Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il papa ad Auschwitz: valutazioni negative di Gian Enrico Rusconi e Lucio Caracciolo
Testata:La Stampa - La Repubblica Autore: Gian Enrico Rusconi - Lucio Caracciolo Titolo: «Auschwitz: non fu Dio a tacere - La Shoah e le colpe dei tedeschi»
Da La STAMPA di mercoledì 30 maggio 2006, l'articolo di Gian Enrico Rusconi "Auschwitz: non fu Dio a tacere":
DOV’ERA la Chiesa ad Auschwitz? Perché il silenzio di papa Pio XII? Queste sono le domande decisive per noi oggi. Pensiamo quale effetto liberatorio e illuminante per tutti (cattolici e laici, e ovviamente per gli ebrei) avrebbero avuto queste domande se fossero state espresse pubblicamente da Benedetto XVI. Invece di volare alto nel mistero teologico con l'evocazione del silenzio di Dio. Il Quale, interpellato, risponderebbe semplicemente: «Vi ho resi liberi e responsabili, non cercate alibi ai vostri crimini. Ma neppure alle vostre omissioni». Chiedersi «dov'era la Chiesa?», «perché papa Pacelli è stato zitto?» non equivale affatto a formulare immediatamente atti di accusa. No. Come sappiamo, la questione è complessa. La Chiesa può avanzare anche giustificazioni storiche per il suo comportamento: ma è tempo che riconosca - anche ufficialmente - di non essere stata all'altezza della sua missione. Che grandiosa testimonianza sarebbe, ancora oggi. È questa invece l'occasione mancata da Benedetto XVI, che pure continua a essere presentato come un sottile teologo e un sensibile intellettuale. In realtà ha reagito - in tono minore e misurato com'è nel suo stile - secondo la stessa logica che ha guidato il suo lontano predecessore Pacelli: il primato della Chiesa-istituzione è al di sopra di ogni sospetto, di ogni domanda. È probabile che, sulla scia delle polemiche di queste ore, assisteremo nei prossimi giorni alle solite polemiche tra storici cattolici, ebrei, laici. Risentiremo le puntigliose distinzioni di responsabilità, lo scaricamento di colpe, l'elenco degli atti di benevolenza fatti dalla Chiesa a singoli e gruppi ebrei, e il nome delle donne e degli uomini religiosi finiti anch'essi martiri nei forni crematori ecc. Ma dopo tante polemiche, dibattiti e ricerche su questi temi, quello che non ci si aspettava da un grande Papa era l'evocazione della Shoah sempre ancora nella dimensione del mistero del Male. In realtà non c'è nulla di misterioso nello sterminio di massa degli ebrei, dei nemici politici, dei dissidenti o dei «diversi» da parte nei nazisti. E non c'è neppure nulla di arcano nella «seduzione» o nell'«inganno» dei tedeschi da parte di Hitler e dei suoi. L'immagine di un gruppo di malvagi che abusa di un popolo intero è davvero inadeguata in un discorso pubblico di dimensioni planetarie quale quello atteso da un Pontefice. Nella Germania tra gli anni Trenta e Quaranta ha funzionato un sistema - certamente perverso - di corresponsabilità di tutti i ceti dirigenti tedeschi, che la storiografia ha chiarito al di là di ogni dubbio. Compresa l'entusiastica e consapevole adesione di gran parte della popolazione al regime, alle sue teorie razziali, prima fra tutte l'antisemitismo militante. Ci sono state eccezioni, naturalmente, che proprio per questo acquistano uno straordinario significato morale, esemplare. Non è questo il luogo per ripercorrere ancora una volta le tesi che mostrano il trionfo, la stabilità e la catastrofe finale del nazionalsocialismo non come un evento escatologico, ma come una terribile esperienza mondana, tutta mondana. Stupisce quindi che il Papa tedesco non sia informato non tanto del livello raggiunto dalla storiografia internazionale, ma della sensibilità che caratterizza sui punti appena ricordati le generazioni più giovani della sua Germania. Il suggestivo motivo del «silenzio di Dio» è preso - come è noto - dalla cultura ebraica. Davanti alla Shoah o subito dopo la scoperta delle sue terrificanti proporzioni furono per primi gli ebrei a chiedersi «dov'era Dio?». Ma questa domanda ha una sua specifica profonda radice nella religiosità ebraica, nell'idea stessa della Divinità. La Bibbia è piena di angosciose domande sull'assenza di Dio o sul suo abbandonarci. Trasportare questa problematica entro una cultura e una teologia come quella cattolica suona come un'operazione di trapianto un po' artificioso. Soprattutto quando è in gioco la potente istituzione della Chiesa. Era la Chiesa, non Dio che era assente ad Auschwitz.
Da REPUBBLICA, riportiamo l'articolo di Lucio Caracciolo "La Shoah e le colpe dei tedeschi":
Nel marzo 1990 Margaret Thatcher convocò nella sua residenza di campagna a Chequers un distinto cenacolo di storici della Germania. L´augusta compagnia, di cui facevano parte i pesi massimi dell´accademia inglese e americana – da Hugh Trevor-Roper a Norman Stone, da Gordon Craig a Fritz Stern e a Timothy Garton Ash – doveva rispondere alle pressanti domande che tormentavano il primo ministro britannico: "Chi sono i tedeschi?", "I tedeschi sono cambiati?" "Una Germania unificata aspirerà a dominare l´Europa dell´Est?". Il timore della "signora di ferro" come dei molti germanofobi in Gran Bretagna e altrove, era che la Germania ormai avviata all´unificazione fosse condannata a ripetere prima o poi errori e orrori del passato. Perché, come scriverà più tardi, "per sua stessa natura la Germania rappresenta una forza destabilizzante in Europa". Il verdetto dei germanisti sembrò confermare la profonda convinzione della signora Thatcher circa l´esistenza di un eterno "carattere nazionale" tedesco. Infatti, secondo quanto riportato dalla stampa britannica, gli studiosi evocarono alcuni tratti "che costituiscono un aspetto immutabile del carattere tedesco. In ordine alfabetico, aggressività, angst, brutalità, complesso di inferiorità, egotismo, tracotanza, sentimentalismo". Questo determinismo germanofobico – tuttora assai diffuso in Gran Bretagna e in diversi paesi europei, sotto la spessa crosta del geopoliticamente corretto – torna alla mente di fronte alle polemiche suscitate dal discorso di papa Benedetto XVI nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Papa Ratzinger si è professato "figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell´onore della nazione (…), cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio". E più avanti aggiunge: "Ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia". Per insistere sulla necessità della "riconciliazione" fra i popoli. Se queste parole intendono respingere l´accusa tipicamente germanofobica di una colpa collettiva dei tedeschi nella Shoah, che addirittura potrebbe riverberarsi sui tedeschi di oggi, esse hanno un fondamento e una spiegazione. Non si possono mettere sullo stesso piano i nazisti e i loro concittadini che furono incarcerati o uccisi dal regime. Tantomeno si può indulgere alla teoria nemmeno troppo sottilmente razzistica che estende a tutti i tedeschi, da Federico il Grande ai nostri contemporanei, un "carattere nazionale" perverso e soprattutto "immutabile". La colpa collettiva è estranea alla nostra civiltà giuridica. Quando dopo Waterloo si tentò di accusare i francesi in quanto tali dei "crimini" di Napoleone, fu lo stesso Congresso di Vienna (1815) a respingere la tesi. Gli stessi alleati si guardarono bene dall´utilizzare tale categoria contro i criminali nazisti. Il tribunale di Norimberga nel processo contro I.G. Farben stabilì quanto segue: "E´ impensabile che la maggior parte dei tedeschi sia maledetta per aver compiuto crimini contro la pace. Questo equivarrebbe a sancire il concetto di colpa collettiva, da cui deriverebbe per conseguenza la punizione di massa, per la quale non vi sono precedenti nel diritto internazionale (…)". Presa alla lettera, la "piccola frase" di Benedetto XVI si basa però su un falso storico: e cioè che il nazionalsocialismo fosse opera di una cricca criminale che "usò e abusò" dei tedeschi. Tutti ricordano – o dovrebbero ricordare – come Hitler giunse al potere e quanto diffusa e fanatica fosse fino all´ultimo minuto la devozione popolare per il Führer. Ciò che rende tanto più degni di ammirazione quegli eroi tedeschi – comunisti, socialdemocratici, liberali, democratici cristiani ma anche schietti conservatori – che non si piegarono, anzi combatterono da isolati e clandestini la loro battaglia in difesa dell´onore della Germania e della sua libertà. Non solo Edith Stein, ebrea tedesca di religione cristiana, vittima della furia nazista, cui si è riferito il papa. Tuttora oggetto di controversie storiografiche è la questione circa il grado di consapevolezza e quindi di corresponsabilità morale dei tedeschi nello sterminio degli ebrei (ma anche degli zingari, degli omosessuali e di tutta l´umanità "inferiore" contro cui si accanirono i più o meno volenterosi carnefici di Hitler). Alcune analisi recenti mettono in luce come la conoscenza della Shoah fosse più diffusa di quanto si credesse inizialmente e di quanto molti tedeschi volessero ammettere persino a guerra perduta, anche di fronte alla visibile documentazione dell´orrore. Tanto che durante gli ultimi mesi di guerra girava in Germania la voce che i bombardamenti aerei sulle città tedesche fossero una rappresaglia per Auschwitz (non lo erano). Né d´altronde si poteva dubitare del programma razzistico, visceralmente antisemita, proclamato a tutto tondo da Hitler – ad esempio nel discorso radiofonico del 30 gennaio 1939 in cui prometteva di liquidare una volta per sempre la questione ebraica in Europa. Il papa non è uno storico. E´ un supremo testimone di fede. Ma quando esprime giudizi storici - come ha fatto ad Auschwitz – le sue parole vanno pesate per tali. Specie se poi lo stesso Benedetto XVI ci invita paradossalmente a non giudicare. Quasi che la riconciliazione e il perdono, che giustamente gli stanno a cuore, possano basarsi su altro che sulla consapevolezza critica del passato. Forse ad Auschwitz il papa aveva in animo soprattutto la riconciliazione germano-polacca. Il clima politico fra Varsavia e Berlino, aizzato dalle componenti xenofobe dell´attuale governo polacco e dagli integralisti di Radio Maryja, potrebbe spiegare questa intenzione papale. Infatti il suo discorso è stato accolto con favore dalla stampa polacca (meno da alcuni giornali tedeschi, che si aspettavano un mea culpa o meglio un nostra culpa). Che esso possa costituire anche un contributo al dialogo fra cattolici ed ebrei, fra Vaticano e Israele, questo è molto improbabile. La storia giudicherà.
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