Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Silenzio sul soldato israeliano rapito ed "equivicinanza" Romano Prodi al congresso dell'Ucei
Testata:L'Opinione - Il Giornale Autore: Ariela Piattelli - Dimitri Buffa -Renzo Foa Titolo: «I silenzi del Professore irritano gli ebrei italiani - Il politically correct di Prodi convince poco -Il passo indietro del Professore»
La cronaca dell'intervento di Romano Prodi al Congresso dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e delle reazioni che ha suscitato. Dal GIORNALE del 4 luglio 2006:
Il Congresso dell'Unione delle Comunità Ebraiche (Ucei) poteva essere l'occasione per agevolare il dialogo tra l'attuale governo e gli ebrei italiani sulla questione del Medioriente. Ecco invece un'altra occasione mancata. Prima dell'atteso discorso di Prodi, il presidente del congresso, Giacomo Saban, ha salutato le autorità presenti (tra cui Gianfranco Fini, Fabrizio Cicchitto, Franco Giordano, Giovanni Maria Flick, l'ambasciatore dello Stato d'Israele in Italia Ehud Gol) rivolgendo un invito più che esplicito a Prodi a chiarire il termine «equivicinanza» usato da D'Alema per descrivere la politica del neoministro degli Esteri in Medioriente: «L'uso di certi neologismi, quali “equivicinanza”, ci turbano perché “equivicinanza” significa voler considerare uguali due entità che non lo sono - dice Saban - non solo ai nostri occhi, ma anche a quelli dell'Unione Europea: significa accettare il terrorismo». Dopo il presidente dell'Ucei, Claudio Morpurgo, prende la parola Prodi. La prima parte del discorso «ecumenico» è ineccepibile e fa ben sperare. Parla infatti della minaccia del risveglio dell'antisemitismo in Europa e dell'irriducibile contributo dell'ebraismo italiano alla società. Poi arriva al punto caldo della questione mediorientale: «Israele», «Pace», «Due popoli, due Stati». Silenzio sull'equivicinanza dalemiana e sulle tristi vicende di Gaza, non una parola sul soldato israeliano sequestrato, Gilad Shalit. Hamos Guetta (delegato «Per i giovani insieme») non riesce a contenere la rabbia, concluso il discorso, perde le staffe e si lancia su Prodi: «Non ci sto Presidente! Lei non può non parlare del soldato rapito». E mentre Guetta viene fermato, Prodi sorridente tira dritto verso l'uscita. «Un discorso deludente - commenta Fini -, Prodi ha perso un'occasione per fare chiarezza sulla politica del governo in materia di Medioriente. Chiarezza che non è attesa soltanto dagli ebrei, ma da tutti gli italiani. Sull'equivicinanza doveva ribadire che un conto è essere vicini ai due popoli e ai due Stati, ma ben altra cosa è essere ugualmente vicini ad Israele, Stato democratico, e ad un governo guidato da un'organizzazione terroristica come Hamas. Sono preoccupato dell'atteggiamento ambiguo della maggioranza che sostiene questo governo nei confronti di Hamas, organizzazione terroristica a pieno titolo. Poi non si può dimenticare proprio in questo congresso che c'è Ahmadinejad, che auspica lo sterminio del popolo ebraico. Cosa che non avveniva dai tempi di Hitler. E qualche giorno fa ho sentito esponenti del governo italiano dire che con quella repubblica islamica bisogna avere rapporti più stretti». Secondo l'ex ministro degli Esteri, a Prodi è mancato il coraggio di parlare chiaro. Sulla stessa linea il vicecoordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto: «Ho trovato preoccupante il silenzio di Prodi sul soldato sequestrato e sull'equivicinanza. Non deve esserci ambiguità sul Medioriente. Esprimiamo all'Ucei solidarietà e la nostra “vicinanza” culturale, politica e umana». E in un congresso dove si lavora anche per difendere e spiegare le ragioni di Israele, le parole taciute da Prodi pesano come macigni Secondo Yasha Reibman (delegato di «Per Israele») «il Presidente Prodi ha sbagliato file - ironizza il leader della comunità milanese - penso infatti che abbia preso quello del congresso del '98, quando non c'erano né “equivicinanze” né soldati israeliani rapiti di cui discutere». Riccardo Pacifici («Per Israele») apprezza le parole di Prodi sull'ebraismo, ma prende atto che il presidente ha glissato sul Medioriente e poi lancia un appello: «Chiediamo al governo italiano di adoperarsi, attraverso una mediazione, per il rilascio del caporale israeliano sequestrato a Gaza». Alcuni ebrei italiani speravano infatti che Prodi facesse in congresso un gesto pragmatico, come un appello per la liberazione del soldato Gilad. Ma l'appello non è arrivato e c'è chi spera che Prodi corra ai ripari in un secondo tempo. «Dopo l'ottimo intervento di stamattina al congresso dell'Unione, Prodi aggiunga la sua voce a quella del ministro degli Esteri russo, che ha chiesto la liberazione del soldato israeliano rapito da Hamas a Gaza», invoca il delegato di Milano al congresso dell'Ucei e deputato dell'Ulivo Emanuele Fiano. Dopo la visita di Prodi il congresso si è rimesso al lavoro, oggi saranno nominati i nuovi consiglieri dell'Ucei, e dovranno fare i conti con una maggioranza di governo che sembra ancora non comprendere fino in fondo le ragioni di Israele.
Dall'OPINIONE del 4 luglio 2006, un articolo di Dimitri Buffa:
Romano Prodi ieri ha cercato invano di mettere su un po’ di captatio benevolentiae nei confronti delle comunità ebraiche italianeriunite a congresso per eleggere il loro nuovo presidente. Le frasi a effetto non sono mancate, ma le recenti posizioni di Massimo D’Alema, successore di Gianfranco Fini alla Farnesina, rispetto a questo astruso concetto di “equivicinanza” tra israeliani e palestinesi, aveva già rovinato tutto da giorni e le parole ormai lasciano il tempo che trovano. Specie se i fatti vanno in tutt’altra direzione. Comunque Prodi ci ha provato e ha esordito dicendo che “la comunità ebraica è parte integrante della nostra identità nazionale, fa parte della storia della nostra cultura“ e promettendo di rinnovare da premier la battaglia che a suo dire fece a suo tempo come presidente della Commissione europea contro l’antisemitismo. Proprio questo ultimo accenno ha fatto però rizzare i capelli in testa a chi aveva la fortuna di averceli ancora. “Ma come, ma Prodi non è quello che ha preso Tariq Ramadan come consulente al dialogo interreligioso quando era presidente Ue? E Tariq Ramadan non è quell’esponente dei Fratelli Musulmani, nipote del fondatore Hasan al Banna? E i fratelli musulmani non sono l’interfaccia politica di Hamas nel resto del mondo arabo? Non è Ramadan uno di quelli che non hanno mai voluto riconoscere il diritto di Israele ad esistere? Inoltre la Commissione Prodi non è la stessa che per mesi insabbiò il rapporto sull’antisemitismo nel vecchio continente dato che si parlava esplicitamente dell’estremismo islamico come una concausa?” Inoltre, la mancata citazione della vicenda del soldato israeliano rapito nel discorso del premier ha sollevato la protesta di un delegato di Roma, Hamos Guetta. Gli altri, quelli che come Riccardo Pacifici, portavoce della comunità romana, hanno preferito fare commenti più diplomatici, sottolineano che, se da un lato “non ha precedenti la presa di coscienza da parte di Prodi sul contributo che gli ebrei hanno dato all'Italia” e che il discorso “è un passo storico e innovativo”, dall’altro “purtroppo il presidente del Consiglio non ha dato risposte chiare alle scelte di questo governo sulla questione medio-orientale, né ha risposto al presidente del congresso Giacomo Saban che lo aveva esortato a pronunciarsi sul significato del termine 'equivicinanza': su tutto questo ha glissato”. Insomma Riccardo Pacifici ha l’abilità dialettica e diplomatica di usare un complimento per portare a segno un velato rimprovero e aggiunge che ora “ci si attende che questo governo si mobiliti per la mediazione e la liberazione del soldato israeliano rapito”. Un qualche “apprezzamento per il richiamo di Prodi al forte impegno da parte dell'Italia e dell'Europa a costruire la pace in Medio Oriente in base al diritto alla sicurezza e all'esistenza dello stato ebraico” è stato espresso anche da Claudio Morpurgo, presidente uscente dell'Ucei. Ma si tratta anche in questo caso di complimenti di repertorio, visto che secondo Morpurgo “è necessario andare avanti su questa strada con gesti concreti, mantenendo sempre chiaro il significato autentico di 'equivicinanza' che per noi ebrei non potrà mai essere 'equivicinanza' rispetto ad un governo come quello palestinese che non riconosce il diritto all'esistenza del partner israeliano”. Insomma, al di là del buonismo esiste la realtà: e la realtà è che non si può essere né equivicini né equidistanti tra un governo democratico e da uno composto da capi terroristi come Haniyeh. Sulla stessa linea persino l'ex presidente Amos Luzzatto, per il quale al “discorso responsabile e serio” pronunciato oggi da Prodi dovrebbero ora seguire “impegni concreti”, a partire da “un dialogo permanente tra le comunità e il governo per la prevenzione di un antisemitismo nuovo che comprende anche certe avversioni di principio nei confronti di Israele, evitando però di provvedere con la repressione a posteriori, quando il rischio già si è verificato”. Certo, ha malignato qualcuno, che se quando Prodi ha parlato di antisemitismo avesse specificato che oggi quel fenomeno in Europa è fomentato soprattutto dalle comunità del fanatismo islamico che fiancheggiano l’omonimo terrorismo, avrebbe fatto una migliore figura.
Di seguito, l'editoriale di Renzo Foa dalla prima pagina del GIORNALE:
E tre. Dopo il ritiro dall'Irak e dopo l'ambiguo compromesso nell'Unione sull'Afghanistan, Romano Prodi ha compiuto un passo indietro anche nel giudizio su Israele. Dal suo intervento al congresso dell'Unione delle comunità ebraiche, cioè un importante atto ufficiale, è infatti riemerso quel vecchio atteggiamento di equidistanza che Massimo D'Alema ha definito «equivicinanza» senza però spiegare il senso della formula. Resta cioè l'equidistanza tra una delle più vecchie democrazie del Mediterraneo, appunto quella israeliana, e un regime palestinese il cui segno è ora impresso da un movimento politico-terroristico come Hamas. Non c'è da stupirsi. Il presidente del Consiglio guida una coalizione in cui esercitano un potere d'interdizione forze e culture per le quali il terrorismo è sinonimo di resistenza e per le quali il vulnus alla pace è costituito dalla sola esistenza dello Stato ebraico e dalla politica mediorientale dell'amministrazione Bush. E se questo non bastasse, il presidente del Consiglio fu anche il presidente della Commissione di Bruxelles che formulò il pregiudizio negativo sulla «barriera difensiva», sottovalutando la minaccia costituita dalla seconda intifada. C'è dunque una continuità nella sua visione, che nelle scelte internazionali dell'Italia equivale a non distinguere tra democrazia e anti-democrazia proprio nell'area mediorientale, dove il conflitto è oggi più duro e sanguinoso. Il suo discorso di ieri Prodi avrebbe potuto pronunciarlo, negli stessi termini, dieci anni fa. Ha assicurato l'impegno «a contribuire a questa indispensabile anche se lontana pace», ma quale governo ha mai dichiarato di lavorare per la guerra? Ha detto che Israele ha il diritto di vivere in sicurezza, ma come si può omettere un riferimento che è condizione indispensabile dell'esistenza di ogni Stato? Ha aggiunto che la stella di Davide è «alla radice dell'identità europea», ma c'è bisogno di ricordare che la negazione di questo assunto storico ha prodotto una delle maggiori tragedie che il continente ha vissuto nel Novecento? Sono eterne ovvietà. Da questa genericità la politica estera italiana era uscita negli ultimi anni e il rapporto con Israele ne è stata una delle più forti testimonianze, proprio perché ha incrinato un'ideologia che privilegiava il sostegno all'indipendentismo palestinese prescindendo dalle sue intenzioni, dai suoi metodi e dai suoi valori di riferimento. Oggi questa ideologia è tornata al governo ed è successo proprio nel momento in cui, in Medio Oriente, ha ripreso forza il vecchio «rifiuto» del diritto di Israele non solo alla sua sicurezza, ma alla sua stessa esistenza. Nel 2006 c'è o no il problema rappresentato dal regime iraniano e dalla sua ambizione nucleare? C'è o no la grande questione posta da Hamas che usa nello stesso tempo la rendita di posizione palestinese e i suoi metodi terroristici? E, proprio in questi giorni, non verifichiamo sul campo come il ritiro unilaterale da Gaza, deciso da Sharon e da Olmert, non sia stato vissuto all'interno della stessa Anp come un incoraggiamento alla pace, ma come un'occasione di rivincita, con il lancio di razzi e con l'inaugurazione della strategia dei rapimenti? Per Romano Prodi, come per Massimo D'Alema, questa crisi non sembra esistere. L'equidistanza o, se si vuole, l'equivicinanza è un atteggiamento diplomatico che prescinde completamente dalla ragione fondamentale per cui Israele è bersaglio della nuova ondata fondamentalista: è una democrazia. Qui c'è il passo indietro del governo dell'Unione: esplicito sull'Irak, con il ritiro del sostegno militare alla transizione in corso a Bagdad; ambiguo sull'Afghanistan; implicito nei confronti di Israele.