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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.06.2006 Ecco a chi è affidata la politica mediorentale italiana
un'intervista a Ugo Intini

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 giugno 2006
Pagina: 13
Autore: Monica Ricci Sargentini
Titolo: ««Israele mai sicuro senza uno Stato palestinese»»

Dal CORRIERE della SERA del 29 giugno 2006 un'intervista al  sottosegretario agli Esteri per il Medio Oriente Ugo Intini.
I nostri commenti sono inseriti nel testo:
 

Un fiocco blu per il soldato israeliano rapito non se lo appunterebbe sulla giacca, come propone il quotidiano israeliano
Haaretz, «perché se uno pensa alla situazione in Medio Oriente allora dovrebbe mettersi una cravatta o un fiocco nero tutti i giorni»

giustificazione irricevibile: certo è giusto provare dolore per le vittime innocenti di entrambe le parti (ma non biasimare allo stesso modo Israele, che non colpisce intenzionalmente civili innocenti, e i terroristi), ma in questo caso si tratta di cercare di contribuire a salvare una vita, non di piangere quelle perdute 

, però Ugo Intini, viceministro degli Affari Esteri con delega per il Medio Oriente, è convinto che la strada per la pace esista e debba essere percorsa alla vecchia maniera, quella degli accordi bilaterali, senza perdere altro tempo. «Oggi — spiega — si dice di Hamas quello che si è detto per anni di Arafat: che era a capo dei terroristi e non voleva riconoscere Israele. Invece poi ci furono gli accordi di Oslo. La Storia può ripetersi».

Intini dimentica la seconda parte di quella storia: continuando con i suoi proclami di pace (in inglese) Arafat ridivenne il capo terrorista che era stato, rifiutò un accordo con Israele e interruppe le trattative, continuò con l'incitamento all'odio e alla violenza  che (in arabo) non aveva mai cessato di praticare.  

Intanto la situazione degenera. Ha ancora senso parlare di equivicinanza?

«Si è instaurata una spirale di violenza che non accenna a cessare. Ma equivicino è qualcosa che si riferisce a un sentimento molto profondo rispetto a due diritti che hanno pari dignità: quello di Israele a vivere nel suo Stato in piena sicurezza e quello dei palestinesi ad avere la loro patria. Sono due diritti che possono convivere».
Ma equivicinanza vuol dire mettere sullo stesso piano attacchi terroristici e omicidi mirati?
«Ovviamente no. Però gli omicidi mirati aumentano la spirale dell'odio e della violenza.

Non esiste nessuna spirale della violenza: i piani dei terroristi sono autonomi e aggressivi, non reattivi.
Lo dimostrano l'ideologia che li sostiene, ispirata al permanente dovere della jihad contro Israele, le ondate di attacchi successive agli spiragli di pace, i lunghi mesi di preparazione dei singoli attentati (che non possono dunque essere "reazioni" ad operazioni israeliane)


Da uno Stato democratico ci si aspetta più prudenza e moderazione di quanto ci si aspetti da organizzazioni terroristiche».

Dunque, secondo Intini, proprio perché Israele è una democrazia e Hamas un gruppo terroristico si deve giudicarla  più severamente anziché prendere partito a suo favore quando è aggredita.
Un vero trionfo dell'ipocrisia !

Alcuni esponenti dell'Unione chiedono al governo un maggiore sostegno a Israele sulla vicenda del rapimento del caporale Gilad Shalit. La tutela di Israele, dicono, va considerata il bene primario. È d'accordo?

«Sul caso del soldato non si può non sperare che egli abbia salva la vita e qualunque cosa venga fatta per raggiungere quest'obiettivo è giusta. Quanto alla tutela di Israele: certo è un bene primario e irrinunciabile ma non è il solo perché c'è un altro diritto che è quello del popolo palestinese. Come dimostra la realtà la sicurezza di Israele non è garantita senza il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere uno Stato.

Israele é favorevole alla nascita di uno Stato palestinese, che sarebbe già sorto se i gruppi terroristici non continuassero la loro aggressione.
L'equazione di Intini è dunque smentita dai fatti.


Noi siamo profondamente addolorati che gli israeliani non si sentano al sicuro nelle loro case ma il bene primario di Israele è legato al bene primario dei palestinesi. Questi due diritti sono speculari».
Rimane il fatto che Hamas non ha ancora riconosciuto Israele.
 «Se la Storia insegnasse qualche cosa Hamas riconoscerebbe lo Stato di Israele come ha fatto l'Olp di Arafat. Purtroppo le cose si fanno sempre con anni e fiumi di sangue di ritardo».
L'Italia che ruolo può avere?
«L'Italia, come l'Europa, ha sempre avuto una posizione aperta sia verso Israele che verso il mondo arabo. Non a
caso gli accordi di Oslo sono nati in Europa anche grazie all'intervento dell'Internazionale socialista dove ci sono i laburisti israeliani ma anche i palestinesi di Fatah».

Ma dopo il fallimento di quelli accordi l'Europa è diventata irrilevante perché non ha saputo prendere atto del fatto che la  dirigenza palestinese li aveva violati e non era interessata alla pace.
Sarebbe il caso di non ripetere quell'errore. 

La situazione attuale secondo lei è la dimostrazione che il ritiro unilaterale da Gaza non ha funzionato?

«La diplomazia europea è sempre stata convinta che la road map vada proseguita con accordi bilaterali, non atti unilaterali. La pace si consegue attraverso una trattativa e un accordo tra le parti. Certo la vittoria di Hamas complica le cose ma l'alternativa è un bagno di sangue».

L'unilateralismo è per Israele una scelta obbligata dall'assenza di un'interlocutore credibile, resa particolarmente evidente proprio dalla recente offensiva di Hamas e dall'incapacità di Abu Mazen di fermarla

Ma l'ex premier Sharon e, Olmert dopo di lui, hanno preso la strada del ritiro unilaterale come ultima ratio di fronte a una situazione di stallo. Non è d'accordo?

«Un ritiro parziale è sempre meglio di nessun ritiro ma l'idea di ritirarsi da Gaza e di costruire poi un muro che divida fisicamente le due popolazioni non è la miglior soluzione. Un muro tra l'altro che non assomiglia al muro di Berlino perché quello era costruito al confine tra i due Stati e questo invece è costruito dentro il territorio altrui».

Meglio il muro di Berlino dunque, che segnava il confine "tra due stati" (che importa se uno dei due era un protettorato sovietico che assoggettava un parte della Germania a un regime totalitario) che la barriera di sicurezza israeliana costruita "dentro il territorio altrui"( affermazione contestabilissima, dato che uno stato palestinese non è mai esistito e  Israele nel 48 e nel 67 ha conquistato territori vincendo guerre difensive) .
Meglio il muro che serviva a tenere un popolo in prigione che il "muro" che serve a salvare vite umane dal terrorismo.
Parole che spiegano abbastanza chiaramente che cosa si intende quando a proposito del conflitto mediorientale si invoca contro Israele il "diritto internazionale".
Si intende dire che ci si deve rifare a "leggi" e  risoluzioni (o alla loro truffaldina interpretazione) fatte su misura per dittature , totalitarismi e gruppi terroristici.

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