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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Avvenire - Il Foglio Rassegna Stampa
26.05.2006 Un referendum inutile
Abu Mazen propone il riconoscimento di Israele, ma a condizioni irrealistiche

Testata:La Stampa - Avvenire - Il Foglio
Autore: Aldo Baquis - Graziano Motta - la redazione
Titolo: «Abu Mazen ad Hamas "Se non c'è accordo proporrò un referendum" - Olmert torna dagli Usa più forte - Dopo Olmert, pure Abu Mazen dà un aut aut a Hamas. Sco»

Riportiamo da La STAMPA di venerdì 26 maggio 2006 la cronaca di Aldo Baquis circa il  referendum sul "riconoscimento" di Israele proposto da Abu Mazen. Segnaliamo la presenza, nella proposta del presidente palestinese,  di condizioni irrealistiche ,come il rientro di Israele nei confini del 67, o assolutamente inaccettabili per Israele come il diritto al ritorno dei profughi, ceh segnerebbe la fine della maggioranza ebraica nello Stato
Condizioni che rendono la proposta  ben poco promettente per ciò che riguarda un futuro negoziato tra Anp e Israele.
Ecco il testo: 
 

Il presidente Abu Mazen ha sospreso ieri gli Stati Uniti, Israele e anche Hamas quando, partecipando a Ramallah alla prima seduta del Dialogo nazionale palestinese, ha avvertito che entro poche settimane potrebbe sottoporre ad un referendum un piano politico fondato sulla disponibilità alla pace con Israele in cambio del ritiro dai Territori e della soluzione della questione dei profughi.
Ancora pochi minuti prima il premier dell'Anp Ismail Haniyeh aveva dichiarato che Hamas non intende fare concessioni politiche agli Stati Uniti ed Israele, malgrado i palestinesi siano molto provati dall' «assedio economico».
Parlando a braccio e con foga, mentre a Gaza proseguivano aspri scontri armati fra miliziani di al-Fatah e di Hamas (un morto, dieci feriti), Abu Mazen ha detto che si attende che che entro 10 giorni le principali forze politiche mettano a punto una piattaforma politica realistica. Ad esempio, basata su un documento concordato in una prigione israeliana da figure di spicco della intifada come Marwan Barghuti (al Fatah), Abdul Khaleq el-Natshe (Hamas), Abdel Rahim Malluh (Fronte popolare) e Bassam Saadi (Jihad islamica).
Il documento in 18 punti stabilisce che i palestinesi anelano a creare uno stato indipendente in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est per capitale; che milioni di profughi hanno diritto a tornare nella Palestina storica e a ricevere indennizzi; che i «prigionieri» devono essere liberati; e che fintanto questi obiettivi siano raggiunti i palestinesi hanno il diritto a condurre operazioni «di resistenza armata di vario tipo» nei Territori, da affiancare alla attività diplomatica.
«Voglio parlarvi in maniera franca - ha detto Abu Mazen ai dirigenti politici convenuti a Ramallah e a Gaza - Il tempo è agli sgoccioli». La stampa palestinese di ieri esprimeva il timore che a Washington il premier israeliano Ehud Olmert sia riuscito ad ottenere un via libera, almeno in principio, a completare la Barriera di sicurezza e a condurre un vasto piano unilaterale di riassestamento in Cisgiordania. Da qui, il senso di urgenza di Abu Mazen.
Abu Mazen ha imposto una scadenza precisa: «Avete dieci giorni di tempo. Se entro questa scadenza non avrete trovato una intesa, ve lo dico francamente, sottoporrò il documento dei detenuti a un referendum».
La prima reazione di Hamas è stata di sbigottimento. In un precedente intervento il premier Haniyeh (Hamas) aveva posto l'accento su altri temi, di carattere interno, giudicandoli prioritari. Aveva lamentato che il ministero degli interni (preposto al mantenimento dell'ordine pubblico) non fosse ancora riuscito ad ottenere la cooperazione delle forze di sicurezza, in buona parte affiliate ad al-Fatah. Hamas, che pure ha vinto le elezioni, ha la sensazione di non aver ricevuto ancora da Abu Mazen gli strumenti necessari a governare. Haniyeh aveva anche ribadito che i palestinesi sono decisi a tener testa alle pressioni internazionali, pur di non cedere posizioni politiche. Poco dopo Abu Mazen ha ribattuto che «con gli slogan non riusciremo a riempire lo stomaco dei nostri figli».

Scettico sul valore del referendum proposto da Abu Mazen è Graziano Motta che su AVVENIRE scrive:

Il vistoso successo della missione in america del premier israeliano Ehud Olmert (...) pone però una serie di interrogativi sulle prospettiva di ripresa del dialogo con i palestinesi. Perché se è vero che questo viene invocato da Bush e trova Olmert più che disponibile a tesserlo, non può concretizzarsi per il fatto che restano entrambi fermi nel considerare prioritario un cambiamento di rotta del governo palestienese, che per principio si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele, e quindi gli accordi che in passato  sono stati conclusi con esso, e non intende rinunciare alla lotta armata. Cambiamento di rotta che dovrebbe imporre il presidente Abu Mazen, del quale Stati Uniti e Israele riconoscono l'autorevolezza e la legittimità. Ma Abu Mazen sta evitando di chiedere una risposta conseguente da Hamas, dai leader del movimento e dal governo, perché sa di non poterle ottenere, e quindi cerca di aggirare l'ostacolo con l'idea di un referendum.  Dal questito tuttavia ovvio e dall'esito scontatissimo, perché sulla creazione di uno Stato palestinese entro i confini - meglio la linea di armistizio che include anche la "città vecchia di Gerusalemme - del 1967 tutti i palestiensi sono d'accordo. Sono divisi invece su come raggiungere questo obiettivo, se con un negoziato con Israele come sostiene Fatah ovvero con una tregua chen non esclude la cessazione

tregua che non esclude la "cessazione", o la "ripresa" della "lotta armata" ?

 come vuole Hamas. Ben diverso sarebbe il valore di un referendum se esplicitasse la prospettiva del dialogo con lo Stato ebraico 

Positivo, invece, il giudizio del FOGLIO, che vede "presupposto" nei termini della proposta di Abu Mazen il riconoascimento di Israele.
Ecco il testo:

Gerusalemme. Tempi di ultimatum. Dopo l’aut aut del premier israeliano Ehud Olmert a Hamas (sei mesi per riconoscere Israele, rinunciare al terrorismo e sottostare agli accordi di pace precedenti o partirà il piano di ritiro unilaterale da parte della Cisgiordania), il rais palestinese, Abu Mazen, ha dato al movimento per la resistenza islamico una nuova scadenza. L’ha annunciato in occasione di un incontro per il dialogo tra le fazioni palestinesi che si è tenuto in videoconferenza tra Ramallah e Gaza, ieri. Dieci giorni per mettere fine alle rivalità tra uomini delle diverse fazioni armate, dieci giorni per accettare l’idea della formazione di uno stato nazionale palestinese entro i confini del 1967, a fianco d’Israele. La proposta è contenuta in un documento presentato da un gruppo di leader palestinesi vicini a Fatah, detenuti nelle carceri israeliane – tra cui Marwan Barghouti – che ha come obiettivo “preservare l’unità nazionale”. Se entro dieci giorni non si raggiungerà un accordo e non si troverà una soluzione, Abu Mazen indirà un referendum per chiamare i palestinesi a decidere di persona sulla questione e per la creazione di un eventuale governo di unità nazionale, come contenuto nella proposta stessa. Nel testo c’è anche l’invito alle fazioni armate a “limitare la propria attività ai territori occupati del 1967”, un punto che suggerirebbe la fine degli attacchi in Israele. Abu Mazen, che per settimane è stato descritto dalla stampa internazionale un leader debole e in crisi, non sembra essere mai stato più forte di oggi. Forse nemmeno prima delle elezioni di gennaio che hanno portato alla vittoria di Hamas. Il rais è diventato indispensabile a tutte le parti in causa. Due giorni fa, a Washington, il presidente americano, George W. Bush, ha lodato il piano di convergenza di Olmert, ma gli ha suggerito di non rinunciare a parlare con Abu Mazen; il premier israeliano, che aveva spedito poco prima in Egitto il suo ministro degli Esteri e il suo vice, Tzipi Livni e Shimon Peres, a prendere contatto con il presidente palestinese, dovrebbe incontrare a breve il rais, unico partner possibile per Israele, che non accetta alcun dialogo con Hamas prima che il movimento non riconosca la sua esistenza. Ma Abu Mazen serve anche a Hamas stesso. Il gruppo ha accettato che i contatti tra Autorità nazionale e comunità internazionale, soprattutto sul piano dei finanziamenti bloccati da Unione europea e Stati Uniti, passino attraverso il rais. Il leader palestinese, considerato il suo aut aut di ieri, nonostante i continui scontri a Gaza tra le forze di sicurezza regolari, legate a Fatah, e quelle di Hamas (ieri dopo la conferenza sono scoppiate altre violenze e un poliziotto è morto) è nella posizione per poter imporre un ultimatum e indire un referendum. Il voto chiederà ai palestinesi un implicito riconoscimento d’Israele (uno stato palestinese entro i confini del 1967), discreditando così le posizioni negazioniste di Hamas; allo stesso tempo, imporrebbe a Olmert di tornare ai negoziati prima di portare a termine in solitario il suo piano di disimpegno; la mossa sarebbe più che accettata dalla comunità internazionale. Secondo il sondaggista palestinese Nader Said dell’università di Bir Zeit, in Cisgiordania, la maggioranza dei palestinesi sostiene la soluzione dei due stati. La proposta di Abu Mazen arriva subito dopo il viaggio del primo ministro israeliano a Washington. L’Autorità palestinese, Hamas e Fatah su questo sono in accordo: non appoggiano il progetto unilaterale israeliano, che imporrebbe confini non concordati. Ieri, ad aprire la conferenza, che si terrà anche domani mattina, ma a porte chiuse, assieme al rais – a Gaza – c’era anche il primo ministro, Ismail Haniye, membro di Hamas, che ha dichiarato che Fatah e il suo gruppo hanno bisogno di lavorare a una piattaforma comune.

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