Dal FOGLIO di mercoledì 28 aprile 2006:
Roma. Kadima, il partito del premier israeliano, Ehud Olmert, ieri ha firmato l’accordo di coalizione con chi aveva definito, poche settimane fa, il suo maggiore partner di governo: i laburisti. Avoda avrà sette ministri. Il suo leader, Amir Peretz, otterrà il portafoglio della Difesa. Il successore di Ariel Sharon sta cercando di creare una vasta coalizione, che arrivi almeno a 80 seggi. Il suo gruppo ne ha 29, i laburisti 19, mentre Gil, il movimento dei pensionati, la sorpresa delle recenti elezioni con cui Kadima ha firmato l’intesa mercoledì, 7. Per arrivare al suo obiettivo, Olmert deve ancora negoziare. Nella lista dei probabili compagni di coalizione figurano i due partiti ultraortodossi, Shas (12 seggi) e United Torah Judaism (sei), e il movimento di destra, rivelazione alle urne, di Avigdor Lieberman, Israel Beiteinu. Il suo leader, però, ha problemi con la giustizia, legati al finanziamento della precedente campagna elettorale, che potrebbero impedirgli d’unirsi al governo. Kadima si è presentato alle elezioni israeliane con un programma carico dell’eredità di Sharon: la piattaforma è incentrata su quello che è stato definito “il piano di convergenza”, cioè il ritiro da gran parte degli insediamenti della Cisgiordania; da portare a termine, dice Olmert, prima della fine del suo mandato, nel 2010. Per fare questo, il primo ministro ha bisogno di una maggioranza importante. “Sia Kadima sia Avoda vogliono una vasta coalizione – ha spiegato al Foglio Shlomo Avineri, professore di Scienze politiche all’università ebraica di Gerusalemme – così il governo non dipenderà da un solo partito”. I due gruppi su cui punta il premier, Shas e United Torah Judaism, pur essendo movimenti religiosi ultraortodossi, non metterebbero a rischio la realizzazione del piano di disimpegno dalla Cisgiordania. Avineri definisce United Torah Judaism “un partito moderato” e spiega che Shas lo è un po’ meno, ma “la sua leadership è pragmatica, aperta; i laburisti li vogliono perché il movimento è impegnato anche sui temi sociali, e la sua agenda, su alcune questioni, è vicina a quella di Avoda”. Non sarà così una coalizione laica a portare a termine il ritiro da Eretz Israel, il Grande Israele biblico, dice il professore. Oggi i laburisti s’incontreranno per votare la lista dei sette ministri proposta da Peretz. Ma il nuovo incarico di responsabile della Difesa del leader laburista ha avviato un dibattito nel paese. Avineri spiega che si tratta del primo politico a ricoprire questa carica nonostante la poca preparazione militare. Israele ha già avuto ministri non arruolati alla Difesa, ma avevano tutti maggior preparazione in materia. “La politica di Olmert è molto chiara – dice Avineri– Al secondo partito della coalizione spettava un ministero importante. L’altra opzione era la poltrona della Finanze. Ma si sa, chi controlla il Tesoro, controlla il governo. La scelta è ricaduta su un portafoglio come la Difesa, molto importante in Israele”. In questi giorni di intensi negoziati per arrivare alla formazione di un esecutivo ai primi di maggio si inseguono anche voci forse più vicine al gossip politico che alla realtà. Il quotidiano Haaretz, per esempio, ha scritto che alcuni membri dello sconfitto partito della destra storica, il Likud, starebbero per entrare in Kadima. Tra loro l’ex ministro degli Esteri, Silvan Shalom, rivale di Benjamin Netanyahu alla presidenza del movimento, e Limor Livnat. Ma finora, secondo Avineri, queste rimangono soltanto voci. Finora, però.
Dal RIFORMISTA, un articolo di Anna Momigliano:
E’ fatta. A poco meno di un mese dalle elezioni generali, il governo israeliano, se non ancora insediato, ha registrato la sua nascita ieri sera, quando i laburisti di Amir Peretz e la Kadima di Ehud Olmert hanno firmato l’accordo ufficiale di coalizione. E, come previsto, ha assunto una forma a metà strada tra un governo di unità nazionale che vanta di tutto un po’ al suo interno e una di quelle diarchie tra destra e sinistra che hanno frequentemente segnato la storia d’Israele, con un’unica variante rispetto a quanto previsto dagli analisti all’indomani dal 28 marzo: in Labour ridimensionato, non tanto nel numero quanto nelle reali possibilità d’azione, grazie a un patto di ferro stretto tra Kadima e pensionati. Gli attori del nuovo governo saranno, in ordine d’importanza: Kadima, Labour, i religiosi sefarditi di Shas e la Lista pensionati. Per un totale di 67 deputati su 120, più che sufficienti per governare il paese, e ancor più se si tiene conto del probabile sostegno esterno dei 10 seggi arabi in vista di un futuro ritiro dalla Cisgiordania Nulla di sconvolgente, insomma, sulle componenti della coalizione. Invece le sorprese non sono mancate per quel che riguarda l’assegnazione dei ministeri e la contrattazione con i singoli partiti. A cominciare dalla Lista pensionati, che ha stupito gran parte del proprio stesso elettorato quando ha annunciato la fusione, nella Knesset, il parlamento unicamerale di Gerusalemme, con Kadima. Nasce insomma un blocco parlamentare unico, per il valore di 36 seggi. Una mossa, hanno commentato gli analisti israeliani, volta soprattutto a ridimensionare la portata di Avodà, il partito laburista che per diversi aspetti poteva essere considerato il vero vincitore delle ultime elezioni. Dall’accordo il partito dei pensionati è uscito con un ricchissimo bottino: ben due ministeri (più di quanto nessuno si sarebbe mai aspettati), tra il dicastero della Salute e un ministero creato ad hoc per il capolista Rafi Eitam, ovvero il dicastero dei pensionati. Apparterranno alla lista Eitam, inoltre, il presidente dalla Commissione salute e welfare e il vicepresidente della Knesset. La presidenza della Commissione welfare è, ça va sans dire, un ulteriore smacco ai laburisti. Eppure, per gli uomini di Raffi Eitam, sarà alto il prezzo da pagare per tanto successo: l’emarginazione di Avodà nel governo a venire compromette infatti la salvaguardia dello stato sociale, caro in genere ai settori deboli della società, come gli anziani, mentre gioca tutto a favore dell’agenda economica Olmert,che mira a ulteriori tagli sulla falsariga delle riforme cominciate nell’ultima legislatura dall’allora ministro delle Finanze Benyamin Netanyahu. Ma torniamo al Labour, che, per quanto ridimensionato, rimane pur sempre il senior partner della coalizione. Salvo cambiamenti dell’ultim’ora, dovrebbero spettare ad Avodà sette ministeri: Difesa, Educazione, Infrastrutture, Agricoltura,Turismo e due ministeri senza portafoglio. Non si tratta di un bottino poi tanto malvagio, se si tiene conto che sette era il numero dei dicasteri che Peretz si è promesso ufficialmente di portare a casa dopo le elezioni. Eppure l’opposizione interna ad Avodà è insorta contro il capolista Peretz, che fino a pochi giorni fa era trattato tra i laburisti come un vero eroe.A capo la sollevazione anti- Peretz è Matan Vilnai, colonnello sconfitto alle primarie. Peretz, secondo le accuse, avrebbe privilegiato la propria posizione individuale nella Koalition, tralasciando l’interesse del partito. Si critica inoltre la scelta di ottenere sette dicasteri “minori” (eccezion fatta per Difesa) anziché premere per cinque o sei posti chiave.Di questo, però Peretz, non aveva fatto mistero alcuno fin dall’inizio delle contrattazioni. La ribellione del fronte Vilnai ha come effetto principale quello di avere fatto saltare la lista dei ministri preparata da Peretz: le poltrone si giocheranno oggi in una rionione speciale della Commissione centrale del partito. Il più grande cruccio della sinistra è essersi fatta sfuggire il ministero dell’Economia, fin dall’inizio si è presentato come wishful thinking. Infine c’è lo Shas, partito di riferimento dei religiosi sefarditi, che però ha spesso fatto parte di coalizioni di centrosinistra (non ultimo, il governo di Yiztahk Rabin, anche se disertato all’indomani di Oslo). Secondo le prime indiscrezioni dovrebbero portarsi a casa quattro dicasteri di medio profilo (Commercio, Industria, Comunicazioni e Welfare) oltre a una significativa nomina per il responsabile degli Affari religiosi, nell’ufficio del primo ministro. Come a ogni inizio legislatura, non sono mancate le polemiche sulla corruzione: è accusato di avere raccolto fondi illeciti Shimon Peres. Si parla di $320,000 raccolti all’estero, e l’accusa parte dal procuratore generale Meni Mazuz, ma in una giornata densa di avvenimenti politici la notizia è passata in secondo piano. Insomma se si volesse fare un bilancio della Koalition uscita dalle contrattazioni dell’ultima settimana, si può rintracciare senza difficoltà un successo di Olmert, nel limitare il raggio d’azione della sinistra nel campo del welfare. La piattaforma di Kadima, che prevede sicurezza e ulteriori ritiri dalla Cisgiordania come raion d’etre, è estremamente costoso, mentre le casse dello Stato sono sempre più vuote, il che lascia poca alternativa ai tagli. Olmert, dal canto suo, è un vero liberista economico, deciso a continuare sulla strada dell’ultima legislatura. Almeno per ora, la sinistra della sinistra, quella che era stata eletta dai ceti più poveri che si auguravano un ritorno allo Stato sociale, è stata sconfitta.O forse, come spesso accade a Gerusalemme anche a casa Peretz, le ragioni di sicurezza coesione nazionale sono prevalse sull’agenda sociale.
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