cos'è una partita di pallacanestro? Non soltanto in Italia, ma anche all'estero, sulla Cnn, la Bbc, Sky dicono che non c'è proporzionalità. Chi ci odia dice: sono stati uccisi duecento libanesi e solo sei israeliani. Cosa vuol dire proporzionalità per loro? Che non sono morti abbastanza israeliani? Tutti i paladini dei diritti umani che ora si scandalizzano e sono scioccati dai morti civili, fanno attenzione a quanti civili sono stati uccisi in questi giorni in Irak? Questa è un'ipocrisia terribile, arabi uccidono altri arabi nella maniera più barbara possibile, ma questo non costituisce un argomento interessante. Mentre quando gli ebrei difendono se stessi e combattono contro gli arabi che vogliono distruggere Israele, allora nasce la questione umanitaria e quella della proporzionalità». Avete lanciato una vasta campagna militare e questo inquieta. «Negli ultimi mesi, dopo l'uscita da Gaza, sono stati lanciati su Israele 1100 missili. Questo è proporzionale? Entrare in territorio israeliano e rapire soldati israeliani è proporzionale? Rapire due soldati e ucciderne otto è proporzionale?». Anche il Vaticano vi ha criticato. «Mercoledì c'è stata una terribile tragedia a Nazareth, due bambini arabi-israeliani sono stati uccisi da un razzo Katyuscia. Un razzo lanciato sulla città e qualsiasi cristiano sa cosa simboleggia Nazareth. Spero che il Vaticano si pronunci con la stessa forza contro questa barbarie. .. ma ho molti dubbi». Vi siete ritirati da Gaza, il ritiro dalla Cisgiordania con la guerra è archiviato? «In questo momento ovviamente non è più all'ordine del giorno il ritiro dalla Cisgiordania. Undici mesi fa abbiamo operato coraggiosamente il ritiro da Gaza, l'abbiamo fatto per Israele e abbiamo dato ai palestinesi un'enorme speranza. Solo se avessero colto questa opportunità, avrebbero potuto trasformare quella zona non in Hong Kong, ma in un mezzo paradiso. Anziché sviluppare l'economia, hanno eletto Hamas al governo e ripreso le attività terroristiche contro Israele». Nell'estrema sinistra c'è chi non nasconde la sua simpatia per Nasrallah, il leader degli hezbollah. «Ma ci sono anche molte persone della sinistra che sono al fianco di Israele. Hezbollah è un'organizzazione estremista nata nel 1982 con lo scopo di allontanare Israele dal Libano. Anche allora, la vita nel Nord di Israele era un inferno: attacchi terroristici, bombardamenti. Avevamo la necessità di respingere queste formazioni al di là del confine settentrionale. Hezbollah combatte da allora Israele. Oggi è guidato da Nasrallah, che è uno strumento del terrorismo nelle mani di Siria e Iran, i suoi finanziatori. Quando siamo usciti dal Libano gli hezbollah hanno continuato la loro attività e sei anni dopo la risoluzione dell'Onu sono ancora là». Il problema è irrisolto, ma Rifondazione sostiene che la risposta militare lo aggrava. «Dov'erano allora quelli che oggi criticano Israele? Il segretario di Rifondazione, Giordano, attacca quello che lui chiama “il governo di Tel Aviv”. È anche ignorante perché dovrebbe sapere che il governo è a Gerusalemme». Cosa ne pensa della proposta di un intervento dell'Onu? «La risposta è molto semplice: sei anni dopo le risoluzioni dell'Onu, la 425 prima e poi la 1559, cosa hanno fatto le Nazioni Unite? Ci possiamo fidare dell'Onu? Cosa faranno domani rispetto al nulla dei sei anni precedenti? Sei anni fa, sotto il loro naso sono stati rapiti dei soldati israeliani, Hanno chiuso gli occhi. Bombarderanno loro gli hezbollah? Mi fa sorridere tutto questo entusiasmo della sinistra estrema che è a favore della presenza italiana a Gaza e in Libano, mentre sono contrari alla missione in Afghanistan». Vogliono la pace. O no? «Queste persone non vogliono le forze militari per la pace. Parlano di pace ma sono contro la pace. Vogliono delle forze internazionali che impediscano a Israele di difendersi. La mia risposta è questa: no, grazie». Lei punta il dito su Teheran, ma c'è chi ha proposto proprio la mediazione dell'Iran. «La Rosa nel Pugno ha proposto la mediazione dell'Iran: è come se avessimo chiesto a Hitler di mediare». Anche Prodi si è messo a fare il «facilitatore» con l'Iran. «Non so se Prodi l'abbia fatto. Io so che chiedere all'Iran di mediare è come chiedere al gatto di custodire il topo. Ho sentito delle persone in Italia dire che non sono convinte sul ruolo di Iran e Siria nelle azioni degli hezbollah. Forse non credono a noi... allora chiamino il direttore dei servizi segreti italiani, Nicolò Pollari, e chiedano a lui». Dubito che credano a Pollari. «Se non si fidano di Pollari, chiedano agli americani». Dubito anche che credano agli americani. «E se non si fidano degli americani, chiedano al capo dei servizi segreti francesi. Lui spiegherà loro qual è il problema, come sono coinvolti nel terrorismo Iran e Siria». Quanto sarà lunga questa guerra? «Ieri sera ho parlato con un medico arabo-cristiano della città di Nazareth. Mi ha detto: “Ambasciatore, noi israeliani questa volta dobbiamo fare il massimo per finire questo lavoro, non possiamo lasciare questa missione incompiuta, dobbiamo distruggere l'infrastruttura degli hezbollah”. Secondo un sondaggio l'80 per cento degli israeliani è a favore dell'intervento militare». Ma in Italia e in Europa non vi risparmiano le critiche. «Chi critica Israele dovrebbe vivere in Israele non un anno, ma un solo giorno sotto la minaccia del terrorismo. La vita dei bambini in pericolo, la minaccia in agguato nei caffè, negli autobus. Così capirebbe cosa provano gli israeliani». La formula critica è: azione legittima, ma sproporzionata. «Il messaggio finale del G8, per la prima volta da anni, esprime comprensione per le necessità di sicurezza di Israele. Quasi tutti in Europa comprendono oggi che c'è un limite anche alla moderazione da parte dello Stato di Israele e ora mi attendo che l'Italia e l'Europa agiscano per inserire gli hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche». Giulio Andreotti ha detto: «Credo che ognuno di noi, se fosse andato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant'anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista». «Le parole di Andreotti mi hanno irritato più di qualsiasi altre. Non so cosa abbia fatto lui durante la Seconda guerra mondiale, ma certamente non è mai stato in un campo di concentramento. Non c'è nulla che faccia indignare noi israeliani più che il disprezzo delle vittime della Shoa, se fosse stato qualche volta nei campi di concentramento, saprebbe che cosa hanno passato gli ebrei. Quello che fa male è che già da cinque anni qui in Italia si celebra il giorno della memoria, il 27 gennaio, e un senatore rispettato come Andreotti ancora non riesce a comprendere che cosa è stata la Shoa. Nulla può essere paragonato alla Shoa. Dire che noi israeliani mettiamo i palestinesi in campo di concentramento è ignoranza e anche malignità».

Di seguito, dall'ESPRESSO, l'intervista a Tzipi Livni:

La voce di Tzipora Livni, detta 'Tzipi', s'incrina, leggermente, solo quando deve citare Ariel Sharon, il suo mentore. E non è un omaggio formale a un uomo che giace in coma da gennaio e si trova in un ospedale di Tel Aviv, ma la rivendicazione di una continuità politica utile a leggere quanto accade in questi giorni di guerra col Libano. La domanda era: lei è stata una delle persone più vicine all'ex premier, quanto le manca? Quanto avrebbe potuto essere utile in questa fase difficile? Sharon manca e non solo a Israele, ammette la Livni, prima di svelare: "Potrà suonare simbolico, ma nell'ultima riunione di lavoro che abbiamo avuto, proprio il giorno prima che fosse ricoverato, abbiamo discusso del nostro confine nord. A me e agli altri collaboratori ha detto: dovete chiedere con forza alla comunità internazionale di espellere gli Hezbollah dal sud del Libano, non possiamo sopportare questa situazione più a lungo. Ricordo con precisione quell'incontro proprio perché è stato l'ultimo. Abbiamo parlato della possibilità che rapissero civili o militari lungo la frontiera. Io ero ministro della Giustizia, allora". Ora Tzipi Livni, 48 anni, è il ministro degli Esteri, seconda donna d'Israele a ricoprire la carica dopo Golda Meir. Pur essendo approdata alla politica da appena una decina d'anni, mostra il cipiglio di chi è in grado di prendere decisioni difficili. Per questo nel Paese è molto popolare e la sua rapida ascesa è stata agevolata da caratteristiche personali come carisma e fascino. Il tempo per questa intervista con 'L'espresso' è stato rubato ai gabinetti d'emergenza, alle frenetiche, convulse, continue consultazioni con i colleghi dell'Occidente e del mondo arabo moderato. I lunghi capelli biondo-rossi ben curati, tailleur nero su camicetta bianca (quasi una divisa per lei), Tzipi Livni porta orecchini minuscoli, una leggera catena e un vistoso orologio d'oro. Scandisce le parole con nettezza quasi voglia che il tono coincida con la chiarezza dei concetti.

Ministro Tzipi Livni, come paventavate in quella riunione con Sharon, due soldati sono stati rapiti. La vostra reazione ha provocato la morte di molti civili in Libano. Qualcuno, compreso il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, l'ha definita 'sproporzionata'. Non temete un isolamento? Non temete che la comunità internazionale non capisca?
"La situazione è molto più complessa della semplice vicenda dei soldati. Il leader di Hezbollah, Sayed Hassan Nasrallah, vuole giocare un ruolo nel conflitto israelo-palestinese e noi non vogliamo che possa avere questo diritto, che possa influire sulla leadership palestinese. Nasrallah vuole promuovere se stesso come attore politico nella regione, rappresenta gli interessi dell'Iran, non quelli del Libano, e arriva da una posizione ideologica estremista e fondamentalista".

E le vittime civili?
"Ci sono, in Libano, degli appartamenti, normali case intendo, in cui i proprietari permettono agli Hezbollah di collocare i missili. Noi non dovremmo neutralizzarli perché altrimenti colpiamo i civili quando loro, con quei missili, raggiungono Haifa e altre città del centro d'Israele? Noi abbiamo chiesto ai civili di abbandonare i luoghi dove si trovano le armi, abbiamo anche lanciato volantini dagli aerei, li abbiamo avvertiti proprio perché non vogliamo vittime tra la popolazione. C'è differenza tra una deliberata volontà di uccidere i civili e un possibile errore. Gran parte del territorio di Israele è sotto attacco, loro vogliono ucciderci e demolire il nostro Stato".

Avete colpito, e più volte, l'aeroporto internazionale di Beirut, ponti e altre infrastrutture.
"La maggior parte degli obiettivi che abbiamo scelto sono luoghi dove gli Hezbollah operano, dove hanno i missili a lungo raggio. Abbiamo anche attaccato l'aeroporto e la sola ragione è che avevamo informazioni per le quali i terroristi avevano la volontà di portare i nostri soldati rapiti fuori dal Libano, in un altro posto. Le infrastrutture sono state colpite con l'obiettivo di evitare lo smercio degli ostaggi in Siria in Iran o altrove. Del resto abbiamo una cattiva esperienza in materia che arriva dal passato."

Queste spiegazioni le avrà usate nei colloqui coi suoi interlocutori diplomatici. Li ha convinti?
"La comunità internazionale da un lato comprende ciò che sta avvenendo, dall'altro vuole difendere i positivi cambiamenti che sono intervenuti di recente nel governo libanese. Ho spiegato, ai miei colleghi del mondo, le nostre ragioni. Giochiamo a carte scoperte. Non abbiamo un'agenda, non vogliamo spedire di nuovo i nostri soldati nel Libano per occuparne una parte. Non vogliamo un altro conflitto col Libano. Ho chiesto ai miei colleghi di mettersi nei miei panni, di provare a immaginare quale decisione avrebbero preso al mio posto. Prendere decisioni in Medio Oriente è sempre difficile. Abbiamo scelto questa perché, qualunque altra, avrebbe consegnato a Nasrallah un potere, ora e per il futuro, e bisogna invece fermarlo. Credo che parte della comunità internazionale, quella che ha fatto propri i valori di libertà e democrazia, intenda che stiamo combattendo contro un atto di terrorismo. Che esiste un asse pericoloso formato da Iran, Hezbollah, Siria e Hamas. Non è una battaglia che riguarda solo Israele, ma i valori dell'Occidente di cui Israele è parte. Veniamo attaccati proprio perché simbolo dell'Occidente".

Dovrebbe essere anche un vostro interesse sostenere i seppur flebili sforzi democratici in atto in Libano.
"Non stiamo rendendo più debole il governo libanese, non è il nostro obiettivo. Ma il governo libanese è responsabile perché l'attacco contro di noi è partito da quel Paese sovrano. Hezbollah fa parte del governo libanese. La Risoluzione 1559 delle Nazioni Unite prevede che sia smantellata la milizia degli Hezbollah e che sia inviata al confine l'armata libanese per dare alla regione una chance di stabilità. Non è mai stato fatto e non so quali altre scuse il governo libanese potrà avanzare per continuare a non farlo. Quindi, di fatto, noi abbiamo al confine un'organizzazione terroristica che rappresenta gli interessi iraniani, che ha connessioni in Siria e che ha campi di addestramento per le proprie truppe paramilitari. Non solo, da informazioni di intelligence sappiamo che da quando abbiamo lasciato il Libano, hanno continuato a riarmarsi dall'Iran, attraverso la Siria, e ora ce li troviamo davanti più pericolosi di sempre".

Eppure, nonostante le informazioni, sembra siate stati colti di sorpresa.
"Riguardo a questo attacco? Sapevamo che avrebbero cercato di catturare dei soldati. Abbiamo molte buone informazioni ma non sufficienti, sapevamo qualcosa, non tutto".

C'è chi sostiene che l'attuale governo, non avendo generali nei ruoli chiave, è percepito come debole in Israele. E proprio per fugare questo sospetto abbia deciso per la linea dura, di fatto consegnandosi al volere dei militari.
"Io faccio parte di questo governo. Cerchiamo di essere responsabili, di prendere decisioni che aprano prospettive per il futuro".

Quanto dureranno le operazioni? Fino a che punto entrerete in territorio libanese? Che decisioni avete preso in merito nel gabinetto di crisi?
"Non voglio rispondere entrando nel dettaglio delle operazioni militari. In generale vogliamo neutralizzare le postazioni da dove si lanciano i missili e obbligare gli Hezbollah a lasciare la scena nel sud del Libano. Credo che questa sia anche un'opportunità per il governo libanese di estendere la sua sovranità in quella fetta del Paese. Il premier Fuad Siniora può ora fare la cosa giusta. Il messaggio che Israele lancia è che Hezbollah è un pericolo per i cittadini libanesi. So che i cittadini libanesi vogliono vivere in pace in uno Stato florido. Hezbollah rappresenta esattamente interessi opposti, interessi del terrorismo. E del resto basta guardare il timing dell'attacco contro di noi.".

Cosa vuole dire, ministro?
"Il timing dell'attacco deciso da Nasrallah è il peggiore per l'economia del Libano. Per la prima volta avevano una fiorente stagione turistica che è stata rovinata. Come sappiamo, proprio nei giorni del rapimento del soldati, l'Iran subiva una forte pressione internazionale affinché desse una risposta prima del G8 di San Pietroburgo circa le offerte per bloccare il programma nucleare. E inoltre due giorni prima Nasrallah si è recato a Damasco per incontrare Khaled Meshal, il leader di Hamas che in Siria ha il suo quartier generale, al quale ha chiesto con forza di non continuare sulla strada delle trattative che avrebbero potuto portare alla liberazione del nostro militare Gilad Shalit, il primo rapito e tenuto prigioniero da Hamas a Gaza. Dunque, per riassumere, il tempo dell'attacco è stato scelto per spostare l'attenzione del mondo su un'altra questione, permettere all'Iran di non dare una risposta e impedire a israeliani e palestinesi di trovare un accordo su Gaza".

Dunque ci sono connessioni tra la crisi a Gaza e nel sud del Libano.
"Le due situazioni sono completamente diverse, non ci sono connessioni. O meglio: è Nasrallah che vorrebbe connettere le due questioni. Si possono però trovare dei punti comuni. Da entrambi i posti noi ci siamo ritirati. Da Gaza, l'estate scorsa, per dare ai palestinesi la possibilità di cominciare a costruire un loro Stato. Dal Libano, nel 2000, per dare al governo libanese la possibilità di fare qualcosa in quella regione. In entrambi i luoghi hanno usato le postazioni abbandonate per attaccarci, si sono adoperati per costruire tunnel, sorprenderci, e per lanciare missili contro di noi".

Se la conclusione è questa, forse che state rivedendo le scelte fatte? Forse giudicate che i ritiri non sono stati una buona idea? Sarebbe una logica pericolosa per il governo di cui fa parte, eletto per un programma che prevede anche il ritiro dalla Cisgiordania.
"Dovendo scegliere tra diverse opzioni, abbiamo creduto che la migliore fosse vivere in pace coi nostri vicini e promuovere l'idea dei due Stati. Abbiamo voluto, vogliamo, prenderci qualche rischio nel percorrere questa strada e il piano di disimpegno era un messaggio ai palestinesi. Sfortunatamente hanno usato l'occasione per attaccarci. Ma noi non vogliamo cambiare i nostri obiettivi e chiediamo alla comunità internazionale di sostenerci in questo sforzo".

Quando parla di comunità internazionale, intende anche gli Stati arabi moderati?
"Molti degli Stati arabi moderati capiscono quanto Hezbollah sia pericoloso anche per loro, ora e nel futuro".

Avete escluso la possibilità di un accordo per lo scambio di prigionieri. Eppure in passato trattative di questo tipo le avevate accettate, persino con Hezbollah.
"Fin dal primo soldato rapito abbiamo deciso di non negoziare coi terroristi. Ricordo anche che io votai contro il primo accordo con Hezbollah, alcuni anni fa. Lo stesso vale per i palestinesi. Tutti devono capire qual è la politica, ferma, del governo israeliano".

Ministro Tzipi Livni, cosa succederà nel futuro prossimo? È pronosticabile, come si teme, un coinvolgimento nella crisi della Siria, fatto che significherebbe un'escalation e una guerra regionale?
"L'escalation, il coinvolgimento della Siria non sono nei nostri piani. Non vogliamo aprire un terzo fronte dopo Gaza e sud del Libano. Ma non dimentichiamo che la Siria aiuta gli Hezbollah e Khaled Meshal, che ha un ruolo negativo".

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