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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.06.2006 Altre vittime del terrorismo palestinese
reportage da Gaza di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 giugno 2006
Pagina: 12
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Gaza, i bambini che muoiono per vendere il ferro»
Una cronaca di Davide Frattini dal CORRIERE della SERA di lunedì 6 giugno 2006:

BEIT LAHIYA (Striscia di Gaza) — Come ogni bravo contadino, Ismail scruta il cielo e ascolta l'aria. Non aspetta la pioggia, ma il fischio che annuncia il prossimo colpo. Quando il pavimento trema, sta già correndo su per le scale più veloce dei suoi nove anni. In cima, dal tetto, cerca di individuare la nuvola di fumo e polvere, un albero di riferimento per trovare il cratere. Poi parte con la sua carriola, una cassetta di plastica montata su quattro ruote da passeggino.
I campi di pomodori sono abbandonati, le serre restano incolte. Solo i bambini riempiono del loro raccolto i carretti trascinati dai muli. Scavano nella sabbia, setacciano tra le pietre per dissodare i frutti che la terra di Gaza riesce a dare in questi villaggi al confine con Israele. Frammenti di ferro, grandi come un limone o contorti come un tubero. Sparsi per centocinquanta metri, da dove sono stati seminati: la buca lasciata dal proiettile di artiglieria sparato dall'esercito per fermare i razzi degli estremisti palestinesi.
È un hobby e un mestiere. Cinquanta chili di metallo valgono cinque
shekel (meno di un euro), qualcun altro li colleziona perché sono una reliquia da scambiare con i compagni di classe e perché con le scuole chiuse c'è poco da fare. Ed è un mestiere pericoloso. Dieci giorni fa sono morti in tre, avevano raccolto pezzi inesplosi da 155mm e volevano recuperare la carica, forse da offrire ai militanti. Che in un ping pong alla dinamite l'avrebbero utilizzata per fabbricare i Qassam da lanciare contro le città attorno alla Striscia.
«Lavoro per mio zio — racconta Ismail — riesco a guadagnare cinque shekel al giorno che passo alla mia famiglia». Naim Hilo, negoziante di Beit Lahiya, accumula il metallo e lo rivende a un mercante di Gaza: «Da dove ritorna al di là della barriera per essere utilizzato nelle industrie israeliane».
I genitori non fermano i bambini (anche pochi soldi servono) e quelli che ci provano non ci riescono. «Avevo ripetuto ai miei figli di non andare più nei campi — dice Fadwa Qassim, madre dei ragazzi rimasti uccisi il 25 maggio —. Non sanno distinguere tra un proiettile ancora pericoloso e un pezzo di ferro inoffensivo. Non possiamo bloccare neppure i militanti che vengono a sparare dai nostri terreni. Arrivano da tutta la Striscia, qualcuno dai villaggi più lontani come Khan Yunis. Così abbiamo perso il raccolto di pomodori e patate, ogni stagione mettevamo insieme seimila shekel».
La polizia palestinese non interviene, i proiettili restano nella terra, i poderi non vengono recintati. «Ho telefonato in caserma per due giorni di fila — spiega Karam, mentre mostra i sette obici conficcati nei dintorni di casa sua —, non è venuto nessuno. Mi hanno risposto di richiamare nel pomeriggio, quando tutti sanno che il loro turno è finito».
Gli artiglieri israeliani sono autorizzati a bombardare le zone a cento metri dalle aree residenziali e dalla fine di marzo hanno sparato — ha scritto il quotidiano Haaretz —oltre 5.100 colpi. «Comprendiamo che è molto difficile per la popolazione civile — ha commentato alla France Presse un portavoce dell'esercito —, non è colpa nostra se i terroristi scelgono di far fuoco da quei punti. La strategia sta funzionando, la traiettoria dei razzi è meno accurata, spesso non arrivano neppure in territorio israeliano». Sabato, poco prima dell'alba, un Qassam ha colpito un parcheggio a Sderot, la settimana scorsa un missile aveva centrato la classe vuota di una scuola. Ogni mese ne vengono lanciati tra gli ottanta e i novanta.
I militanti considerano la risposta militare di Tsahal un prezzo da pagare per continuare la lotta. «Mi dispiace per la gente — ha dichiarato Naim Abu Amir dei Comitati di resistenza popolare —. Anch'io ho sofferto, come loro stanno soffrendo ora. Non puoi riconquistare la tua patria senza sacrifici».
Altri lanci di Qassam, altra risposta dell'artiglieria, altri tesori mortali da scovare per i bambini di Beit Lahiya. «Lo hanno trasformato in un gioco per reagire al pericolo continuo — spiega Mary Vonne Bargues, psichiatra di Medici senza frontiere —. Si difendono dalla paura collezionando gli oggetti che li terrorizzano».

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