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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.06.2006 Israele, ecco come funziona una democrazia
Una grande lezione che dovrebbe aprire gli occhi a chi sragiona

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 giugno 2006
Pagina: 20
Autore: Davide Frattini
Titolo: «"Basta attacchi su Gaza", nuova sfida degli obiettori»

Se Israele può essere definito una grande democrazia, pur essendo la sua dimensione geografica molto piccola, dipende anche  da notizie come quella che segue, uscita oggi 24/06/2006, sul CORRIERE della SERA a firma di Davide Frattini. In una democrazia vera e compiuta si devono poter esprimere consenso e dissenso. E' quello che avviene in Israele. Ecco l'articolo:

GERUSALEMME — Dal «coraggio di rifiutarsi» al «coraggio di disubbidire». Per la prima volta l'organizzazione degli obiettori israeliani lancia un appello ai militari perché si ribellino agli ordini. Con un annuncio a pagamento sul quotidiano Haaretz:
«Noi ufficiali e soldati delle Forze di difesa israeliane, che abbiamo combattuto per anni in diversi fronti e che abbiamo perso amici nelle guerre per difendere la nostra patria, chiediamo di fermare gli attacchi che hanno già ucciso decine di civili nella Striscia di Gaza. Bombardare l'area con la più alta densità di popolazione al mondo è un crimine di guerra e gli ordini sono illegali».
L'associazione (raggruppa i militari che si rifiutano di servire nei territori palestinesi) è tornata a farsi sentire a quasi un anno dal ritiro unilaterale da Gaza, dopo una serie di operazioni che hanno coinvolto e ucciso trentuno civili. Ma mille razzi Qassam sparati in questi mesi dal nord della Striscia verso le città israeliane hanno eroso la solidarietà verso i palestinesi anche in parte della sinistra.
Nella stessa pagina dell'appello,
Haaretz pubblica un'analisi di Yoel Marcus, che ha sostenuto il piano di disimpegno e ha sempre simpatizzato con il movimento dei refusnik tra i soldati. «Finita l'occupazione di Gaza — scrive —, sarebbero dovuti finire anche i razzi. Se non altro, per incoraggiare Israele ad altri ritiri. Le speranze che i palestinesi costruissero nelle zone sgomberate case per i rifugiati sono andate deluse. Quelle aree sono state trasformate in campi di addestramento militare. I palestinesi devono comprendere che se i nostri cittadini saranno oggetto di tiri indiscriminati, anche i loro cittadini rischiano di essere oggetto di attacchi».
Nel commento intitolato «Occhio per occhio», Marcus critica anche il vicepremier Shimon Peres, che aveva minimizzato con una battuta la minaccia dei Qassam, invitando gli abitanti di Sderot «a non lasciarsi andare a reazioni isteriche»: «Il premio Nobel vive in una bolla. Non è mai stato in battaglia o sotto il fuoco di mortai. Quando si viaggia in auto blindate, circondati da guardie del corpo, è facile dire agli altri di non farsi prendere dal panico. Peres dimostra solo quanto viva in un mondo separato dalla gente».

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lettere@corriere.it

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