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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
09.06.2006 Al Zarqawi ucciso in un raid aereo
le analisi di Fiamma Nirenstein e del quotidiano diretto da Giuliano Ferrara

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein - la redazione
Titolo: «La soffiata partita da Amman - La fine di uno jihadista»

Da La STAMPA di venerdì 9 giugno 2006, l'analisi di Fiamma Nirenstein sulla morte del terrorista di Al Qaeda Al Zarqawi :

Zarqawi, da Amman ti diciamo: sei un codardo». Così gridava la folla nel novembre dell’anno scorso dopo l’attentato dell’Hotel Radisson. Un matrimonio a cui Zarqawi, palestinese giordano, aveva mandato a farsi saltare per aria Hussein Ali al Shamari, addirittura uno dei suoi luogotenenti preferiti. Dopo gli attentati che avevano ucciso 60 persone, il braccio destro di Bin laden si era giustificato: «Fratelli giordani, chiediamo pietà a Dio per i musulmani periti nell’attacco, non erano i nostri obiettivi». Poco dopo Al Zarqawi fece sapere, e ci si può fidare delle sue intenzioni dato che ha decapitato personalmente almeno due dei suoi prigionieri, che aveva intenzione di decapitare il re Abdullah. «Non sfuggirai al tuo fato, tu discendente di traditori», aveva proclamato al Zarqawi. E aveva aggiunto perché non ci fossero dubbi: «Ti raggiungeremo e ti mozzeremo il capo». I giordani erano ideologicamente - in quanto ritenuti apostati, e strategicamente forse gli unici ad avere un’autentica politica moderata oltre che essere in pace con Israele - un obiettivo dell’odio di Zarqawi, e la distruzione della dinastia ashemita era una pedina importante nella sua strategia di sovvertimento del Medio Oreinte intero.
Dunque, oltre al presidente George W.Bush, i più soddisfatti al mondo per la morte di al Zarqawi sono senz’altro i giordani; ma anche gli israeliani sono in prima fila perché lui aveva in animo la distruzione dello Stato ebraico, fatto che a Bin Laden importa relativamente. Bin Laden ha sempre visto come suo compito principale portare l’attacco in Occidente; invece Zarqawi, assieme ad al Zawahiri con cui aveva avuto uno scambio di lettere per definire la nuova strategia «dei quattro stadi» che mette al centro l’Israele, passando per la distruzione del regime apostata di re Abdullah, era convinto che per conquistare il mondo con l’Islam fosse opportuno passare prima dal Medio Oriente.
Il disegno di Zarqawi era quello di circondare Israele e farne l’oggetto di un attacco definitivo e vittorioso. Il due marzo è stato Mahmoud Abbas, il presidente palestinese, a denunciarlo al mondo sul giornale Al Hayat che esce a Londra: «Abbiamo segnali della presenza di Al Qaeda in Cisgiordania». Il 28 settembre Aaron Zevi «Farkash», capo dell’Intelligence militare israeliana, aveva confermato: «Al Qaeda è a Gaza». Due mesi fa Zarqawi aveva lanciato ufficialmente la sua campagna mediorientale dichiarando che i due missili Katiusha partiti dal Sud del Libano il 27 dicembre erano stati lanciati in Israele da Al Qaeda. «I missili sono soltando l’inizio di un benedetto attacco in profondità contro il nemico sionista», aveva chiarito Al Zarqawi. Zawahiri in un messaggio video di marzo aveva incitato Hamas a «distruggere Israele», e aveva chiarito che un mega attacco contro lo Stato ebraico fosse in preparazione. Sembra che ci abbiano pensato i giordani a sventare, con l’aiuto decisivo americano, un «11 di settembre» mediorientale.

Di seguito, l'editoriale del FOGLIO:

Al Zarqawi è stato “terminated”, ha orgogliosamente annunciato ieri mattina il primo ministro iracheno. Ottimo, fantastico, meraviglioso, ma la battaglia purtroppo non è ancora terminata. La guerra contro gli stragisti di Allah continua come e più di prima – e poco importa, come ha detto ieri Donald Rumsfeld, che il governo italiano abbia deciso di abbandonarla. E’ giusto e comprensibile che i padri fondatori del nuovo Iraq (e chi li ha aiutati ad abbattere il loro torturatore) siano felici per la soppressione del capo di al Qaida in Iraq, ma non bisogna dimenticarsi della lezione del 13 dicembre 2003. Quel giorno il proconsole americano a Baghdad, Paul Bremer, si presentò in diretta televisiva e disse: “Ladies and gentlemen, we got it”, “Signore e signori, l’abbiamo preso”. Era stato catturato Saddam Hussein, un colpo mica male alla cosiddetta resistenza fascista e assassina che voleva fermare la transizione democratica dell’Iraq a colpi di mortaio. I nostalgici del dittatore si sono sporcati le mani di sangue e certo non sono riusciti a bloccare il processo democratico iracheno, ma l’immagine del loro duce in schiavettoni non ha moderato l’ideologia totalitaria e nichilista che li muoveva e li muove ancora oggi.
La morte di Zarqawi è un bene per il mondo arabo e islamico, ma non è ancora una liberazione dalla guerra santa. Non lo è nemmeno per noi generali o pacifisti in poltrona. Oggi sui giornali italiani leggeremo molte dichiarazioni entusiastiche per la fine di Zarqawi o forse soltanto frasi imbarazzate. Certamente non mancheranno le analisi dei soliti azzeccagarbugli che racconteranno come la sua uccisione in realtà costituisca una sconfitta per gli americani, mentre sono state già diffuse le prime comiche dichiarazioni di chi spiega che l’eliminazione di Zarqawi dimostra che la guerra non serve perché il terrorista è stato individuato dai servizi segreti, dimenticandosi però di quel piccolo particolare costituito da due bombe di precisione da 227 chili ciascuna sganciate dagli F-16 americani.
Il punto è che in occidente non si è mai organizzata una marcia o una protesta contro Zarqawi, piuttosto si è preferito giustificare le sue stragi, comprendere le sue ragioni, accusare chi lo stava combattendo. Il punto è che nel mondo islamico, Zarqawi non è un corpo estraneo, un incubo scacciato definitivamente ora che i caccia americani l’hanno ucciso. Il punto è come combattere il terrorismo e quale strategia opporre all’islamismo omicida. George Bush, Tony Blair, e finanche Silvio Berlusconi, un’idea ce l’hanno avuta. Ed è quella per cui ieri mattina, a Baghdad, un premier eletto democraticamente ha potuto annunciare ai concittadini la morte di Zarqawi. Il tutti a casa degli altri, non pare un’alternativa.

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