Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il silenzio dell'Europa sugli antisemiti al governo in Polonia una cronaca e un editoriale
Testata: Corriere della Sera Data: 09 maggio 2006 Pagina: 16 Autore: Sandro Scabello - Sergio Luzzato Titolo: «Polonia , al governo l'antisemita Lepper -Le ombre polacche e i silenzi europei»
Dal CORRIERE della SERA di martedì 9 maggio 2006, una cronaca sull'ingresso di forze antisemite nel governo polacco:
VARSAVIA — Appena insediatosi al ministero dell'educazione, il nuovo vicepremier polacco Roman Gyertich, l'ultracattolico leader della Lega delle famiglie polacche, ha annunciato che rivedrà libri di testo e programmi delle scuole medie ed elementari per «forgiare una nuova generazione di polacchi». L'altro vicepremier di fresca nomina, il populista Andrzej Lepper, l'impetuoso condottiero di Samoobrona (Autodifesa), annacquata la sua irriducibile ostilità vero l'Unione europea, ha detto che si batterà per «rivedere soltanto alcuni punti» del trattato di adesione di Varsavia all'Ue. Il governo conservatore uscito dalle elezioni vittoriose dei gemelli Kaczynski, rifiutato il dialogo con i liberali della Piattaforma civica, dopo sette mesi di instabilità e di negoziati tortuosi e intriganti, ha aperto le porte all'estrema destra e ai populisti, con i quali si appresta a cementare la basi della «Quarta Repubblica», fondata sul protezionismo economico e la difesa ad oltranza degli interessi nazionali, della tradizione e del più oscuro fondamentalismo cattolico. Se Bruxelles è inquieta per la svolta nazionalpopolare maturata nel più grande fra i paesi della «Nuova Europa», gli stessi polacchi hanno mal digerito l'ascesa di personaggi controversi e intolleranti come Gyertich e Lepper, sdoganati e insigniti di una maggior legittimazione politica. Gyertich è entrato in politica, con il sostegno di Radio Maryja, l'emittente integralista che ha fatto campagna per i Kaczynski e funge ora da megafono al governo, per «far uscire la Polonia dall'Unione Europea». Ha condotto campagne virulente contro i gay, l'aborto, le femministe, gli ebrei, i tedeschi che hanno spogliato la Polonia di beni e proprietà ed è contrario alla Costituzione europea e all'adozione dell'euro. Come del resto il suo collega di governo Lepper che, indossata la camicia di forza della moderazione, ha raffinato il linguaggio e attenuato i toni aggressivi e si ritrova ora a guidare quel ministero dell'agricoltura contro cui negli anni Novanta, quando cavalcava la protesta delle campagne, organizzava blocchi stradali che gli sono costati più di una condanna, arrivando a svuotare i treni carichi di generi alimentari stranieri. Ex allevatore di maiali, capopopolo irruento che urlava ai ladri e malfattori al governo, in buoni rapporti con Mosca e grande ammiratore del bielorusso Lukashenko, ha riconosciuto ad Hitler il merito di aver rimesso in piedi l'economia tedesca e ridotto la disoccupazione. Con questi personaggi il premier Marcinkiewicz ha finalmente la maggioranza in parlamento, ma a che prezzo e con quali rischi per la modernizzazione e il futuro democratico del paese? Il rimpasto chiude definitivamente l'era di Solidarnosc, sconfessa sedici anni di gestione postcomunista in cui si sono alternati al potere governi di destra e sinistra che hanno portato la Polonia in Europa e realizzato grandi riforme. Sotto il vessillo della decomunistizzazione e della tanto strombazzata campagna moralizzatrice sono aumentati gli attacchi contro magistrati, giornalisti, medici, avvocati, sospettati di chissà quali misfatti compiuti in epoca comunista. Sei anni fa Bruxelles aveva imposto delle sanzioni all'Austria ritenendo che l'ingresso del populista Jörg Haider nel governo mettesse in pericolo i principi e i valori che uniscono gli europei. Il caso polacco non è diverso.
E il commento di Sergio Luzzato:
L'opinione pubblica si sta dimostrando distratta davanti ai recenti sviluppi della situazione politica in Polonia. Mancano reazioni significative all'entrata nel governo di Varsavia di due formazioni. Formazioni che, poi, sono il Partito polacco d'autodifesa e la cattolica Lega delle famiglie polacche, che non nascondono i loro umori antisemiti. Vicepremier e ministro dell'Agricoltura è stato nominato Andrzej Lepper, ex pugile, ex funzionario comunista, ex allevatore di maiali cui è capitato di dichiarare, fra l'altro: «Il peggior nemico della Polonia è la nazione giudaica». A dichiarazioni del genere fanno riscontro sia la cautela degli ambienti politici e diplomatici degli stati membri dell'Unione europea, sia il fragoroso silenzio dei circoli mediatici e intellettuali. Nulla di comparabile alla levata di scudi che fece seguito, a suo tempo, all'affacciarsi di Jörg Haider sulla scena della politica austriaca. Si direbbe che, a differenza dell'Austria, la Polonia continui a sembrarci lontana da noi: non «Europa centrale», ma «Europa orientale»; quasi, ancora, Paese d'«oltrecortina». E si direbbe che l'antisemitismo continui a spaventarci soltanto se declinato con le parole della lingua tedesca, come un'eco agghiacciante della voce di Hitler. Ma sarebbe un errore sottovalutare quanto avviene a Varsavia. E non soltanto perché è giunto il momento di riconoscere una volta per tutte che l'asse dell'Unione ha migrato verso Est: che la Polonia è un grande Paese, il cui peso nell'Unione è destinato a crescere politicamente, economicamente, culturalmente. La sottovalutazione di quanto avviene a Varsavia sarebbe un errore rispetto al presente e al futuro, ma anche rispetto al passato. Perché in un modo o nell'altro, lo ieri pesa sempre sul domani. E in materia di antisemitismo, lo ieri della Polonia è terribile. Un terribile ieri, e un ancor più terribile altro ieri. Lo ieri è quello della Polonia comunista, dove i rari ebrei sopravvissuti alla Shoah, fra i quali si contavano alcune delle intelligenze più raffinate del continente, filosofi, storici, economisti furono metodicamente perseguitati dal regime filosovietico: quasi altrettanto per la loro condizione etnica di (laicissimi) israeliti che per la loro condizione culturale di eterodossi del marxismo. L'altro ieri è quello della Polonia occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, dove la popolazione indigena prestò aiuto diretto alla Wehrmacht e alle SS onde pervenire alla «soluzione finale» del problema ebraico. Dal 1939 al 1944, oltreché in lingua tedesca, gli ordini più disumani vennero abbaiati in polacco, entro i confini geografici della regione dove più fitta fu la trama dei campi di concentramento e di annientamento. Né quegli ordini vennero latrati soltanto nelle immediate vicinanze Sarebbe un grave errore sottovalutare quanto accade a Varsavia di un lager, o lungo le linee ferroviarie che condussero gli ebrei verso la morte. Come ha dimostrato qualche anno fa lo storico Jan Gross, un po' dovunque la cattolicissima Polonia produsse volenterosi collaboratori della Shoah: nelle campagne come nelle città, e fin nei villaggi dove tutti conoscevano tutti. Centinaia di migliaia di ebrei polacchi riconobbero nel vicino di casa le sembianze del loro carnefice. Nella Polonia di oggi, la memoria di tutto ciò non è andata perduta, resta viva nelle sensibilità e nelle coscienze. E proprio per questo, l'avvento al governo di partiti dalle venature antisemite ha qualcosa di tanto più allarmante: perché si tratta di formazioni politiche che investono sull'antisemitismo come su uno strumento di mobilitazione che promette di rivelarsi efficace. Si assiste così al paradosso per cui nel Paese stesso di Karol Wojtyla il pontefice che ha fatto più di ogni altro per riavvicinare i cattolici agli ebrei l'aria rischia nuovamente di ammorbarsi con esalazioni velenose. Quanti in Europa hanno recentemente commemorato il primo anniversario della scomparsa del papa polacco non dovrebbero dimenticarsi di questo: che la sua lezione morale più grande, l'abbraccio fra i cattolici e gli ebrei, rischia oggi di venire sbugiardata proprio a partire dalla sua Polonia.
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