Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Non credere ad Ahmadinejad e nemmeno a Gheddafi un editoriale di David Frum sull'Iran e uno di Magdi Allam sulla Libia
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: David Frum - Magdi Allam Titolo: «Non credere all’Iran - Gheddafi, Saddam e l'arbitrio di Bush»
Un articolo di David Frum dal FOGLIO di mercoledì 17 maggio 2006:
Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Zbigniew Brzezinski, e un folto numero di accademici esperti di relazioni internazionali hanno esortato il governo statunitense a negoziare direttamente con la Repubblica islamica dell’Iran. Sostengono che colloqui diretti permetterebbero agli Stati Uniti di ottenere quelle risposte che la lettera di Ahmadinejad non fornisce. Cosa c’è di sbagliato in quest’idea? Perché non avviare negoziati diretti? Ecco una risposta concisa, formata in realtà da sei risposte di secondo grado che insieme costituiscono un’unica grande replica. 1) Da negoziati diretti con l’Iran gli Stati Uniti non ricaveranno nulla di più di quanto non sappiano già. Tre governi europei – l’Inghilterra, la Francia e la Germania – hanno condotto negoziati diretti con l’Iran fin dall’ottobre 2003. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente e pubblicamente autorizzato questi governi a parlare a nome dell’America. E i governi dei tre paesi europei hanno riferito agli Stati Uniti tutte le richieste iraniane. Se il mondo sta precipitando verso una crisi sulla questione del programma nucleare iraniano, non è certo per mancanza di informazioni sulle richieste iraniane. 2) Gli iraniani non conducono i negoziati in buona fede. Qualche tempo fa ho avuto occasione di parlare con un importante negoziatore del terzetto Ue, il quale mi ha descritto come una volta, al termine di un’intensa seduta di contrattazione, aveva chiesto alla sua controparte iraniana di firmare il resoconto del loro colloquio in modo che non si potesse verificare nessun errore quando avrebbero ripreso il negoziato la mattina seguente. L’iraniano firmò, e la mattina dopo sostenne che il resoconto era sbagliato e che la sua firma era falsa. 3) Per gli iraniani, il principale obiettivo dei negoziati è quello di guadagnare tempo. Sperano di fare esaurire la presidenza Bush, nella convinzione che qualsiasi successore di Bush tornerà alla politica clintoniana di accondiscendere alle pretese dei mullah. Se subentrano all’Ue nei negoziati con l’Iran, gli Stati Uniti rischiano di dover ricominciare tutto da zero, e di scoprire che l’Iran ha così ottenuto tre anni di stallo per continuare le proprie ricerche in campo nucleare. 4) Un’altra conseguenza vantaggiosa per l’Iran riguarderebbe le opportunità di propaganda. Se gli Stati Uniti prendessero il posto dell’Ue al tavolo dei negoziati, quello che finora è stato uno scontro tra l’Iran e il mondo diventerebbe uno scontro tra l’Iran e gli Stati Uniti, il che consentirebbe all’Iran di presentarsi al mondo musulmano (e anzi ai radicali antiamericani di tutto il pianeta) come la vittima della prepotenza americana. 5) Per l’occidente, al contrario, lasciare il compito dei negoziati all’Ue significa un rafforzamento della solidarietà tra gli alleati. Nessuno, in Francia, Germania o Inghilterra, può accusare gli Stati Uniti di voler mandare in fumo promettenti negoziati sbandierando la bellicosità dei neocon, appunto perché sono la Francia, la Germania e l’Inghilterra a condurre i negoziati. E poiché hanno lasciato a questi tre paesi la guida dei negoziati per la ricerca di una soluzione pacifica, gli Stati Uniti possono molto più giustificatamente aspettarsi il loro appoggio su una soluzione pacifica risultasse impossibile a trovarsi. 6) Soprattutto, bisogna tenere presente che il motivo per cui stiamo sentendo appelli che esortano all’avvio di negoziati Stati Uniti-Iran sta precisamente nel fatto che quelli tra Iran e terzetto sono falliti. Ora è necessario che i riflettori siano puntati sull’Iran e sulla minaccia che rappresenta per la pace regionale e mondiale. Se l’America si lasciasse trascinare sotto i riflettori come partner negoziale il tema della questione verrebbe alterato, passando dall’aggressione iraniana alla presunta intransigenza dell’America o a qualsiasi altra cosa che i critici dell’America si inventeranno per escludere da ogni colpa i veri furfanti. Dobbiamo rendercene conto ora: l’attuale governo iraniano vuole avere la bomba atomica e non si lascerà persuadere a cambiare idea. La questione perciò è la seguente: si può costringere l’Iran a rinunciare alle sue ambizioni con mezzi diversi dalla forza? C’è solo un modo per scoprirlo, e non è certo quello di intavolare negoziati.
Dal CORRIERE della SERA di mercoledì 17 maggio 2006, un editoriale di Magdi Allam:
La decisione americana di ripristinare le relazioni diplomatiche con la Libia di Gheddafi riporta l'intero Medio Oriente alla logica spregiudicata della realpolitik preesistente all'11 settembre 2001. Con un brusco rimescolamento delle carte, Bush ha sostanzialmente infranto il sogno di una rivoluzione democratica. Un mito che, nella regione più critica del pianeta, era stato alimentato dalla caduta del regime di Saddam in Iraq il 9 aprile 2003. L'involuzione della strategia della Casa Bianca è iniziata con la decisione di sdoganare e di allearsi con gli integralisti islamici formalmente legalitari e democratici, ma sostanzialmente teocratici e autoritari, nel convincimento di poter così isolare e sconfiggere gli estremisti islamici jihadisti e seguaci di Bin Laden. In quest'ottica il segretario di Stato Condoleezza Rice ha esercitato forti pressioni su Mubarak e Abu Mazen, culminate nella conquista di 88 seggi da parte dei Fratelli Musulmani nel parlamento egiziano, e nell'avvento al potere di Hamas nei territori palestinesi. La carta della legittimazione e valorizzazione degli integralisti islamici è stata imposta anche a Gheddafi e viene prospettata anche in Siria nello scenario del dopo-Assad. Déjà-vu. Anche all'indomani della disfatta dell'esercito iracheno e della liberazione del Kuwait nel 1991, nel mondo arabo si sprigionò l'euforia per una nuova stagione di libertà. Soffocata repentinamente dalla realpolitik che indusse Bush senior non solo a graziare Saddam, ma ad aiutarlo indirettamente per reprimere nel sangue la rivolta del popolo iracheno. Ebbene oggi l'America, con il plauso dell'Europa, sta restituendo credibilità e onorabilità a regimi dittatoriali apparentemente laici, imponendo loro un sodalizio contronatura con gli integralisti islamici indubbiamente teocratici. A farne le spese, ancora una volta, sono i popoli arabi condannati a restare sotto il giogo di regimi dispotici e oscurantisti. Così come i liberali arabi diventano il vero nemico da colpire ed eliminare perché contrasta con il nuovo assetto politico che si tende a imporre. A questo punto sorge spontanea la domanda: ma allora perché Gheddafi sì e Saddam no? Perché con Gheddafi si è stati comprensivi e disponibili, indulgenti fino al punto da tradire i principi e i valori, mentre con Saddam si è stati intransigenti e irremovibili fino al punto da escludere qualsiasi soluzione di compromesso? Perché l'Occidente ha redento Gheddafi sulla base dell' orripilante logica tribale del «riscatto del sangue», incassando decine di milioni di dollari in cambio delle vittime degli attentati di Lockerbie e del Niger, mentre Saddam viene condannato per aver adottato la pratica equivalente della corruzione dei politici di mezzo mondo? Eppure entrambi sono dei tiranni che hanno represso nel sangue gli oppositori interni; entrambi sono stati sponsor del terrorismo internazionale e direttamente responsabili di stragi di civili innocenti; entrambi si sono dotati di armi di distruzione di massa e hanno costituito una minaccia alla sicurezza regionale; entrambi hanno sferrato delle guerre aggressive contro i Paesi limitrofi nel tentativo di sottometterli al loro dominio; entrambi disconoscono il diritto di Israele all' esistenza e hanno sostenuto i terroristi che mirano ad annientarlo. Mettetevi nei panni di coloro che in Libia e altrove nei Paesi arabi lottano per un'autentica democrazia liberale e aspirano a un modello di civiltà fondato su valori condivisi con l'Occidente. Non si può che prendere atto che l'Occidente usa due pesi e due misure a seconda del variare delle circostanze e della ridefinizione delle proprie strategie. Si deve amaramente ammettere che l'Occidente è mosso dal perseguimento di un interesse egoistico, dove l'invocazione dei valori è un fatto arbitrario a seconda della loro funzionalità, e in cui il bene dei popoli arabi è sostanzialmente secondario. Non sorprende pertanto che sia fallito il processo euro-mediterraneo di Barcellona. Che la credibilità degli Stati Uniti abbia toccato il fondo. E allora prima di rispolverare il luogo comune «ma gli arabi sono compatibili con la libertà e la democrazia?», domandiamoci se la realpolitik di cui si vanta l'Occidente sia compatibile con la libertà e la democrazia.