Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ma nella crisi iraniana é in questione molto più del "prestigio" un'analisi che ignora la natura del regime di Teheran e la minaccia che rappresenta
Testata: Corriere della Sera Data: 03 maggio 2006 Pagina: 1 Autore: Franco Venturini Titolo: «Sei Grandi e l'Iran: Italia senza voce»
Il CORRIERE della SERA pubblica in prima pagina e a pagina 36 un editoriale di Franco Venturini sul ruolo dell'Italia nella crisi iraniana. Venturini lamenta l'esclusione dell'Italia, primo partner commerciale dell'Iran, dal gruppo dei tre paesi europei (Gran Bretagna , Francia e Germania) che hanno trattato sul nucleare e dal G6 (i cinque paesi del Consiglio di sicurezza più la Germania). Ma in tutto l'articolo non c'é un solo cenno alla natura del regime, alla persecuzione dei dissidenti, alle minacce di distruzione rivolte a Israele , al sostegno al terrorismo , al negazionismo e alla paranoia del presidente Ahmadineajd. L'indifferenza di Venturini verso l'oggetto della crisi iraniana, vista soltanto come un'opportunità per l'Italia di assumere maggiore prestigio nello scenario internazionale o come un rischio di diminuzione di questo stesso status, é confermata dal "rimedio" da lui proposto per le difficoltà diplomatiche del nostro paese: trasferire il dossier iraniano al G8, rendendo questo gruppo efficace con l'inclusione della dittatura cinese, fino ad oggi tra i maggiori sponsor dell'Iran nella sua corsa al nucleare. L'effetto prevedibile di questa mossa sarebbe quello di avviare la questione del nucleare iraniano verso una soluzione compromissoria e instabile, favorendo il tentativo di Teheran di ingannare la comunità internazionale. Conferendo forse maggiore "prestigio" diplomatico al nostro paese, ma al prezzo di renderlo più insicuro, esposto alla minaccia di un regime fanatico e amico dei terroristi provvisto di capacità nucleari. E' a questo che deve servire una politica estera? Ecco il testo:
In politica estera come in politica interna, il nascituro governo Prodi è atteso da compiti gravosi. A cominciare da quello sempre evocato e mai risolto di far ascoltare maggiormente (sperando che ce ne sia una) la voce dell'Italia. Le ambizioni nucleari iraniane sono il test del momento e tengono sotto pressione tutte le diplomazie del mondo. O meglio, alcune diplomazie più di altre: ieri si è tenuta a Parigi l'ennesima riunione del G-6 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu più la Germania) e la stessa formula varrà il 9 maggio a New York quando si riuniranno i ministri degli Esteri. Per comprendere la frustrazione italiana, del governo che si è dimesso ieri e potenzialmente di quello che verrà, occorre fare qualche passo indietro. L'Italia si è opposta per anni, e finora con successo, a un allargamento del Consiglio di Sicurezza che facesse entrare nell'olimpo Germania, Giappone, Brasile, India e un Paese africano. Perché preferiamo una riforma più democratica, si è detto. In verità per non rimanere esclusi, non essere l'unico dei grandi sconfitti nella Seconda guerra mondiale a restare fuori e non essere il solo discriminato assieme al Canada tra i Paesi membri del G-8. Poi è venuta la crisi iraniana, e a trattare con Teheran a nome dell'Europa hanno provveduto (con lo scettico consenso di Washington) la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Anche se l'Italia è il primo partner commerciale dell'Iran. Anche se, ai tempi non lontani di Khatami, Roma aveva svolto un intenso lavoro politico- diplomatico con Teheran. S'intende (perché bisogna resistere al velleitarismo patriottico) che i «Tre» europei hanno un peso politico maggiore del nostro. Ma nel caso dell'Iran, con i nostri contatti e i nostri precedenti, l'esclusione è stata tale da ferire anche un orgoglio nazionale composto. Il ministro in carica Fini non mancò di rilevarlo, e ottenne dalla collega Usa Condoleezza Rice assicurazioni sul coinvolgimento del G-8, dove l'Italia è notoriamente presente. Così sono andate parzialmente le cose due settimane fa a Mosca, ma ora, a quanto pare, siamo daccapo: giunge l'ora delle decisioni importanti sulle risposte da dare a Teheran, ed ecco che a discuterne è il G-6. Con il doppio risultato di vanificare la lunga battaglia dell'Onu (era soprattutto l'ingresso della Germania a disturbarci) e di rimanere esclusi da un grande tema che tocca direttamente i nostri interessi oltre alle nostre ambizioni. Cosa potrà fare il governo Prodi? Sul fronte Onu basterà tenere alta la guardia, perché gli Usa vorrebbero far entrare nel Consiglio soltanto India e Giappone (che tuttavia la Cina non vuole) e l'intera operazione dovrebbe slittare ulteriormente. Ma un G-6 in via di istituzionalizzazione brucia ancor più del Consiglio di Sicurezza allargato, assume i connotati di una vera discriminazione e sembra avere più futuro delle promesse della Rice. Come può reagire allora un'Italia che sulla scena mondiale soffre da sempre di debolezza reale (troppo spesso) o presunta, e che ha trasformato in dogma, come peraltro anche altri, quella «politica della sedia» che ora viene mortificata? La via da esplorare, a nostro avviso, è quella che porta al G-8. Se il G-8 avrà davvero un ruolo nella vicenda iraniana, la sua importanza crescerà. Se la più grave crisi del momento gli passerà a fianco, dovrà temere la decadenza e noi con lui. Ma si può discutere di Iran senza che sia presente la Cina? La risposta realistica è no. L'interesse italiano, perciò, coincide con un allargamento del G-8 alla Cina (e all'India) che comunque presto o tardi avrà luogo. E che ci consentirebbe di essere presenti al tavolo del più ampio e credibile «direttorio» mondiale. Non mancherebbero i problemi (la Cina è ancor meno democratica della Russia, che già solleva polemiche). Ciò non impedisce a qualcuno di guardare lontano (la Cina e l'India saranno «invitate» al G-8 di San Pietroburgo, e lo erano già state l'anno scorso in Scozia). Ma è soprattutto per una Italia che non vuole sparire dal proscenio che il tempo stringe.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera