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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.06.2006 Rinunciare a parte della patria degli ebrei per costruire uno Stato più forte
il futuro di Israele secondo Meir Shalev

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 giugno 2006
Pagina: 21
Autore: Meir Shalev
Titolo: «Meno patria in cambio di uno Stato migliore»
Un editoriale di Meir Shalev, pubblicato dal CORRIERE della SERA del 21 giugno 2006:

Ho visitato la Giordania più d'una volta da quando è stato firmato l'accordo di pace con Israele. Il viaggio in un Paese vicino, che per qualsiasi europeo è una cosa molto normale, mi procura ogni volta una rinnovata gioia. La guardia di frontiera giordana mi timbra il passaporto israeliano, io attraverso il confine e viaggio in un Paese che un tempo era nemico.
La Giordania mi interessa molto. Fa parte della mia patria storica. E' lì che nacquero il profeta Elia e Mosè. E' lì che Giacobbe lottò con l'angelo. Ruth la Moabita veniva da lì e diede alla luce il nonno di re David. Vado in tutti questi luoghi e leggo le relative pagine della Bibbia ebraica. Dopodiché, però, riattraverso il confine, esibisco il passaporto e torno a casa, nel mio Stato, in Israele.
Ci sono israeliani che la pensano diversamente. Secondo loro, tutti i luoghi in cui vissero e morirono Giacobbe ed Elia ci appartengono ancora. E oggi, quando si tratta di discutere dei problemi di disimpegno, convergenza e restituzione dei territori non sono disponibili a rinunciare alla loro prossimità alle tombe di Rachele o alla valle dove passò Davide per incontrare Golia.
La nostra antenata Rachele mi è molto cara, ma non ho bisogno della sovranità nazionale sulla sua tomba. Posso visitarla quando vado in Giordania, esibendo il mio passaporto israeliano in frontiera e andando là. Perché se anche la tomba di Rachele fa parte della «terra dei nostri padri», della mia patria spirituale, non deve necessariamente far parte del mio Stato.
Lo Stato di Israele e la «terra dei nostri padri» non sono la stessa cosa, maa molte persone la differenza non è chiara. Lo Stato è uno strumento di gestione: con considerazioni pragmatiche, confini legali e politiche proprie. La patria no. La patria è un'idea storica e spirituale, e coloro che la amano sono inclini al sentimentalismo e all'estremismo. In Medio Oriente, però, c'è un'altra differenza. I cittadini dello Stato sono esseri viventi. I cittadini della patria, invece, sono per lo più morti. Ma la loro influenza è di gran lunga maggiore. E così, per me e per il resto dei cittadini di Israele è difficile competere con Re David, Gesù, nostra madre Rachele e Saladino. E' difficile per le nostre case competere con le loro tombe. Ecco perché dobbiamo essere risoluti e forti. Dobbiamo capire che la prossima generazione, come ogni generazione, avrà il diritto di decidere in quale Stato e in base a quali confini è disposta e in grado di vivere. E così, dopo un quarantennale conflitto di belligeranza e stupidità, Israele ha finito per capire che deve restituire i territori conquistati con la Guerra dei Sei Giorni (1967). Rinunciamo a una parte della nostra patria per avere uno Stato migliore e più normale. Legato a tutto questo c'è un ulteriore aspetto: la maggior parte della nostra storia ha avuto luogo senza uno Stato ma con una patria. Una patria molto forte, virtuale. Uno dei suoi simboli, il luogo di sepoltura di Rachele, è diventato un luogo reale, un oggetto di amore e di desiderio. Ora, con il nostro ritorno in quel luogo, è diventato un bunker fortificato, circondato da posti di guardia, checkpoint, riflettori e soldati. E' ora di decidere se questa è la Rachele che ci interessa. E' ora di decidere se la proprietà della sua tomba giustifichi i sacrifici che abbiamo fatto e continueremo a fare.
Dopo la distruzione del Primo Tempio e la dispersione nella Diaspora, il profeta Geremia scrisse: «S'è udita una voce in Rama, un lamento, un pianto amaro; Rachele piange i suoi figli». Da allora sono passati 2.500 anni, e fra noi c'è ancora chi vuole che Rachele continui a piangere. Ma questa volta piange i figli che moriranno per mantenere la sua tomba fortificata nell'ambito di Israele.

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