Dal CORRIERE della SERA del 14 giugno 2006 riportiamo la cronaca di Davide Frattini sul tragico esito di un 'operazione antiterroristica israeliana.
Nel testo abbiamo segnalato le spiegazioni fornite dai militari israeliani, riportate in modo sintetico e chiaro dal cronista.
GERUSALEMME — L'intelligence segnala un furgoncino giallo. Percorre via Sallah a-Din a Gaza e trasporta razzi Grad, che con quattordici chilometri di gittata possono colpire Ashkelon o la sua centrale elettrica. Dall'elicottero i piloti sparano un primo missile, che sfiora l'obiettivo senza neutralizzarlo. C'è l'ordine per un secondo attacco, ma attorno al furgone si è già raccolta una piccola folla, sono arrivati anche gli infermieri.
L'esplosione colpisce in pieno i passanti: undici morti, otto civili e i tre miliziani della Jihad islamica.
«Con i loro telescopi i piloti israeliani possono vedere anche le formiche — accusa Ayman Mughrabi, fratello di Ashraf, un barbiere morto assieme al figlio di 10 anni e al nipote di 7 — eppure quando si tratta delle vite dei palestinesi la loro tecnologia sofisticata cessa di funzionare». Gli esperti militari hanno spiegato che nel momento in cui il razzo è in volo l'elicotterista non può distruggerlo e cercare di deviarne la traiettoria rischierebbe di causare ancora più vittime. Tra il primo e il secondo missile — hanno commentato dal quartier generale Kiriya, il Pentagono israeliano — sarebbe passato un minuto e le persone attorno al furgone sarebbero state avvistate solo sette secondi prima dell'impatto.
Il ministro della difesa Amir Peretz ha espresso rammarico per il coinvolgimento di civili ma ha accusato «i militanti che si muovono in zone abitate, sapendo che così mettono in pericolo la popolazione». Il presidente Abu Mazen ha replicato accusando Israele di «terrorismo di Stato»: «Stanno cercando di cancellarci, ma noi rimarremo nella nostra terra, dove vogliamo vivere in pace». La Jihad islamica ha minacciato nuovi attacchi suicidi: «Oggi noi diciamo addio ai nostri martiri, domani gli israeliani seppelliranno i loro morti».
Peretz ha anche reso noti i risultati dell'indagine sulla strage della spiaggia, quando venerdì otto palestinesi erano morti in un esplosione. Lo Stato maggiore ha escluso che si possa trattare di un colpo di artiglieria sparato da Tsahal. L'inchiesta ipotizza che a saltare sia stata una mina piazzata sotto la sabbia da Hamas per fermare le incursioni dal mare dei commando della marina. Ipotesi che Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, ha definito «bizzarra».
Durante la sua visita a Londra, Ehud Olmert ha detto ai parlamentari britannici che Israele non si ritirerà mai da tutta la Cisgiordania, perché i confini del 1967 non sono difendibili. Il premier ha parlato di un ritiro dal 90 per cento dei territori, mentre le aree rimanenti verrebbero discusse in un negoziato.
Il governo israeliano sarebbe pronto a trasformare il piano unilaterale in un'iniziativa da concordare con il presidente Abu Mazen. Il progetto alternativo — rivelato dal quotidiano
Haaretz — permetterebbe la nascita di uno Stato palestinese con confini provvisori fino a un accordo di pace.
Dal GIORNALE , la cronaca di Gian Micalessin.
Nel testo abbiamo sottolineato un passaggio cruciale, dal quale emerge che le affermazioni dell'Esercito israeliano sugli eventi non sono fondate sul nulla, ma su registrazioni video dell'intera operazione.
Abbiamo anche sottolineato il racconto della morte di due bambini, perché la ricostruzione di altri giornali è sensibilmente diversa: i bambini, in queste ricostruzioni, sarebbero morti in casa (AVVENIRE e La PADANIA) o sul tetto della loro abitazione (IL MESSAGGERO)
Ecco il testo:
«Fermate a tutti i costi il furgone giallo». L'ordine scatta prima di mezzogiorno e non ammette tentennamenti. Le informazioni arrivano da Gaza. Parlano chiaro. Sul camioncino già in marcia non ci sono i soliti Qassam, ma missili Grad da 122 millimetri. Sono katyusha, ben più precisi dei cento e passa Qassam caduti su Israele in quattro giorni di diluvio. Missili micidiali per colpire e far strage a venti chilometri di distanza. Chi li porta al lancio è Hamoud Wadiya, è il più esperto «tiratore» della Jihad Islamica. Quando il collimatore digitale aggancia il furgone giallo, Hamoud e il suo secondo sono tra la folla del quartiere di Zeitun, oltre il centro di Gaza. Il primo missile colpisce il marciapiede, Hamoud accelera, si butta fuori strada, finisce tra le case e la folla. Il barbiere Ashraf al Mughrabi è in ritardo. Ha portato i figli sul tetto, li ha fatti giocare con l'aquilone, ha discusso con la madre. Ora corre verso la porta divelta. I figli sono scesi. Urlano terrorizzati. Ne afferra uno. «Non piangere. Vieni dentro». Agguanta l'altro. Una sirena è gia vicina. Barellieri e infermiere saltano giù. Una calca curiosa spinge, s'accalca per vedere. A quattro minuti esatti dal primo boato l'inferno ridiscende in terra. Il missile stavolta non sbaglia, penetra l'obiettivo giallo. Esplode. Ashraf e il suo bimbo di 13 anni cadono insieme. A pezzi. Nella stessa pozza di sangue. Il secondo è più in là. Dilaniato. Barellieri e infermiere volano via spazzati dalla vampata di fuoco e schegge. Il bomber Hamoud Wadiya e il suo secondo rimasti a vegliare sul loro carico tanto speciale s'inceneriscono al sole. Tutt'intorno sangue, corpi dilaniati, urla disperate, dolore attonito. Nove cadaveri di troppo oltre al «bomber» e al suo secondo. Una ventina i feriti. Troppi anche per un raid giustificato. La verità fa male, ma non si può negare. È registrata nel video del velivolo che ha messo a segno l'operazione. Il generale Gadi Eisencott, capo delle operazioni dell'esercito israeliano, e i suoi collaboratori l'hanno appena visionato. Ammettono. Il secondo razzo è partito quattro minuti dopo. In quel momento la telecamera non permette di valutare la folla in arrivo. Se ne accorgono mentre il razzo è in volo. Potrebbero deviarne il corso, ma rischiano di colpire ugualmente dei civili. Il missile viene lasciato andare. La strage non voluta, ma terrificante, avviene sotto l'occhio delle telecamere della sala operativa. «Esprimiamo profondo rammarico per l'incidente - sibila il generale Eisencott - siamo tenuti a garantire la sicurezza di tutti i cittadini d'Israele. Lo facciamo e continueremo a farlo». Stessa identica fermezza nelle parole del ministro della Difesa laburista Amir Peretz, che un'ora prima del sanguinoso raid ha annunciato la fine della parziale sospensione delle operazioni deciso dopo la strage della spiaggia di venerdì scorso. «Nessuna considerazione potrà rimpiazzare il nostro dovere di proteggere i cittadini d'Israele. Nessuno si consideri al sicuro qualsiasi sia il suo nome titolo o organizzazione». Qualche ora dopo il ministro esprime nuovo cordoglio, nuovo dispiacere. Ma per il presidente palestinese Abu Mazen quello è «terrorismo di stato, brutale massacro di civili». Per la Jihad Islamica un altro pretesto per una «durissima risposta». Israele ha condotto ieri anche un altro raid alla periferia di Gaza, a Beit Lahya. Non risulta che ci siano vitime. Intanto i primi responsi dell'inchiesta sulla strage della spiaggia di Sudanya, venerdì scorso, sembrano risollevare l'onore e il morale degli israeliani. Gli esperti dell'esercito, dopo aver controllato le schegge estratte dai corpi dei civili palestinesi trasferiti in ospedali israeliani, sono certi si tratti di una mina di Hamas. «Abbiamo abbastanza prove secondo cui non è corretto attribuirci la colpa di quanto avvenuto», sentenzia Amir Peretz. La strage del quartiere di Zeitung non attenua lo scontro intestino tra Hamas e Fatah. Mohammed Dahlan, consigliere di Abu Mazen, accusa Hamas di «crimini contro il popolo palestinese e incapacità di gestione del potere» e liquida come «un segno del fallimento» le accuse a Fatah di esasperare il conflitto. «Hamas - dice Dahlan - cerca qualcuno da accusare per il suo insuccesso
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