Da LIBERO di oggi,08/07/2006 a pag.19, come i media italiani descrivono la situazione mediorientale nell'analisi di Angelo Pezzana
Secondo il nostro ministro degli esteri Massimo D’Alema, Israele " fa un uso sproporzionato " della propria forza. Detto con altre parole, Israele dovrebbe lasciar bombardare quotidianamente le proprie città dai terroristi di Hamas mandando comunicati di protesta all’Onu oppure all’Unione europea. Come fa uno Stato a garantire la sicurezza dei propri cittadini se non manu militari ? Invece di chiedersi come fare a neutralizzare i terroristi palestinesi, senza i cui attacchi non ci sarebbe nessuna azione da parte di Israele, D'Alema rivolge il suo rimprovero a quest’ultimo che non ha altra colpa se non quella di difendersi. Ed è in buona compagnia. La stessa operazione la fanno i media. Il TG1 di ieri mattina arriva a dire da studio " ha
perso la vita un soldato israeliano, forse colpito da fuoco amico", così, tanto per escludere responsabilità altrui. Televideo, altra fonte di informazione sempre schierata dalla parte palestinese, non dice mai perché Tzahal è entrato con in tank nel nord della Striscia di Gaza, cita invece l’ "offensiva israeliana" e tanto basta per indicare al telespettatore chi è il cattivo. Gaza poi, è "già da ieri duramente colpita", mai dire che Israele vuole distruggere le basi di lancio dei missili Kassam, pronti per essere lanciati su Sderot e Ashkelon. Su Haniyeh, chiamato per l’occasione presidente palestinese e non capo del governo terrorista di Hamas, Televideo scrive che "ha chiesto l’intervento della comunità internazionale". Igor Man sulla Stampa scrive che su Gaza sta cadendo una "pioggia di sangue", facile indovinare chi sono i sanguinari, ma non è da meno Alberto Stabile che su Repubblica scrive ".. attestati sulle rovine di Dugit,Nissanit, ed Elei Sinai, rovine volute da Sharon per lasciare ai palestinesi soltanto terra bruciata", quando furono proprio i palestinesi di Gaza a distruggere ogni segno della presenza ebraica, persino le sinagoghe vennero rase al suolo. L’uso delle parole è rivelatore, se è palestinese è sempre un villaggio, mentre se è israeliano è un insediamento, così è stata chiamata anche la città di Ashkelon. L’Unità, che sia detto senza offesa è il quotidiano dei DS, dire che è sbilanciata è un eufemismo. Per il giornale del duo Fassino-D’Alema le vittime palestinesi sono sempre "civili", e gli israeliani bombardano tutto quello che capita a tiro, ospedali compresi. Titolo di giovedì " Gaza come una zona di guerra. Missione urgente dell’Onu", dove il richiamo all’Onu contiene già la sentenza, sostenuta da interpretazioni di fantasia, come " l’esercito di Tel Aviv vuole creare la zona cuscinetto modello Libano", poco importa che il governo israeliano abbia spiegato infinite volte che non rioccuperà mai Gaza, che l’unico problema sono le postazioni dei terroristi che vanno sradicate. Sull’Ansa si sprecano i " raid aerei " ed il sito web di Repubblica è ormai un lungo elenco delle colpe israeliane, che brillano fra il silenzio più totale degli atti di terrorismo palestinese. Ancora sulla Stampa di ieri un titolo che sarebbe stato più adatto sul Manifesto: " I miliziani di Hamas contro i carri israeliani, non uscirete vivi dalla palude dei martiri" , come dire Davide contro Golia, gli eroici " miliziani" di Hamas nuovi Davide contro il potente esercito di Israele nella parte di Golia. Purtroppo il gioco funziona. Giornali e Tv possono orientare come vogliono l’opinione pubblica. Prepariamoci ad una dose ancora più massiccia di disinformazione. A quando le manette per chi non canta nel coro ?
Dalla STAMPA, 08/07/2006 a pag.9, un articolo di Carla Reschia nel quale Riccardo Pacifici commenta la posizione del governo Prodi e la sua politica estera. Peccato il titolo, ambiguo, "D'Alema, non siamo equivicini", frase che potrebbe essere attribuita a D'Alema mentre invece è una affermazione di Pacifici. ecco il pezzo:
Quell’aggettivo, «sproporzionato», ripreso per di più dal presidente di turno dell’Unione, e riferito al dispiego di forze israeliane nella Striscia di Gaza, sembra destinato a far discutere almeno quanto la famosa «equivicinanza» di andreottiana memoria, resuscitata giorni fa per definire la posizione italiana sulla crisi mediorientale. Concetto ribadito intanto, all’inizio della nuova crisi israelo-palestinese, con un appello alla «moderazione» di Israele.
Guardato dagli ebrei italiani con una certa diffidenza fin dall’esordio, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema è finito di nuovo sotto esame. E che le sue opinioni alla fine facciano scuola, dal G8 di Mosca a Bruxelles, non aiuta. Il vicepresidente e portavoce della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, esordisce con una precisazione. Un tantino sarcastica: «In tutti gli interventi “equivicini” non è mai stato posto in rilievo il fatto che quella in corso non è un’operazione in risposta al rapimento del caporale Gilad Shalit, ma una reazione, preparata da tempo, ai 1200 razzi Qassam lanciati dal territorio di Gaza contro città israeliane». La vera offensiva, a suo dire, è piuttosto «il fuoco incrociato mediatico che tenta di mistificare la realtà delle cose». Tipo? «Definire Asqelon, città dentro i confini del 1967, quindi pienamente israeliana, una colonia ebraica, come ha fatto un inviato della Rai; non raccontare il dramma della popolazione civile israeliana che vive ai confini con Gaza e che non può mandare i bambini a scuola perché sono a portata di missile, come fanno un po’ tutti. Certo, se parliamo solo di un’iniziativa per salvare un soldato, definirla sproporzionata appare coerente. Però bisognerebbe dare un quadro completo».
E allora, incalza Pacifici, «Noi domandiamo: Perché l’Italia non promuove un’azione umanitaria internazionale per il rilascio di Gilad e un azione a tutela dei cittadini israeliani al confine con Gaza? Fatto questo potremo occuparci del dramma della popolazione palestinese, che ha comunque canali aperti per ricevere gli aiuti internazionali».
Messa così, la politica italiana, dal ministro degli Esteri in giù, pare condannata senza appello. Invece Pacifici, esponente dell’ala moderata delle comunità ebraiche italiane, che all’esordio del governo Prodi non aveva nascosto il rimpianto per Berlusconi, filo-israeliano senza se e senza ma, a sorpresa la ripesca: «Ero pessimista, non lo nego. Invece all’interno di questo governo si sta sviluppando un dibattito tanto proficuo quanto interessante. Esistono, e si manifestano, posizioni diverse. Il sottosegretario Vernetti chiede di far entrare Israele nelle Nato, Furio Colombo, che rappresenta un’anima importante dei ds, si dice d’accordo con lui. Poi c’è Intini che pone dei distinguo. Insomma, un dibattito del genere, nel centrosinistra, solo dieci mesi fa sarebbe stato impensabile. E poi, il capogruppo di Rifondazione comunista, Franco Giordano, dice che bisogna combattere l’antisionismo. E Diliberto, dei comunisti italiani, se non altro, si astiene da posizioni troppo radicali. Se aggiungiamo che sull’Iraq e soprattutto sull’Afghanistan, le posizioni sono molto articolate e complesse, non possiamo che attenderci importanti risultati. Dobbiamo stare a vedere, non dobbiamo disturbare questi sviluppi».
E l’Unione, che riecheggia D’Alema? «Bisogna partire da un dato: il rilascio del soldato Gilad, rapito nel suo territorio e non in un’azione di guerra. Come ha detto anche il papa. Che poi sia importante interrompere le azioni offensive, credo siamo tutti d’accordo. Non per nulla Israele si è ritirata da Gaza. Però, io domando all’Unione europea: Se Israele ritira i carri armati, chi garantisce che da domani mattina non vengano più lanciati missili Qassam? Chi garantisce che non vengano colpiti i centri delle cittadine di confine, come è successo ancora ieri?».
Missili Qassam contro elicotteri e carri armati. Non è un po’ «sproporzionato»? «Certo, se uno immagina Davide e Golia a parti rovesciate, da una parte un esercito preparato e forte, dall’altra milizie che al massimo possono lanciare missili. Ma la prospettiva e il giudizio cambiano, e di molto, se si valuta, come sarebbe doveroso, la reale dimensione del conflitto in corso, ovvero una serie di confini di guerra aperti, con Hezbollah in Libano, con la Siria che ospita Hamas, con il terrorismo fondamentalista che preme in Iraq, con l’Iran nucleare. E Israele in mezzo».