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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Messaggero - Il Mattino Rassegna Stampa
04.07.2006 Quando la propaganda non arretra di fronte a nulla
la strumentalizzazione delle parole di Esther Wachsman

Testata:Il Messaggero - Il Mattino
Autore: la redazione
Titolo: «Non negoziarono. mio figlio morì nelle mani di Hamas - Mio figlio, ostaggio immolato in nome della linea dura»
Il MESSAGGERO con l'articolo "Non negoziarono. mio figlio morì nelle mani di Hamas" e Il MATTINO con " «Mio figlio, ostaggio immolato in nome della linea dura» si producono, nelle edizioni del 4 luglio 2006, in un cinico  uso a fini propagandistici delle parole di Esther Wachsman , madre di un caporale israeliano rapito da Hamas dodici anni fa e morto durante il tentativo di liberarlo.
Le sua parole sono comprensibili, la logica è quella propria di un’intera società per la quale la vita è il bene primario da difendere ed è combattuta tra la volontà salvare la vita di un giovane a tutti i costi e la necessità non cedere a un inammissibile ricatto terroristico con la consapevolezza che il risultato, come la stessa Wachsman dice, spesso è stato ricevere altre aggressioni, con spargimento di sangue. Inamissibile é invece che le sue parole vengano strumentalizzate e mistificate  dalle redazioni nella scelta dei titoli.  Col solo obiettivo, ancora una volta, di puntare il dito contro Israele, di accusarlo, di condannarlo senza appello, di riconoscerlo implicitamente responsabile delle aggressioni che si trova ad affrontare, di far passare i suoi dirigenti come cinici personaggi che in nome di una linea di condotta cieca e ideologica non esitano a giocare con la vita dei cittadini. Dunque non una seria riflessione, come la stessa madre del giovane caporale morto sembra suggerire, sul dramma che si trova a vivere in casi simili una società democratica, ma soltanto il desiderio di demolire l’immagine di uno Stato verso il quale si nutre un sentimento di antipatia, se non d’odio.

Di seguito, il testo dell'articolo del Mattino:

Tel Aviv. «Da casa nostra, quel giorno, Yitzhak Rabin uscì singhiozzando. Aveva appena ammesso di non aver pensato fino in fondo alle conseguenze dell'operazione. In seguito la moglie, Lea Rabin, mi avrebbe detto di aver visto Yitzhak piangere solo due volte in vita sua: una delle quali, appunto dopo la uccisione di mio figlio Nachshon Wachsman». La storia si ripete. Dodici anni fa, come oggi, un altro caporale israeliano si trovava nelle mani di Hamas che esigeva la liberazione di 200 detenuti. La vicenda si concluse allora con un tentativo da parte di una unità d’elite di liberare il caporale Wachsman. Ma la porta della stanza dove era tenuto prigioniero era più solida di quanto immaginato e aveva resistito ad una prima carica esplosiva. L'elemento sorpresa era perduto: i rapitori uccisero l'ostaggio, per poi essere abbattuti a loro volta. Oggi la madre del caporale, Esther Wachsman, rompe il silenzio per chiedersi se fosse giusta la linea della fermezza su cui allora fu immolato suo figlio e che anche stavolta viene invocata dal premier Ehud Olmert, di fronte alla richieste ultimative dei rapitori del caporale Ghilad Shalit. «Trovo molto difficile comprendere la mentalità dei nostri dirigenti, siano essi di destra o di sinistra», confessa la donna in un articolo pubblicato dal quotidiano Haaretz. «Di nuovo sentiamo le frasi di allora, ”Non negozieremo, non ci arrenderemo al terrorismo“, questo è il destino degli israeliani, ci dicono». «La verità è che in passato ci siamo arresi a terroristi, e abbiamo poi anche pagato un prezzo di sangue per aver liberato quegli assassini», aggiunge la donna. Nella storia dei rapporti israelo-palestinesi il punto di partenza nello scambio dei prigionieri risale al 1985, quando il leader del Fronte Polare per la Liberazione della Palestina-Comando generale, Ahmed Jibril, riuscì a scambiare tre militari israeliani (presi prigionieri in Libano) con 1.150 palestinesi detenuti in Israele. Nel 1986 un navigatore israeliano, Ron Arad, cadde col suo aereo in Libano e fu fatto prigioniero da una milizia sciita. Nelle fasi iniziali sarebbe stato possibile negoziare la sua liberazione ma l'occasione sfuggì. La sua sorte non è mai stata accertata. Nel 1997 dopo Israele cercò di eliminare con un attentato molto sofisticato ad Amman il leader politico di Hamas, Khaled Meshal. Ma una sua guardia del corpo molto atletica riuscì a rincorrere l'automobile su cui viaggiavano due agenti israeliani. Re Hussein fu costretto ad intervenire e arginare in qualche modo la collera araba; Israele salvò allora con un antidoto la vita di Meshal e liberò lo sceicco Yassin. Ma il caso più eclatante è quello di Elhannan Tanenbaum, un uomo d'affari catturato a Dubai da emissari Hezbollah e poi tenuto in ostaggio a Beirut fra il 2000 e il 2004. Tanenbaum (un ufficiale della riserva che disponeva di informazioni segrete) ha poi ammesso di essersi messo nei guai cercando di acquistare una partita di narcotici. Per riscattarlo Israele liberò centinaia di palestinesi e una ventina di libanesi fra cui due dirigenti sciiti, Abdel Karim Obeid e Mustafa Dirani, che in passato aveva sperato di poter scambiare con il navigatore Arad.

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