Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Davide Frattini - la redazione Titolo: «Scontri tra palestinesi A fuoco il Parlamento - Hamas incrudelisce il fronte di guerra contro Israele»
Una cronaca di Davide Frattini dal CORRIERE della SERA di martedì 13 giugno 2006:
GERUSALEMME — «Ogni volta che toccano uno dei nostri a Gaza, prenderemo dieci di loro in Cisgiordania». Gli uomini della sicurezza palestinese fedeli ad al Fatah hanno risposto a distanza ai rapimenti lampo di Hamas. A Ramallah, hanno sequestrato brevemente il deputato Khalil Al-Rabai, hanno assaltato e dato fuoco al Parlamento e al piano dove si riunisce il Consiglio dei ministri nel palazzo del governo. Il presidente Abu Mazen ha dichiarato lo stato d'allerta e dispiegato i suoi poliziotti a Rafah, all'estremo sud della Striscia, dove nel pomeriggio un miliziano e un passante erano rimasti uccisi negli scontri. Per protesta in seguito alle violenze, Joudeh Mourqos, ministro del Turismo e unico esponente cristiano nel governo Hamas, si è dimesso. Mentre le fazioni si fronteggiano in strada con i Kalashnikov, il leader della Muqata e il premier Ismail Haniyeh stanno cercando di raggiungere un accordo per ritrovare l'unità. Hamas aveva convocato i deputati per respingere con un voto il referendum sul documento dei prigionieri, annunciato dal raìs per il 26 di luglio. Il movimento fondamentalista ha la maggioranza in Parlamento e vuole dichiarare illegale la consultazione: per ora è stato deciso di rinviare la decisione al 20 di giugno e permettere ai negoziati tra i due gruppi di andare avanti. «Anche se il referendum si farà — ha detto Moussa Abu Marzuk, portavoce dell'organizzazione da Damasco — Hamas non ne riconoscerà il risultato. E in ogni caso faremo di tutto per bloccarlo». Abu Mazen ha deciso di scommettere sul piano elaborato da Marwan Barghouti con altri leader nelle carceri israeliane (che poi si sono dissociati) per dimostrare al movimento fondamentalista di essere più popolare. Una vittoria del sì al referendum (e al progetto di una nazione palestinese nei confini del 1967) non avrebbe implicazioni sui negoziati con Israele, ma garantirebbe al presidente un mandato per aprire il dialogo, malgrado Hamas continui a non riconoscere lo Stato ebraico e non accetti gli accordi firmati in passato. La linea più oltranzista all'interno del gruppo che ha vinto le elezioni di gennaio è rappresentata dai leader all'estero. Sarebbero loro, dalla Siria, a spingere perché l'ala militare riprenda gli attacchi suicidi contro Israele. A Gaza, i dirigenti temono le rappresaglie israeliane: ieri Tzahi Hanegbi, presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset, non ha escluso che Haniyeh possa essere il bersaglio di un omicidio mirato. «Yassin e Rantisi ti stanno aspettando — ha detto riferendosi ai due capi di Hamas eliminati tra marzo e aprile del 2004 —. Se adotterai la stessa strategia, attacchi contro gli ebrei e kamikaze per paralizzare la nostra società, farai la stessa fine». Il premier Ehud Olmert — a Londra per incontrare Tony Blair — non ha confermato la minaccia diretta del compagno di partito ma ha lasciato intendere che anche i ministri del governo palestinese possono essere nel mirino. L'ala militare di Hamas ha rotto la tregua sottoscritta nel febbraio 2005 rivendicando i lanci di razzi Qassam che stanno colpendo le città israeliane attorno alla Striscia.
Dal FOGLIO del 13 giugno:
Gerusalemme. In Israele l’allerta è tanto grande da essere visibile. Le pattuglie della polizia e le camionette dell’esercito sono ovunque: lungo le arterie principali del paese, nella capitale, per le strade di Tel Aviv. Fermano e controllano chi è in automobile, a piedi, in bicicletta. Le minacce di Hamas risuonano nell’aria: il movimento islamico ha detto che scatenerà la sua rabbia contro le “città sioniste”, dopo che – venerdì – sette civili palestinesi sono stati uccisi su una spiaggia di Gaza, presumibilmente da bombardamenti di Tsahal, anche se è in corso un’inchiesta perché potrebbe essersi trattato di un razzo Qassam palestinese fuori mira. Termina così ufficialmente la cosiddetta “tregua” sancita nel febbraio 2005 da parte di Hamas. In realtà tale “calma” è stata già interrotta più volte dal lancio di missili contro Israele e dalla tacita accettazione di attacchi suicidi compiuti in questi mesi da altri gruppi palestinesi. Ma nelle ultime ore piovono razzi, la cittadina di Sderot, nel Negev, è colpita di continuo. Israele teme il ritorno alla stagione degli attacchi suicidi, al terrore nei bar, nei ristoranti, sugli autobus, in un momento in cui il paese, metabolizzata la strategia dell’unilateralismo ereditata dall’ex premier, Ariel Sharon, assaporava una ritrovata normalità. In molti, però, hanno rifiutato di annusare il pericolo e hanno preferito rimanere ancorati alla consuetudine ritrovata. La massiccia presenza delle forze dell’ordine non è bastata a far percepire un nuovo rischio agli israeliani. Sabato sera, nonostante l’allerta, nonostante l’incessante ripetersi dei notiziari che raccontavano come Hamas fosse pronto a riprendere gli attentati, la Coppa del mondo di calcio ha riempito le stradine e i bar del centro, attrezzati con maxischermo, a un passo da Jaffa Road. L’offensiva di Hamas non si ferma, anche perché è l’ultima occasione che ha il movimento islamico per evitare lo scontro diretto con il presidente dell’Anp, Abu Mazen. Il leader di Hamas a Damasco, Khaled Meshaal, ha difeso la decisione del gruppo di riprendere gli attacchi. “Il confronto tra Israele e Hamas è inevitabile”, ha dichiarato il presidente della commissione Difesa e Affari esteri della Knesset, il Parlamento israeliano, Tzachi Hanegbi. Poi ha minacciato il premier palestinese, Ismail Haniye, leader del gruppo islamico: se Hamas riprenderà gli attacchi, sappia che lo sceicco Ahmed Yassin e Abdel Aziz al Rantissi (due storici leader del movimento, uccisi in due attacchi mirati israeliani nel 2004, ndr) lo stanno aspettando.
Avineri: “E’ il Rubicone dei palestinesi” Non è soltanto Israele a temere i prossimi passi del gruppo di maggioranza palestinese. Hamas è costretto a sfidare come può la disperata audacia del rais Abu Mazen, che ha fissato per il 26 luglio la data per un referendum sul documento di alcuni palestinesi detenuti nelle carceri israeliani che implicitamente riconosce l’esistenza d’Israele. Ieri, ci ha provato opponendosi attraverso le vie parlamentari – detiene al Consiglio legislativo 74 dei 132 seggi – al decreto presidenziale. Poi, all’ultimo, il voto è stato rinviato al 20 luglio, nella speranza che intanto il rais cambi idea o che l’invocazione alla lotta contro Israele abbia i suoi effetti. Contestare la legalità della decisione di Abu Mazen non serve ad altro che inasprire la lotta di potere tra le fazioni armate, nella Striscia di Gaza. A Rafah alcuni miliziani di Hamas hanno sparato su una sede di Fatah (due vittime). Il rais ha dichiarato un nuovo “stato d’allerta” nei Territori, le truppe dell’Anp sono scese per strada e ieri sera in serata hanno assaltato la sede del premier di Hamas, a Ramallah. La strategia dell’annuncio della ripresa degli attacchi contro Israele è l’arma del movimento islamico per isolare Abu Mazen – già solitario – ed evitare il referendum. Nuovi attentati provocherebbero risposte militari dell’esercito israeliano contro i gruppi armati, compattando l’opinione pubblica interna palestinese attorno al governo di Hamas. “Era chiaro fin dal primo giorno dopo l’elezione del gruppo per la resistenza islamico: la situazione sarebbe stata destabilizzata. Era soltanto questione di tempo – spiega al Foglio Shlomo Avineri, professore di Scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme ed ex direttore generale del ministero degli Esteri israeliano – Hamas è contro ogni stabilità”. E’ una tattica. Non sa, Avineri, non può prevedere se l’organizzazione porterà realmente a termine attacchi, nelle prossime ore, nei prossimi giorni, sul territorio israeliano. “L’unica cosa sicura è che se si ha un’organizzazione terroristica si può essere certi che questa non cambierà”. Secondo il professore israeliano la natura intrinseca del movimento terroristico non può cambiare, neppure se costretto nella quotidianità della gestione di potere, neppure se millanta “tregue” che non vuole rispettare. E’ condannato a essere fattore d’instabilità. Lo sa bene il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, quando dice che il paese è pronto a dialogare con il rais Abu Mazen, ma che un accordo con i palestinesi “non è realistico” finché ci sarà Hamas, un gruppo terroristico, al potere. “Finché Fatah (il partito del rais Abu Mazen, ndr) era in carica – spiega Avineri – sapevamo che non era possibile arrivare a negoziati, ma eravamo certi che passi unilaterali sarebbero stati possibili e utili. La situazione, con Hamas al governo, si complica proprio a causa del fattore destabilizzante che il potere del gruppo islamico mette in gioco. Nel momento in cui ha vinto le elezioni legislative, in molti hanno avuto dubbi sulla possibilità di un pacifico passaggio di potere. Le lotte intenstine e l’instabilità interna ai Territori complicano l’organizzazione di un ritiro da parte della Cisgiordania; non per questo arrestano la sua organizzazione”.
Il viaggio europeo del premier israeliano Anche il premier israeliano, Ehud Olmert, ha espresso il suo scetticismo nei confronti di Abu Mazen, l’unico interlocutore credibile per Israele e per la comunità internazionale ma al momento incapace di contenere le minacce di Hamas. Per questo Olmert, in viaggio in Europa (Inghilterra, Francia e Germania) ha messo a punto ancor più nel dettaglio il suo piano di converenza, il ritiro unilaterale da parte della Cisgiordania. Al premier inglese, Tony Blair, Olmert ha spiegatao l’incidente della spiaggia di Gaza, l’inchiesta aperta dall’esercito israeliano, i punti del suo piano di convergenza e la conseguente ridefinizione dei confini dello stato d’Israele. Il premier britannico ha insistito, come aveva fatto il presidente americano, George W. Bush, affinché Olmert non lasci intentata la via del negoziato, ma ha poi promesso l’appoggio della comunità internazionale: “O faremo dei negoziati una realtà o creeremo una nuova realtà”. Israele va avanti nella sua strategia. “Quel che conta è avere una visione, non essere attaccati alle singole notizie del giorno – dice Avineri – Quello che è accaduto nelle scorse ore non avrà effetto sulla strategia di Olmert. Il disimpegno da Gaza è stato il passaggio del Rubicone per gli israeliani, ma anche per i palestinesi”. Hamas lo sa e invoca l’arma della violenza per mettere a tacere Abu Mazen e ricompattare i palestinesi al suo fianco, contro Israele.
Di seguito, una sintesi del documento dei 18 punti elaborato dai capi terroristi palestinesi in prigione, base del referendum proposto da Abu Mazen. Pubblicato ancora dal FOGLIO
1. Costituzione di uno stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme sui territori occupati nel 1967 e introduzione del diritto al ritorno dei rifugiati. 2. Integrazione di Hamas e del Jihad islamico nell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). 3. Diritto alla resistenza all’occupazione di Israele dei territori di cui lo stato ebraico si è impadronito nel 1967. 4. Formulare un programma politico di consenso nazionale per mobilitare tutto il mondo arabo, islamico e internazionale per la causa palestinese. 5. Consolidare l’Autorità palestinese come nucleo di base del nuovo stato. 6. Formare un governo di unità nazionale al quale partecipino tutte le fazioni. 7. L’Olp e il presidente dell’Anp, Abu Mazen, saranno incaricati di gestire i negoziati di pace con Israele. 8. Liberazione di tutti i prigionieri palestinesi detenuti da Israele. 9. Aiuto ai rifugiati. 10. Costituzione del Fronte per la resistenza palestinese per coordinare la lotta all’occupazione. 11. Sostenere le elezioni e una vita politica democratica. 12. Condannare l’assedio dei palestinesi da parte di Israele e degli Stati Uniti. 13. Promuovere l’unità nazionale sostenendo l’Anp, il presidente, l’Olp e il governo. 14. Vietare l’uso di armi nei conflitti interni e rinunciare alle divisioni e alla violenza interpalestinese. 15. Accrescere la partecipazione della popolazione della Striscia di Gaza, in modo che sia d’aiuto per la liberazione della Cisgiordania e di Gerusalemme. 16. Riformare e sviluppare le forze di sicurezza. 17. Adottare leggi per riorganizzare le forze di sicurezza e vietare ogni attività politica a chi lavora nei servizi di sicurezza. 18. Aiutare i gruppi di solidarietà che, nel mondo, lottano contro l’occupazione israeliana, gli insediamenti della popolazione ebrea e il “muro dell’apartheid”.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alle redazioni del Corriere della Sera e del Foglio