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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.05.2006 Ai perseguitati non resta che l'America
lo conferma il caso di Ayaan Hirsi Ali

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 maggio 2006
Pagina: 26
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Il caso di Ayaan Hirsi Ali L’Europa impari dagli Usa a difendere i perseguitati»

 Dal CORRIERE della SERA di lunedì 8 maggio 2006:

La democrazia americana ha anche questa qualità che la rende migliore della «vecchia», esausta e asfittica Europa: la sua capacità di difendere e dare asilo a chi viene perseguitato e ostracizzato, mentre l’Europa nicchia, si nasconde, fa finta di niente. Ayaan Hirsi Ali, riferisce Giulio Meotti sul Foglio , ha appena presentato a New York un nuovo libro, «The caged virgin », che reca come dedica «Allo spirito della libertà». A Washington l’American Jewish Committee le ha consegnato una medaglia al «Coraggio Morale». Il Reader’s Digest l’ha nominata «Europea dell’anno». In Europa il grande pubblico sa a malapena chi sia Ayaan Hirsi Ali. In Italia, malgrado un suo scritto sia stato pubblicato dalla prestigiosa Einaudi, il suo nome non campeggia tra gli invitati speciali delle grandi kermesse culturali. Pochi, pochissimi conoscono quale sia la sua triste sorte nella civilissima e tollerantissima Olanda. Così civile e tollerante da volersi disfare di una sua cittadina scomoda e odiata dai nemici della libertà e della tolleranza. Ayaan Hirsi Ali è una bellissima donna, di famiglia somala immigrata in Olanda, musulmana che accusa i musulmani olandesi di «razzismo», donna infibulata all’età di cinque anni che denuncia la condizione di oppressione e di minorità di tutte le donne prigioniere dell’islamismo. Per lei la battaglia contro il fondamentalismo islamista è «una guerra per salvare i corpi e le menti delle donne» che «sono proprietà di padri, fratelli, cugini, nonni, guardiani». Accusa la retorica multiculturalista di rappresentare un elegante lessico dell’impotenza che camuffa con espedienti nobilitanti la sostanziale indifferenza verso una cultura «che intaglia i genitali delle giovani donne, azzoppa le loro menti e giustifica l’oppressione fisica» dell’intero universo femminile.
Deputata nel Parlamento olandese, eletta nello stesso partito di Pim Fortuyn, assassinato da un fanatico dell’ecofondamentalismo, ha scritto la sceneggiatura di «Submission ». Il regista del film, Theo Van Gogh, è stato pugnalato ad Amsterdam, la condanna a morte affissa sul petto assieme a versi del Corano. Il film è sparito dalla circolazione, cancellato dai tabelloni dei festival europei, terrorizzati per le ritorsioni islamiste. Di Van Gogh si parla poco e con imbarazzo. E pochi ricordano che i colpi dell’assassino erano destinati a lei, Ayaan Hirsi Ali.
Lei vive protetta da una scorta imponente, i suoi movimenti sono controllati per ventiquattr’ore al giorno. Ma adesso, nella civilissima e tollerantissima Olanda, nel panico suscitato dal terrorismo jihadista portato nel cuore dell’Europa, la Corte d’appello dell’Aja ha emesso una sentenza da choc e ha deciso, per assecondare l’allarme dei vicini e del quartiere, che Ayaan Hirsi Ali sia sfrattata dalla sua casa. Minacciata di morte, la scrittrice viene messa al bando, costretta a fuggire e a nascondersi dal verdetto di un tribunale che consegna ai terroristi una sensazione di trionfo e di onnipotenza. Lei scrive, denuncia, rende di pubblico dominio la sua conoscenza del mondo islamico, descrive i meccanismi con cui «le madrasse imboniscono i propri pupilli con un odio irrazionale per gli ebrei e per gli infedeli». Ma i vicini di casa chiedono solo di essere liberati dalla sua presenza pericolosa e ingombrante. Gli intellettuali europei pronti a sottoscrivere ogni genere di appello e a inventarsi martirologi immaginari non sembrano minimamente coinvolti da questo macroscopico caso di persecuzione. Ayaan Hirsi Ali viene trattata come un’ossessa dell’anti-islamismo. Solo in America si ricordano di lei, le rendono omaggio, le mostrano con premi e medaglie la solidarietà che invece in Europa le viene negata o misconosciuta. I governi europei potrebbero chiedere all’Olanda ragione di un ostracismo grottesco ma non lo fanno. Non le resta che l’America, come al solito

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